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Servizi a rischio a Bahgdad! ... ... Mà x i tgsiti ci sono tariffe d'oro forse?

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2004 18:04
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12/04/2004 00:55
 
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Questa settimana non sò se avete visto, un servizio di
Maurizio Martinelli, a un certo momento è con il cineoperatore
in una macchina è poi ... mancano di un soffio tiri di armi:fspara2:
Maurizio, accena a l'autista di smamarre veloce!
e poi è molto preoccupato!
Uomini ostili ed armati vicino avanzano è si vede anche che se non vanno via sono sù l'orlo del linciaggio![SM=x44633]


...E poi al posto di Lilly potevano mandarci Attilio lui è un maschiaccio, nò?

KidCat dovvresti pensarci?

le donne vanno prottete:fspara2:

Va bene che il Premier a detto che l'esercito deve rimanere in Iraq però i giornalisti oggi sono veramente "a rischio"...

Occhio dunque![SM=x44612]




12/04/2004 11:09
 
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credo che le nostre belle tgste siano + intrepide e coraggiose degli uomini [SM=x44619] [SM=x44619] [SM=x44619]

anche se l'attuale situazione irachena di guerriglia e rapimenti mi piace poco e credo che sarebbe meglio x tutti i giornalisti rientrare... [SM=x44606]
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12/04/2004 15:53
 
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Re:

Scritto da: marinaia 12/04/2004 11.09
credo che le nostre belle tgste siano + intrepide e coraggiose degli uomini [SM=x44619] [SM=x44619] [SM=x44619]

anche se l'attuale situazione irachena di guerriglia e rapimenti mi piace poco e credo che sarebbe meglio x tutti i giornalisti rientrare... [SM=x44606]



Sai mari', io credo che il lavoro uno lo dovrebbe scegliere per passione. Io, come tanti, ho scelto di fare il giornalista perché mi piace, perché sono curioso, e perché - probabilmente - sono un pochino "pazzo"...
Mi piace immaginare che i colleghi che si trovano in Iraq siano (all'ennesima potenza) come me. Che vogliano andare fino in fondo alle cose, raccontare, far capire (e soprattutto capire loro stessi per primi). Il tutto senza farsi intimorire e, ovviamente, senza andarsela a cercare (se non è necessario).

Rientrare? Si, forse sarebbe la risposta più logica ma non è la prima domanda che si fa un giornalista. Ovviamente tutto dipende anche dal fatto che, nonostante i morti tra i colleghi e i rapimenti scampati, non siamo ancora stati direttamente coinvolti. Forse il pensiero cambierebbe se qualcuno dei colleghi che si trova in Iraq sparisse nel nulla e poi venisse mostrato davanti alle telecamente con un coltello alla gola.

Forse dico, perché non è la prima volta che qualche collega va oltre il "consentito" (ma da chi?) e torna indietro solo dopo aver appurato quanto sono scomode e fredde le prigionie.
Mi viene in mente un nome su tutti: Gabriella Simoni. Lei sa cosa vuol dire provare il terrore di essere fermati, trascinati via e rinchiusi chissà dove senza sapere più nulla, e - soprattutto - senza poter dare informazioni ai familiari.
Eppure lei, come tanti altri, è ritornata giù.
Si perché "l'insana" idea che ti spinge a partire, a fare l'inviato di guerra, non è legata solamente ai soldi.
Ovvio, sarebbe tremendamente ipocrita dire che il conto in banca sorride un pochino di più quando torni, ma non è la prima motivazione.
Probabilmente sarebbe molto più comodo restarsene in redazione, fare carriera seduti davanti a un pc, senza rischiare...

Ieri una vecchia compagna di scuola mi ha fatto la stessa domanda: perché non vanno via? Le ho risposto semplicemente perché la passione che ci mettono impedisce loro di farlo. Non sono degli incoscenti al 100%, amano solamente il loro lavoro che non è certo quello di desk davanti alle agenzie.
Prima di salutarmi mi ha chiesto: e tu? Tu, lo faresi? Partiresti sapendo quello che sta succedendo?
Si, lo farei. Quando ho scelto questo lavoro sapevo che - forse - prima o poi mi sarebbe capitato di scegliere se partire o restare.
Beh, adesso come adesso, partirei...

__________________


quien podìa imaginar que David fuese Goliath
-pulpul-

Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità
-Pino Scaccia-

Si può deformare la verità in diversi modi: tacendo quello che sarebbe conveniente dire... ed anche col far dire ai fatti quello che essi non dicono...
-S.J. Tucci-

Io so. Io so i nomi dei responsabili. I responsabili della strage di Milano, di quella di Brescia e di Bologna. Io so i nomi del gruppo dei potenti. Io so tutti questi nomi e i fatti di cui si sono resi colpevoli. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono uno che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Io so perché sono uno che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro che ristabilisce la logica laddove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia, il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere, dell'istinto del mio mestiere
-Pier Paolo Pasolini da "Il romanzo sulle stragi"-
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12/04/2004 16:40
 
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io ho paura

Scritto da: GuTiz 12/04/2004 15.53


Sai mari', io credo che il lavoro uno lo dovrebbe scegliere per passione. Io, come tanti, ho scelto di fare il giornalista perché mi piace, perché sono curioso, e perché - probabilmente - sono un pochino "pazzo"...
Mi piace immaginare che i colleghi che si trovano in Iraq siano (all'ennesima potenza) come me. Che vogliano andare fino in fondo alle cose, raccontare, far capire (e soprattutto capire loro stessi per primi). Il tutto senza farsi intimorire e, ovviamente, senza andarsela a cercare (se non è necessario).

Rientrare? Si, forse sarebbe la risposta più logica ma non è la prima domanda che si fa un giornalista. Ovviamente tutto dipende anche dal fatto che, nonostante i morti tra i colleghi e i rapimenti scampati, non siamo ancora stati direttamente coinvolti. Forse il pensiero cambierebbe se qualcuno dei colleghi che si trova in Iraq sparisse nel nulla e poi venisse mostrato davanti alle telecamente con un coltello alla gola.

Forse dico, perché non è la prima volta che qualche collega va oltre il "consentito" (ma da chi?) e torna indietro solo dopo aver appurato quanto sono scomode e fredde le prigionie.
Mi viene in mente un nome su tutti: Gabriella Simoni. Lei sa cosa vuol dire provare il terrore di essere fermati, trascinati via e rinchiusi chissà dove senza sapere più nulla, e - soprattutto - senza poter dare informazioni ai familiari.
Eppure lei, come tanti altri, è ritornata giù.
Si perché "l'insana" idea che ti spinge a partire, a fare l'inviato di guerra, non è legata solamente ai soldi.
Ovvio, sarebbe tremendamente ipocrita dire che il conto in banca sorride un pochino di più quando torni, ma non è la prima motivazione.
Probabilmente sarebbe molto più comodo restarsene in redazione, fare carriera seduti davanti a un pc, senza rischiare...

Ieri una vecchia compagna di scuola mi ha fatto la stessa domanda: perché non vanno via? Le ho risposto semplicemente perché la passione che ci mettono impedisce loro di farlo. Non sono degli incoscenti al 100%, amano solamente il loro lavoro che non è certo quello di desk davanti alle agenzie.
Prima di salutarmi mi ha chiesto: e tu? Tu, lo faresi? Partiresti sapendo quello che sta succedendo?
Si, lo farei. Quando ho scelto questo lavoro sapevo che - forse - prima o poi mi sarebbe capitato di scegliere se partire o restare.
Beh, adesso come adesso, partirei...



Onestamente non riesco più a parlare di Iraq senza piangere, sopratutto se si parla dei giornalisti che sono là.
Ho letto quel che hai scritto tremando Tiziano, hai perfettamente ragione, non possono essere solo i soldi a farti decidere di andare là, bisognerebbe essere pazzi per sostenere una cosa simile.
Una "persona" che lavora in Iraq mi ha detto che non capita tutti i giorni di assitere alla vicenda del decennio, se non del secolo.
Fondamentalmente i giornalisti che vanno là sono dei pazzi, ma nel senso più buono ed affettuoso che si può intendere.
Sono quei rari casi di persone che dimostrano pubblicamente quanto è bello e trascinante avere una passione forte che ti spinge così tanto al di là della paura.
Forse è per questo che ho così tanta stima x gli inviati di guerra, sono la sempre più evidente dimostrazione -soprattutto in casi così estremi- di una grandissima professionalità.
Farli tornare a casa? Non credo lo accetterebbero mai...Spero solo che Dio ce la mandi -e gliela mandi- buona[SM=x44626]
Io voglio Duilio tutt'intero[SM=x44632]

[Modificato da MeglioGioventu 12/04/2004 16.43]

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Sarè
12/04/2004 16:44
 
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Gutiz se fosse vero ciò che hai detto la penserei come te e anch'io sceglierei di stare in iraq [SM=x44603]


ma la realtà è un po' diversa dalle ragioni della passione [SM=x44606]


innanzitutto la passione è la spinta a partire le prime volte e non dopo anni di carriera [SM=x44603]
poi quelli che realmente fanno gli inviati di guerra per passione sono davvero pochi (o poche dato che sono in prevalenza donne). [SM=x44603]

la botteri mi sembra una appassionata che ama il suo mestiere e parte x vedere e raccontare, la gruber mi sembra una che ama + se stessa e parte x farsi notare o perchè ce l'hanno mandata in un momento in cui forse avrebbe preferito stare qui...


in realtà, carattere personale a parte, ciò che accade nei paesi in guerra è che i giornalisti, il più delle volte, non vengono fatti uscire dagli alberghi o vengono portati a vedere solo determinate cose e non altre che magari darebbero fastidio... [SM=x44606]
quello che possono raccontare stando in guerra è solo una parte della realtà, il resto viene suggerito loro per telefono dai colleghi in redazione che leggono le agenzie... [SM=x44606]

sono d'accordo nel partire, nell'andare sul posto, di persona a vedere con i propri occhi, a provare a capire sulla propria pelle e nel proprio cuore il peso delle storie degli altri... ma spesso in guerra si capisce poco e si vede poco... spesso i giornalisti rischiano la vita x raccontare cose che non hanno visto, che hanno sentito circolare dalle agenzie, spesso le immagini sono quelle prese dai circuiti internazionali e difficilmente sono girate sul posto... soprattutto in certe situazioni e in certi luoghi...

le eccezioni ci sono, gli scoop pure, ma nella maggior parte dei casi non è così... è un rischio della vita per qualcosa che non è il racconto né della realtà né della storia... e allora cosa vai a fare se devi stare in un hotel perchè non puoi o non vuoi uscire? [SM=x44606]

non so, il dubbio resta, soprattutto ora che gli occidentali vengono rapiti... [SM=x44606]
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12/04/2004 16:57
 
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credo di sì

Scritto da: marinaia 12/04/2004 16.44
Gutiz se fosse vero ciò che hai detto la penserei come te e anch'io sceglierei di stare in iraq [SM=x44603]


ma la realtà è un po' diversa dalle ragioni della passione [SM=x44606]


innanzitutto la passione è la spinta a partire le prime volte e non dopo anni di carriera [SM=x44603]
poi quelli che realmente fanno gli inviati di guerra per passione sono davvero pochi (o poche dato che sono in prevalenza donne). [SM=x44603]

la botteri mi sembra una appassionata che ama il suo mestiere e parte x vedere e raccontare, la gruber mi sembra una che ama + se stessa e parte x farsi notare o perchè ce l'hanno mandata in un momento in cui forse avrebbe preferito stare qui...


in realtà, carattere personale a parte, ciò che accade nei paesi in guerra è che i giornalisti, il più delle volte, non vengono fatti uscire dagli alberghi o vengono portati a vedere solo determinate cose e non altre che magari darebbero fastidio... [SM=x44606]
quello che possono raccontare stando in guerra è solo una parte della realtà, il resto viene suggerito loro per telefono dai colleghi in redazione che leggono le agenzie... [SM=x44606]

sono d'accordo nel partire, nell'andare sul posto, di persona a vedere con i propri occhi, a provare a capire sulla propria pelle e nel proprio cuore il peso delle storie degli altri... ma spesso in guerra si capisce poco e si vede poco... spesso i giornalisti rischiano la vita x raccontare cose che non hanno visto, che hanno sentito circolare dalle agenzie, spesso le immagini sono quelle prese dai circuiti internazionali e difficilmente sono girate sul posto... soprattutto in certe situazioni e in certi luoghi...

le eccezioni ci sono, gli scoop pure, ma nella maggior parte dei casi non è così... è un rischio della vita per qualcosa che non è il racconto né della realtà né della storia... e allora cosa vai a fare se devi stare in un hotel perchè non puoi o non vuoi uscire? [SM=x44606]

non so, il dubbio resta, soprattutto ora che gli occidentali vengono rapiti... [SM=x44606]



E' vero Mari, devono dire quel che sono costretti a dire, se da redazione dicono di raccontare dei morti irakeni si devono inventare cifre qua e là o che so io...etc
Ma credo che il punto sia un altro, e l'hai evidenziato te: se non possono dire quel che vedono, e se rischiano la vita restando chiusi in un albergo...MA CHI GLIELO FA FARE?
-i soldi? ...sarebbe assurdo, come minimo dovrebbero prendere 100 euro ogni secondo passato lì
-la visibilità in TV...spero proprio di no, sarebbe ridicolo rischiare la vita x essere visti da qualche milione di italina
Bò...onestamente gli inviati di guerra sono i giornalisti a cui sono + affezzionata, mi trasmettono cose che altri non sono in grado, mostrano cose che altri non mostrano, e anche se sono obbligati a dire quelle cose...bò
onestamente comincio a non capire + nulla

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Re:

Scritto da: marinaia 12/04/2004 16.44
Gutiz se fosse vero ciò che hai detto la penserei come te e anch'io sceglierei di stare in iraq [SM=x44603]


ma la realtà è un po' diversa dalle ragioni della passione [SM=x44606]


innanzitutto la passione è la spinta a partire le prime volte e non dopo anni di carriera [SM=x44603]
poi quelli che realmente fanno gli inviati di guerra per passione sono davvero pochi (o poche dato che sono in prevalenza donne). [SM=x44603]

la botteri mi sembra una appassionata che ama il suo mestiere e parte x vedere e raccontare, la gruber mi sembra una che ama + se stessa e parte x farsi notare o perchè ce l'hanno mandata in un momento in cui forse avrebbe preferito stare qui...

in realtà, carattere personale a parte, ciò che accade nei paesi in guerra è che i giornalisti, il più delle volte, non vengono fatti uscire dagli alberghi o vengono portati a vedere solo determinate cose e non altre che magari darebbero fastidio... [SM=x44606]
quello che possono raccontare stando in guerra è solo una parte della realtà, il resto viene suggerito loro per telefono dai colleghi in redazione che leggono le agenzie... [SM=x44606]

sono d'accordo nel partire, nell'andare sul posto, di persona a vedere con i propri occhi, a provare a capire sulla propria pelle e nel proprio cuore il peso delle storie degli altri... ma spesso in guerra si capisce poco e si vede poco... spesso i giornalisti rischiano la vita x raccontare cose che non hanno visto, che hanno sentito circolare dalle agenzie, spesso le immagini sono quelle prese dai circuiti internazionali e difficilmente sono girate sul posto... soprattutto in certe situazioni e in certi luoghi...

le eccezioni ci sono, gli scoop pure, ma nella maggior parte dei casi non è così... è un rischio della vita per qualcosa che non è il racconto né della realtà né della storia... e allora cosa vai a fare se devi stare in un hotel perchè non puoi o non vuoi uscire? [SM=x44606]

non so, il dubbio resta, soprattutto ora che gli occidentali vengono rapiti... [SM=x44606]



io la penso come mary...e un pochino anche come il gutiz!

giovanna ha coraggio, grinta,se ne frega di ciò che pensa la gente di lei e del suo aspetto...si vede in ogni collegamente la sua passione per il giornalismo ,perchè bisogna avere tanta passione per potere essere una "GIORNALISTA INVIATA DI GUERRA".
può non piacere a molti....ma sicuramente nessuno mai può dirmi che giovanna non svolge ben il suo lavoro [SM=x44605] [SM=x44605]
è certo e molto chiaro che giovanna non è a bagdad per soldi o per farsi notare[SM=x44605] [SM=x44605]

lilli apparentemente sembra in iraq solo per farsi vedere....ma probabilmente non è cosi'!sarebbe una pazza se si reca in un paese in cui c'è la guerra solo per farsi pubblicità....forse anche la lilli sotto sotto ama il suo lavoro (almeno lo spero [SM=x44606] )

comunque qualunque sia il motivo per cui gli inviati di guerra partono o per soldi o per passione o per farsi notare tutti hanno un gran coraggio [SM=x44603] ...questo è poco ma sicuro[SM=x44600]

anche a me (come per sara)piacciono di + gli inviati di guerra....hanno un qualcosa di diverso rispetto ai soliti giornalisti che stanno dietro a una scrivania....un qualcosa che non sò come spiegare[SM=x44600]

[Modificato da paggisan 12/04/2004 20.19]

__________________

Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini
che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato,
piuttosto che cercare di cambiarlo.
IMPOSSIBILE non è un dato di fatto, è un'opinione.
IMPOSSIBILE non è una regola, è una sfida.
IMPOSSIBILE non è uguale per tutti.
Impossibile non è per sempre.




iupppiiiii lààààà làààààà

By DANY
12/04/2004 20:32
 
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credo che scegliere di fare l'inviato di guerra sia qualcosa di strano: a me non piacerebbe andare a vedere gente che si spara e s'ammazza... [SM=x44608] però c'è il fascino di trovarsi a raccontare eventi importanti, di vedere il mondo, di conoscere realtà diversissime dalla nostra... [SM=x44603]
questa credo che sia la passione che spinge i giovani ad accettare anche incarichi come quelli della guerra.

poi il tempo passa, gli inviati di guerra solitamente fanno carriera (e se la meritano) e la passione diminuisce, perchè di esperienze ne fai tante e di cose ne vedi tante e allora parti perchè in certi posti ti ci mandano, perchè ci sei già stato, perchè hai dimostrato di sapertela cavare, perchè sei diventato bravo, perchè gli altri potrebbero non esserne all'altezza e far danni e così ti ritrovi di nuovo in guerra... [SM=x44606] di solito si accetta perchè in fondo se lo hai fatto una volta e ti è andata bene puoi rifarlo ancora e poi è sempre un modo per dimostrare a se stessi e ai telespettatori di essere in gamba... [SM=x44613]

credo che sia così... [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44613] + o - [SM=x44613]

sarebbe folle pensare che un inviato di guerra sceglie di andare in guerra perchè gli piace: [SM=x44635] una guerra è morte, distruzione e dolore, sempre, indipendentemente dallo schieramento e nessuna passione può volerti portare a guardare l'orrore per il gusto di far bene il proprio mestiere... [SM=x44635]
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Re: Re:

Scritto da: paggisan 12/04/2004 20.17


io la penso come mary...e un pochino anche come il gutiz!

giovanna ha coraggio, grinta,se ne frega di ciò che pensa la gente di lei e del suo aspetto...si vede in ogni collegamente la sua passione per il giornalismo ,perchè bisogna avere tanta passione per potere essere una "GIORNALISTA INVIATA DI GUERRA".
può non piacere a molti....ma sicuramente nessuno mai può dirmi che giovanna non svolge ben il suo lavoro [SM=x44605] [SM=x44605]
è certo e molto chiaro che giovanna non è a bagdad per soldi o per farsi notare[SM=x44605] [SM=x44605]

lilli apparentemente sembra in iraq solo per farsi vedere....ma probabilmente non è cosi'!sarebbe una pazza se si reca in un paese in cui c'è la guerra solo per farsi pubblicità....forse anche la lilli sotto sotto ama il suo lavoro (almeno lo spero [SM=x44606] )

comunque qualunque sia il motivo per cui gli inviati di guerra partono o per soldi o per passione o per farsi notare tutti hanno un gran coraggio [SM=x44603] ...questo è poco ma sicuro[SM=x44600]

anche a me (come per sara)piacciono di + gli inviati di guerra....hanno un qualcosa di diverso rispetto ai soliti giornalisti che stanno dietro a una scrivania....un qualcosa che non sò come spiegare[SM=x44600]

[Modificato da paggisan 12/04/2004 20.19]




"anche a me (come per sara)piacciono di + gli inviati di guerra....hanno un qualcosa di diverso rispetto ai soliti giornalisti che stanno dietro a una scrivania....un qualcosa che non sò come spiegare"

...forse è questo Paggy, quel qualcosa che gli altri giornalisti non hanno, rispetto a certi inviati di guerra[SM=x44620] :

o forse sarà questo...

oppure è questo...non saprei!

[SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602]

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Re: Re: Re:

Scritto da: MeglioGioventu 12/04/2004 20.37
oppure è questo...non saprei!

[SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602]




mi sa che è questo il qualcosa in piu![SM=x44600]

__________________


12/04/2004 20:44
 
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Re: Re: Re:

Scritto da: MeglioGioventu 12/04/2004 20.37



[SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620]
[SM=x44600] [SM=x44600] [SM=x44600]
[SM=x44627]
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non credo

Scritto da: marinaia 12/04/2004 20.32
credo che scegliere di fare l'inviato di guerra sia qualcosa di strano: a me non piacerebbe andare a vedere gente che si spara e s'ammazza... [SM=x44608] però c'è il fascino di trovarsi a raccontare eventi importanti, di vedere il mondo, di conoscere realtà diversissime dalla nostra... [SM=x44603]
questa credo che sia la passione che spinge i giovani ad accettare anche incarichi come quelli della guerra.

poi il tempo passa, gli inviati di guerra solitamente fanno carriera (e se la meritano) e la passione diminuisce, perchè di esperienze ne fai tante e di cose ne vedi tante e allora parti perchè in certi posti ti ci mandano, perchè ci sei già stato, perchè hai dimostrato di sapertela cavare, perchè sei diventato bravo, perchè gli altri potrebbero non esserne all'altezza e far danni e così ti ritrovi di nuovo in guerra... [SM=x44606] di solito si accetta perchè in fondo se lo hai fatto una volta e ti è andata bene puoi rifarlo ancora e poi è sempre un modo per dimostrare a se stessi e ai telespettatori di essere in gamba... [SM=x44613]

credo che sia così... [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44613] + o - [SM=x44613]

sarebbe folle pensare che un inviato di guerra sceglie di andare in guerra perchè gli piace: [SM=x44635] una guerra è morte, distruzione e dolore, sempre, indipendentemente dallo schieramento e nessuna passione può volerti portare a guardare l'orrore per il gusto di far bene il proprio mestiere... [SM=x44635]



Non sono completamente sicura che sia vero che uno ce lo mandano in guerra...uno ci va perchè gli viene proposto. Di Mare ha smesso di accettare queste proposte, altri no. La Gruber la sua scrivania bella al caldo ce l'ha, e pure la Botteri, ma sono due donne fenomenali, credo che in maniera diversa ami davvero il loro lavoro, e si sentano pronte a raccontare di tutto...bò...forse sono troppo ottimista Mari?[SM=x44611]

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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Diamantino3 12/04/2004 20.39


mi sa che è questo il qualcosa in piu![SM=x44600]



con questo invece sono pienamente daccordo!
[SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620] [SM=x44620]
[SM=x44627] [SM=x44627] [SM=x44627] [SM=x44627] [SM=x44627]

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Re:

Scritto da: marinaia 12/04/2004 16.44

[cut]
la botteri mi sembra una appassionata che ama il suo mestiere e parte x vedere e raccontare, la gruber mi sembra una che ama + se stessa e parte x farsi notare o perchè ce l'hanno mandata in un momento in cui forse avrebbe preferito stare qui...



lo sapete, a me la gruber non piace molto, mi ha sempre dato l'impressione (parere personale) di voler apparire sempre e in ogni caso...ma - con tutto il rispetto - non credo che sia così folle da recarsi in luoghi di guerra per questo motivo. Ovvio, fare l'inviato di guerra chiusi in albergo e fare qualche collegamento sul balcone dell'hotel Palestine è comodo, facile, e poco rischioso, ma ci vuole comunque coraggio ad andare lì...



in realtà, carattere personale a parte, ciò che accade nei paesi in guerra è che i giornalisti, il più delle volte, non vengono fatti uscire dagli alberghi o vengono portati a vedere solo determinate cose e non altre che magari darebbero fastidio... [SM=x44606]
quello che possono raccontare stando in guerra è solo una parte della realtà, il resto viene suggerito loro per telefono dai colleghi in redazione che leggono le agenzie... [SM=x44606]



vero, molto spesso è così, con ogni probabilità il 90% dei servizi sono confezionati (e non è una parola usata a caso) in questo modo. Ma ora mi chiedo? Che differenza c'è tra questo modo di fare giornalismo e quello che ha "impedito" per lungo tempo, nonostante alcuni giornali (libero ad esempio) ci avessero provato, che uscissero le notizie sugli interrogatori di tanzi e sui nomi dei politici coinvolti nel crack parmalat?



sono d'accordo nel partire, nell'andare sul posto, di persona a vedere con i propri occhi, a provare a capire sulla propria pelle e nel proprio cuore il peso delle storie degli altri... ma spesso in guerra si capisce poco e si vede poco... spesso i giornalisti rischiano la vita x raccontare cose che non hanno visto, che hanno sentito circolare dalle agenzie, spesso le immagini sono quelle prese dai circuiti internazionali e difficilmente sono girate sul posto... soprattutto in certe situazioni e in certi luoghi...



io penso che, principalmente, il giornalista faccia questo lavoro per capire...il diffondere la notizia viene in secondo piano (pur essendo fondamentale). Vai lì davvero per capire cosa sta succedendo e, se sei un vero giornalista di guerra, non ti fermi a ciò che ti fanno vedere. Sei accondiscendende per far credere che comunque sei rispettoso delle loro decisioni, per conquistarti la loro fiducia, con l'unico scopo di andare davvero a fondo alle questioni.
Perché prima di essere onesto con gli altri, devi esserlo con te stesso e con la professione che hai scelto...



credo che scegliere di fare l'inviato di guerra sia qualcosa di strano: a me non piacerebbe andare a vedere gente che si spara e s'ammazza... [SM=x44608] però c'è il fascino di trovarsi a raccontare eventi importanti, di vedere il mondo, di conoscere realtà diversissime dalla nostra... [SM=x44603]
questa credo che sia la passione che spinge i giovani ad accettare anche incarichi come quelli della guerra.



sai, non credo che andare a fare l'inviato di guerra possa significare andare a vedere gente che s'ammazza...si potrebbe benissimo restare a palermo, napoli o milano.
Concordo con te quando dici che esiste il fascino di trovarsi lì...tutti i giornalisti sono un po' malati di quella mania di protagonismo che ti fa dire io c'ero (come, ogni tanto faccio anch'io quando si parla di Pirellone oppure di alluvione dell'Alto Friuli). Ma non protagonismo per vandarsi - vantarsi di che? di aver assistito a una tragedia? - bensì soddisfazione di aver dimostrato, anche a sè stessi, di essere stati in grado di "gestire" un avvenimento così grande. Anche questa è passione: perché, e molto spesso ci si dimentica, fare il giornalista è - secondo me - una vera e propria sfida



la passione diminuisce, perchè di esperienze ne fai tante e di cose ne vedi tante e allora parti perchè in certi posti ti ci mandano, perchè ci sei già stato, perchè hai dimostrato di sapertela cavare, perchè sei diventato bravo, perchè gli altri potrebbero non esserne all'altezza e far danni e così ti ritrovi di nuovo in guerra...



credo che molto dipenda anche dal fatto che ti rendi conto che oltre un certo limite non puoi andare. Spesso, in questo tipo di decisioni, incide la famiglia. Si, perché se quando non hai "nessuno" che ti aspetta a casa, che - ogni volta che varchi la porta di casa - ti chiede che regalo gli hai portato, che ti chiama ogni giorno per sapere come stai, sei un po' "pazzo", ma quando tutto ciò ti "piomba" sul groppone, non puoi più permetterti di farlo. Arrivi a un certo punto in cui "devi" scegliere: famiglia o carriera. E in quel caso ci vuole molto più coraggio che preparare le valigie per l'Iraq.
Poi, ovviamente, l'esperienza conta ma nessuno ti obbliga a partire...



sarebbe folle pensare che un inviato di guerra sceglie di andare in guerra perchè gli piace: [SM=x44635] una guerra è morte, distruzione e dolore, sempre, indipendentemente dallo schieramento e nessuna passione può volerti portare a guardare l'orrore per il gusto di far bene il proprio mestiere... [SM=x44635]



ho riflettuto molto su questa tua ultima affermazione. Mi sono chiesto: ma davvero far bene il proprio mestiere può portarti a voler guardare l'orrore da vicino?
Io credo che nessuno vada a cercare l'orrore, anche perché - comunque - fare il giornalista non vol dire non avere rispetto per la tragedia o non avere pietà; ma se l'unico modo per capire davvero e - soprattutto - per far capire quale sia la "verità" significa dover, magari in punta di piedi, andarci a cinque centimetri, allora nessun giornalista può "permettersi" di evitarlo.

Scusate per questa lunga risposta, ma ogni tanto anch'io mi trovo a dover cercare risposte a delle mie azioni e ad alcuni dubbi che mi assalgono. Mi piace capire se sono folle io, oppure se - quel poco che sto facendo - lo faccio perché mi piace il mio lavoro...

__________________


quien podìa imaginar que David fuese Goliath
-pulpul-

Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità
-Pino Scaccia-

Si può deformare la verità in diversi modi: tacendo quello che sarebbe conveniente dire... ed anche col far dire ai fatti quello che essi non dicono...
-S.J. Tucci-

Io so. Io so i nomi dei responsabili. I responsabili della strage di Milano, di quella di Brescia e di Bologna. Io so i nomi del gruppo dei potenti. Io so tutti questi nomi e i fatti di cui si sono resi colpevoli. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono uno che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Io so perché sono uno che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro che ristabilisce la logica laddove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia, il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere, dell'istinto del mio mestiere
-Pier Paolo Pasolini da "Il romanzo sulle stragi"-
13/04/2004 13:48
 
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risposta interessante gutiz [SM=x44603]

non condivido molto, ma resta interessante [SM=x44604]


sul fatto della famiglia, però, molti inviati hanno famiglia, è vero che spesso sono anche pluridivorziati, ma partono lo stesso...
è il loro mestiere e la famiglia lo sa... anche se a volte ci pensi, magari vuoi tornare o loro vorrebbero che tornassi...
[SM=x44606]



non credo però che l'inviato debba fare lo 007 e fingere di essere accondiscendente con le autorità locali, per poi aggirare i divieti: ogni paese ha le sue regole e vanno rispettate (benchè confuse in una situazione di guerra). credo che sia giusto cercare di capire qual è la verità (se c'è), ma senza cercare la luna: ne sono morti molti e per molto meno e la vita vale di più di un bel servizio di guerra.



ma davvero stavi al Pirellone? [SM=x44612] è successo un casino micidiale quel giorno [SM=x44635] , ho fatto una corsa x arrivare a casa a vedere il tg1 con david in edizione straordinaria!!! [SM=x44600] [SM=x44620]




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13/04/2004 14:43
 
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NO

Scritto da: GuTiz 13/04/2004 10.30
ho riflettuto molto su questa tua ultima affermazione. Mi sono chiesto: ma davvero far bene il proprio mestiere può portarti a voler guardare l'orrore da vicino?
Io credo che nessuno vada a cercare l'orrore, anche perché - comunque - fare il giornalista non vol dire non avere rispetto per la tragedia o non avere pietà; ma se l'unico modo per capire davvero e - soprattutto - per far capire quale sia la "verità" significa dover, magari in punta di piedi, andarci a cinque centimetri, allora nessun giornalista può "permettersi" di evitarlo.

Scusate per questa lunga risposta, ma ogni tanto anch'io mi trovo a dover cercare risposte a delle mie azioni e ad alcuni dubbi che mi assalgono. Mi piace capire se sono folle io, oppure se - quel poco che sto facendo - lo faccio perché mi piace il mio lavoro...



Ho letto attentamente tutto quel che hai scritto...
posso dire solo una cosa...NO.
Non è possibile che sia come dici te, dico davvero, ne sono certa, sai come la penso sugli INVIATI di GUERRA.
Hai visto Franco Di Mare ieri sera quando gli hanno chiesto cosa gli è rimasto più impresso nel suo lavoro di INVIATO di GUERRA? Certe volte ci si può anche tappare le orecchie,ma mi è bastato vedere i suoi occhi: erano pieni di emozione, avrebbe voluto dire chissà quante cose. Non sono riuscita a sentire la risposta. Non volevo credere che quell'uomo così emozionato al solo ricordo della sua esperienza avesse trascorso mesi e mesi in quei posti, lontano da sua moglie e dalla sua famiglia, dalla sua città e da tutto quello di cui senti terribilmente la mancanza quando sei lontano, da tutto.
Sono anche io convinta che molte cose le dicono perchè sono obbligati a dirle, ma quello che vedono non lo scorderanno facilmente, e credimi che è così.
Forse non ti sei mai soffermato ad osservare una persona "qualsiasi" o un inviato di guerra che parla di Iraq e di morte, io sì, e ho notato sempre un'umanità tremenda in queste persone.
Per il discorso della famiglia, credo sia parecchio personale, la Botteri ha una figlia adolescente e va cmq in Iraq....è pazza secondo voi?
Non so, solo mi vengono in mente le frasi di Stefano Tura nel suo libro, quando parla di suo figlio che non gli vuole nemmeno parlare al telefono, e che piange affacciato ad una finestra...
Non riesco davvero a parlare di certe cose senza il magone, per me è impossibile credere che vanno là x soldi, o per apparire, credo che ognuno dentro di se abbia le sue motivazioni, forse partono sperando, pregando, e tornano ogni volta diversi, cambiati, pronti a giurare di non tornarci mai più in quell'inferno; ed invece mandano giù, i morti, i feriti, la violenza, la dolcezza, la crudeltà, tutto il mix di emozioni che che in posti così vengono vissute come se si poggiasse l'orecchio ad un amplificatore.
Possibile che in un lavoro così infangato di falsità come il giornalismo esistano persone così "serie" e fedeli al proprio lavoro? Permettetemi di sognare, ma credo di sì!
Duilio Sei Unico
[SM=x44625]

[Modificato da MeglioGioventu 13/04/2004 14.45]

[Modificato da MeglioGioventu 13/04/2004 14.47]

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Sarè
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Anche io ammiro i giornalisti che vivono direttamente le notizie e non si limitano a commentarle da dietro una scrivania.
Quelli che indagano e cercano di andare oltre i comunicati stampa....
Perchè lo fanno? Spero per un bisogno personale di conoscenza e di voglia di scoprire e far sapere....
Certo la vita si può rischiare anche in una indagine sulla mafia o sugli intrighi economici e politici
Ognuno magari sceglie il suo campo di competenza....
Ma neanche io credo che sia solo un desiderio di apparire o di guadagnare di più.
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Sui giornalisti di guerra...
Posto due riflessioni fatte da illustrissimi colleghi
(PS x mari': si, ero a 150 metri dal Pirellone e sono stato - scusate la spocchiosaggine - il primo giornalista friulano a dare la notizia in diretta tv nella "mia" regione)

Scrivere da fronte? Si, ne vale la pena
di Marco Guidi

Inviato di guerra, il più bel mestiere del mondo. Vedi la storia farsi in diretta, vivi come capita: un giorno l’hotel a cinque stelle, l’altro il bivacco improvvisato. Ti fai degli amici per la vita: altri inviati che fanno il tuo stesso mestiere. E poi c’è l’adrenalina che ti scorre nelle vene come una droga. «Anche stavolta ce l’ho fatta», pensi quando ti capita qualcosa di sgradevole e ne esci in un modo o nell’altro.
Paura? No, nessuno che patisca la paura può fare quel mestiere. La paura è una cosa che ti porti dentro, ma che non racconti nemmeno a te stesso. Perché se sei un inviato vero devi andare a vedere, devi andare oltre la linea immaginaria del buon senso. Devi entrare in quello che un collega spagnolo, lo scrittore Arturo Perez Reverte, ha chiamato il territorio comanche dove tu non vedi i fucili ma dove i fucili vedono te.
Poi ti capita che un amico, uno con cui avevi diviso l’ultima mezza sigaretta o l’ultimo sorso d’acqua ci rimanga. E’ capitato in Afghanistan, è capitato in Bosnia, in Medio Oriente, dappertutto. E allora ti chiedi se davvero ne valesse la pena. Ma la risposta la sai già, è la stessa che ti darebbe il collega, l’amico, il fratello che non c’è più. Sì, ne vale la pena, perché il racconto in diretta, la storia che nessun altro ha, la spiegazione di come sono andate davvero le cose valgono il rischio. Almeno per te.
Ma la domanda è se valgano il rischio per chi hai lasciato a casa, per chi ti aspetta senza fare troppe storie (quelle che fanno storie non durano, tanti inviati di guerra hanno avuto una sfilza di mogli fino a trovare quella giusta). Diciamolo, il mestiere diventa un po’ una droga, ti mantiene giovane anche se le tue gambe non lo sono più. Ma il brivido di una frontiera passata di frodo, la gioia del racconto fatto prima sul giornale poi agli amici, a casa, la sensazione esaltante di vedere qualcosa che gli altri possono solo immaginare ti prendono e non ti lasciano più.
Poi, è vero, ci sono i tempi morti, le attese interminabili aspettando un visto o un permesso o un passaggio per un posto fetente qualsiasi dove la gente si uccide e i bambini senza padre ti guardano con gli occhi senza più lacrime. Ma anche questo fa parte del gioco. Perché, vedete, l’inviato di guerra diventa un pacifista, più racconti di stragi, di scontri, di battaglie, più ricordi quella volta che la bomba di un mortaio ti ha mancato, più rievochi quella sera in un ospedale da campo a curarti magari la diarrea che l’acqua impestata dei posti dove si combatte ti ha attaccato, più senti che quello è il tuo mondo. E, contemporaneamente, ti rendi conto che si tratta di un mondo sbagliato, che l’uomo che uccide l’uomo è un animale sbagliato. Ma l’inviato non racconta il mondo come dovrebbe essere, racconta quello che c’è e non è colpa sua se quello che c’è non è un gran che bello.


Qualche volta succede che uno di noi muore
di Pino Scaccia

Qualche volta succede che uno di noi muore. Uno di noi. Non importa la nazionalita' e neppure il ruolo: puo' essere un fotografo o un fonico, un operatore: uno di noi. E allora ti accorgi che stai in mezzo a una guerra vera, dove sparano sul serio e se non capita a te ma a qualcun altro e' solo casualita', destino. Inutili i giubbotti antiproiettile, le scorte, la prudenza, tutto il resto. Se ti arrivano granate o colpi di cannone o killer assetati di vendetta o guerrieri disperati e impauriti c'e' poco da difendersi. Neppure il buonsenso basta perche' la storia e' piena di passi molto riflessivi e poi l'incursione improvvisa, l'attacco a sorpresa e tu ti ritrovi li', in mezzo all'inferno. Personalmente mi sono trovato molte volte, diciamo in difficolta'. Al confine con l'Irak o in Nagorno-Karabak ma soprattutto in Croazia, dove i cecchini ci hanno piu’ volte sfiorato e i mig serbi bombardato. Nessuno di noi e’ un eroe ne’ ha la vocazione di diventarlo. Si va in guerra, sembra banale, come si va in qualsiasi altra parte del mondo a "raccontare": puo' essere una festa e puo' essere l'inferno. La cosa strana e’ che continuiamo a sentirci dei privilegiati, solo per il fatto di stare in mezzo all’evento, occhi e anima di tutti gli altri.

Ne sono morti ottocento di noi in quindici anni, riporta chi tiene i conti.

Spesso i giornalisti – lo so - non rappresentano, per così dire, la parte migliore dell'umanità. Il mestiere può provocare (hanno gia’ scritto) "silicosi dell'anima, nella forma di narcisismi tragicomici, gelosie forsennate, attitudine servile, meschinità". Ma ciò che riscatta la categoria è soprattutto quel sentimento disinteressato: l'intensa, appassionata curiosità di veri cronisti come quella ragazza generosa e coraggiosa del Corriere, Maria Grazia, che forse ha pagato – curiosissima - l’ultimo scoop. Gli amici dicono che fosse felice solo al fronte perche’ li’ poteva capire com’e’ fatto davvero il mondo. Saluto e abbraccio lei, che non conoscevo, e saluto Fuentes, lo spagnolo, che conoscevo invece benissimo. Ciao ragazzi, adesso vi tocca raccontare cosa succede lassu'. Peccato per la banda: ancora quattro in meno.

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Si può deformare la verità in diversi modi: tacendo quello che sarebbe conveniente dire... ed anche col far dire ai fatti quello che essi non dicono...
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Io so. Io so i nomi dei responsabili. I responsabili della strage di Milano, di quella di Brescia e di Bologna. Io so i nomi del gruppo dei potenti. Io so tutti questi nomi e i fatti di cui si sono resi colpevoli. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono uno che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Io so perché sono uno che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro che ristabilisce la logica laddove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia, il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere, dell'istinto del mio mestiere
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Re: Sui giornalisti di guerra...

Scritto da: GuTiz 13/04/2004 23.53
Posto due riflessioni fatte da illustrissimi colleghi
(PS x mari': si, ero a 150 metri dal Pirellone e sono stato - scusate la spocchiosaggine - il primo giornalista friulano a dare la notizia in diretta tv nella "mia" regione)

Scrivere da fronte? Si, ne vale la pena
di Marco Guidi

Inviato di guerra, il più bel mestiere del mondo. Vedi la storia farsi in diretta, vivi come capita: un giorno l’hotel a cinque stelle, l’altro il bivacco improvvisato. Ti fai degli amici per la vita: altri inviati che fanno il tuo stesso mestiere. E poi c’è l’adrenalina che ti scorre nelle vene come una droga. «Anche stavolta ce l’ho fatta», pensi quando ti capita qualcosa di sgradevole e ne esci in un modo o nell’altro.
Paura? No, nessuno che patisca la paura può fare quel mestiere. La paura è una cosa che ti porti dentro, ma che non racconti nemmeno a te stesso. Perché se sei un inviato vero devi andare a vedere, devi andare oltre la linea immaginaria del buon senso. Devi entrare in quello che un collega spagnolo, lo scrittore Arturo Perez Reverte, ha chiamato il territorio comanche dove tu non vedi i fucili ma dove i fucili vedono te.
Poi ti capita che un amico, uno con cui avevi diviso l’ultima mezza sigaretta o l’ultimo sorso d’acqua ci rimanga. E’ capitato in Afghanistan, è capitato in Bosnia, in Medio Oriente, dappertutto. E allora ti chiedi se davvero ne valesse la pena. Ma la risposta la sai già, è la stessa che ti darebbe il collega, l’amico, il fratello che non c’è più. Sì, ne vale la pena, perché il racconto in diretta, la storia che nessun altro ha, la spiegazione di come sono andate davvero le cose valgono il rischio. Almeno per te.
Ma la domanda è se valgano il rischio per chi hai lasciato a casa, per chi ti aspetta senza fare troppe storie (quelle che fanno storie non durano, tanti inviati di guerra hanno avuto una sfilza di mogli fino a trovare quella giusta). Diciamolo, il mestiere diventa un po’ una droga, ti mantiene giovane anche se le tue gambe non lo sono più. Ma il brivido di una frontiera passata di frodo, la gioia del racconto fatto prima sul giornale poi agli amici, a casa, la sensazione esaltante di vedere qualcosa che gli altri possono solo immaginare ti prendono e non ti lasciano più.
Poi, è vero, ci sono i tempi morti, le attese interminabili aspettando un visto o un permesso o un passaggio per un posto fetente qualsiasi dove la gente si uccide e i bambini senza padre ti guardano con gli occhi senza più lacrime. Ma anche questo fa parte del gioco. Perché, vedete, l’inviato di guerra diventa un pacifista, più racconti di stragi, di scontri, di battaglie, più ricordi quella volta che la bomba di un mortaio ti ha mancato, più rievochi quella sera in un ospedale da campo a curarti magari la diarrea che l’acqua impestata dei posti dove si combatte ti ha attaccato, più senti che quello è il tuo mondo. E, contemporaneamente, ti rendi conto che si tratta di un mondo sbagliato, che l’uomo che uccide l’uomo è un animale sbagliato. Ma l’inviato non racconta il mondo come dovrebbe essere, racconta quello che c’è e non è colpa sua se quello che c’è non è un gran che bello.


Qualche volta succede che uno di noi muore
di Pino Scaccia

Qualche volta succede che uno di noi muore. Uno di noi. Non importa la nazionalita' e neppure il ruolo: puo' essere un fotografo o un fonico, un operatore: uno di noi. E allora ti accorgi che stai in mezzo a una guerra vera, dove sparano sul serio e se non capita a te ma a qualcun altro e' solo casualita', destino. Inutili i giubbotti antiproiettile, le scorte, la prudenza, tutto il resto. Se ti arrivano granate o colpi di cannone o killer assetati di vendetta o guerrieri disperati e impauriti c'e' poco da difendersi. Neppure il buonsenso basta perche' la storia e' piena di passi molto riflessivi e poi l'incursione improvvisa, l'attacco a sorpresa e tu ti ritrovi li', in mezzo all'inferno. Personalmente mi sono trovato molte volte, diciamo in difficolta'. Al confine con l'Irak o in Nagorno-Karabak ma soprattutto in Croazia, dove i cecchini ci hanno piu’ volte sfiorato e i mig serbi bombardato. Nessuno di noi e’ un eroe ne’ ha la vocazione di diventarlo. Si va in guerra, sembra banale, come si va in qualsiasi altra parte del mondo a "raccontare": puo' essere una festa e puo' essere l'inferno. La cosa strana e’ che continuiamo a sentirci dei privilegiati, solo per il fatto di stare in mezzo all’evento, occhi e anima di tutti gli altri.

Ne sono morti ottocento di noi in quindici anni, riporta chi tiene i conti.

Spesso i giornalisti – lo so - non rappresentano, per così dire, la parte migliore dell'umanità. Il mestiere può provocare (hanno gia’ scritto) "silicosi dell'anima, nella forma di narcisismi tragicomici, gelosie forsennate, attitudine servile, meschinità". Ma ciò che riscatta la categoria è soprattutto quel sentimento disinteressato: l'intensa, appassionata curiosità di veri cronisti come quella ragazza generosa e coraggiosa del Corriere, Maria Grazia, che forse ha pagato – curiosissima - l’ultimo scoop. Gli amici dicono che fosse felice solo al fronte perche’ li’ poteva capire com’e’ fatto davvero il mondo. Saluto e abbraccio lei, che non conoscevo, e saluto Fuentes, lo spagnolo, che conoscevo invece benissimo. Ciao ragazzi, adesso vi tocca raccontare cosa succede lassu'. Peccato per la banda: ancora quattro in meno.



Credo che le testimonianze, a metà fra il nostalgico e il doloroso, di questi due incredibili giornalisti abbiano confermato quel che ti dicevo.

Gli INVIATI di GUERRA non sono eroi, non sono martiri, non sono pazzi, non sono egocentrici.
Gli INVIATI di GUERRA sono coscienti di ciò che, forse, saranno costretti a vedere.

Non posso non leggere fra le righe di queste struggenti testimonianze un amore infinito per quello che fanno. E' un amore che secondo me noi non capiamo, è una cosa talmente grande, che forse nemmeno decine e decine di parole riuscirebbero a spiegare. Pino Scaccia mostra un'evidente appagamento nel rappresentare gli occhi e l'anima di noi telespettatori che in quei posti non possiamo esserci. Guidi parla di un mestiere che ti tiene giovane, ma di gambe che non lo sono più. Forse la dote fondamentale di queste persone è il fatalismo: ovvio che se parti con la paura di non riabbracciare mai più i tuoi, fai meglio a stare a casa.

E' probabile che sia io, sarò sulla mia nuvoletta, ma trovo un'immensa magia nelle parole di persone come Scaccia e Guidi, che riportano testimonianze appassionate, commuoventi, sconsolate, ma nello stesso tempo un filo di malinconia per quei posti, e una nostalgia, che secondo me non comprenderemo mai appieno. Non posso credere che di tratti solo di persone abili con le parole; ripeto quanto detto nei giorni scorsi: si vede una luce strana negli occi dei giornalisti che hanno trascorso mesi e mesi a contatto con la guerra, nei cerchi più infuocati, vicino all'inferno, cose che non ci hanno potuto mostrare, ma solo raccontare, ma che i loro occhi hanno visto.

Ormai siamo abituati a vedere ogni giorno l'uomo che uccide l'uomo, ma vederlo in tv è bene diverso.

Lilli Gruber nel suo libro descive chiaramente la morte del suo collega spagnolo, ma sopratutto descrive quello che succede attorno ad una sola morte. Quando provo ad immaginare che le è capitato di vederne decine e decine di morti, tutti insieme, penso che quella singola e disperata descrizione di una corsa alla vita fatta per una persona va raddoppiata, o triplicata, e mi chiedo ancora: come fa a non scoppiarti il cuore?
A volte mi rendo conto che sono pochi a vederci tutto questo incanto in un lavoro che forse è come tanti altri, ma io non riesco a considerarlo un lavoro qualsiasi...[SM=x44606]

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14/04/2004 17:06
 
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Re: Re: Sui giornalisti di guerra...

Scritto da: MeglioGioventu 14/04/2004 15.32


Credo che le testimonianze, a metà fra il nostalgico e il doloroso, di questi due incredibili giornalisti abbiano confermato quel che ti dicevo.

Gli INVIATI di GUERRA non sono eroi, non sono martiri, non sono pazzi, non sono egocentrici.
Gli INVIATI di GUERRA sono coscienti di ciò che, forse, saranno costretti a vedere.

Non posso non leggere fra le righe di queste struggenti testimonianze un amore infinito per quello che fanno. E' un amore che secondo me noi non capiamo, è una cosa talmente grande, che forse nemmeno decine e decine di parole riuscirebbero a spiegare. Pino Scaccia mostra un'evidente appagamento nel rappresentare gli occhi e l'anima di noi telespettatori che in quei posti non possiamo esserci. Guidi parla di un mestiere che ti tiene giovane, ma di gambe che non lo sono più. Forse la dote fondamentale di queste persone è il fatalismo: ovvio che se parti con la paura di non riabbracciare mai più i tuoi, fai meglio a stare a casa.

E' probabile che sia io, sarò sulla mia nuvoletta, ma trovo un'immensa magia nelle parole di persone come Scaccia e Guidi, che riportano testimonianze appassionate, commuoventi, sconsolate, ma nello stesso tempo un filo di malinconia per quei posti, e una nostalgia, che secondo me non comprenderemo mai appieno. Non posso credere che di tratti solo di persone abili con le parole; ripeto quanto detto nei giorni scorsi: si vede una luce strana negli occi dei giornalisti che hanno trascorso mesi e mesi a contatto con la guerra, nei cerchi più infuocati, vicino all'inferno, cose che non ci hanno potuto mostrare, ma solo raccontare, ma che i loro occhi hanno visto.

Ormai siamo abituati a vedere ogni giorno l'uomo che uccide l'uomo, ma vederlo in tv è bene diverso.

Lilli Gruber nel suo libro descive chiaramente la morte del suo collega spagnolo, ma sopratutto descrive quello che succede attorno ad una sola morte. Quando provo ad immaginare che le è capitato di vederne decine e decine di morti, tutti insieme, penso che quella singola e disperata descrizione di una corsa alla vita fatta per una persona va raddoppiata, o triplicata, e mi chiedo ancora: come fa a non scoppiarti il cuore?
A volte mi rendo conto che sono pochi a vederci tutto questo incanto in un lavoro che forse è come tanti altri, ma io non riesco a considerarlo un lavoro qualsiasi...[SM=x44606]



Non sei su nessuna nuvoletta Peppy... è ammirevole leggere di queste tue sensazioni.... forse un pizzico di magia c'è anche in questo tuo entusiasmo... hai fotografato in poche parole le emozioni che riescono a trasmetterci gli sguardi, più che le parole, di alcuni inviati di guerra......[SM=x44619]
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Re: Re: Re: Sui giornalisti di guerra...

Scritto da: comep 14/04/2004 17.06


Non sei su nessuna nuvoletta Peppy... è ammirevole leggere di queste tue sensazioni.... forse un pizzico di magia c'è anche in questo tuo entusiasmo... hai fotografato in poche parole le emozioni che riescono a trasmetterci gli sguardi, più che le parole, di alcuni inviati di guerra......[SM=x44619]



Già, e che inviati di guerra![SM=x44620]
Scherzi a parte, non sono qua a difendere nessuno [SM=x44600] dico davvero[SM=x44600] si difende da solissimo con la sua bravura[SM=x44619]
Solo credo davvero che il lavoro che fanno gli INVIATI di GUERRA sia speciale, gli si legge addosso![SM=x44626] Sono SPECIALI[SM=x44603]

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Re: Re: Sui giornalisti di guerra...

Scritto da: MeglioGioventu 14/04/2004 15.32

[cut]



Sara, ho postato apposta ciò che raccontano Pino e Marco, appunto per far capire che chi fa il giornalista di guerra non sceglie la professione per soldi o per apparire. Forse stiamo dicendo la stessa cosa ma usiamo termini diversi...

Ripeto, sarebbe assurdo dire che questo non conta nulla (un po' come i militari che mi dicono che accettano di andare in missione perché possono portare sollievo e pace dove non c'è), ma non sono le motivazioni principali per chi decide di partire.
Sono d'accordissimo con te quando parli di passione. L'ho già detto e lo ripeto "l'insana idea che ti spinge a partire, a fare l'inviato di guerra, non è legata solamente ai soldi. [...] Probabilmente sarebbe molto più comodo restarsene in redazione, fare carriera seduti davanti a un pc, senza rischiare..."

Parlavo di sfida con sé stessi e le parole di Marco confermano la mia idea: "«Anche stavolta ce l’ho fatta», pensi quando ti capita qualcosa di sgradevole e ne esci in un modo o nell’altro."
Ed è vero, è proprio così. Diventa una lotta interna, una sorta di lotta per la sopravvivenza, ma non fine a sé stessa bensì volta alla possibilità di poter, poi, raccontare.

Sono (stavo per scrivere siamo...) gente che è alla "folle" ricerca della verità "Perché se sei un inviato vero devi andare a vedere, devi andare oltre la linea immaginaria del buon senso. Devi entrare in quello che un collega spagnolo, lo scrittore Arturo Perez Reverte, ha chiamato il territorio comanche dove tu non vedi i fucili ma dove i fucili vedono te. [...] Sì, ne vale la pena, perché il racconto in diretta, la storia che nessun altro ha, la spiegazione di come sono andate davvero le cose valgono il rischio. Almeno per te."
Parole sante...è questo lo spirito del giornalista, la base su cui fondare la carriera. Non importa se a Milano o a Falluja

E anche il mio discorso sulla famiglia ha dei fondamenti. Si perché nella vita di un giornalista di guerra non c'è spazio per chi non capisce la tua passione "(le mogli) quelle che fanno storie non durano, tanti inviati di guerra hanno avuto una sfilza di mogli fino a trovare quella giusta"
si, perché alla fine chi ti convince a tornare - lo ripeto - è la famiglia e nessun altro

E anche il giornalista 007 ipotizzato da mari' non è poi così tanto distante dalla realtà... "il brivido di una frontiera passata di frodo, la gioia del racconto fatto prima sul giornale poi agli amici, a casa, la sensazione esaltante di vedere qualcosa che gli altri possono solo immaginare ti prendono e non ti lasciano più."

Come dicevo, nessuno va a cercare la morte, sarebbe stupido e nessuno punta a immolarsi ma "neppure il buonsenso basta perche' la storia e' piena di passi molto riflessivi e poi l'incursione improvvisa, l'attacco a sorpresa e tu ti ritrovi li', in mezzo all'inferno."

Solo una forte passione ti manda in mezzo alle bombe o ai cecchini perché "si va in guerra, sembra banale, come si va in qualsiasi altra parte del mondo a "raccontare": puo' essere una festa e puo' essere l'inferno. La cosa strana e’ che continuiamo a sentirci dei privilegiati, solo per il fatto di stare in mezzo all’evento, occhi e anima di tutti gli altri"
Già dei "privilegiati"...e anche noi (o almeno io) li vedo come tali...


Posto alcuni estratti di interviste fatte con altri inviati di guerra:

Gian Micalessin
"Il lavoro dell'inviato, se ci riesce, è stare sotto quelle bombe e raccontarti cosa succede quando esplodono".

"Un mio amico (Almerigo Grilz ndr) non aveva mai paura. Avevamo iniziato questo lavoro insieme. Mi ha lasciato per sempre 15 anni fa. La paura è il miglior antidoto. Se scopri di non averne più fermati un attimo e fattela venire. Detto questo è innegabile che per fare bene questo mestiere talvolta sia necessario rischiare. Se vuoi ascoltare la voce di chi sta sotto le bombe devi avvicinarti fino a poterla sentire. [...] Ma devi sempre ricordarti che un brutto articolo è meglio del più bel funerale."

"Nessuno ti obbliga ad andare in guerra. Nessuno ti obbliga a restarci. Nessuno ti costringe mai a tornarci. Quando non ti piace più rientra e prenditi una pausa. Questo è un lavoro che si fa per passione. Finita quella si arruginisce la molla che ti mette in grado di farlo bene"

Fausto Biloslavo
"Ribadisco che la vita non ha prezzo e neppure quello di uno scoop, ma la morte è qualcosa da mettere in conto. [...] Maria Grazia (Cutuli ndr) non era una santa, noi non siamo degli eroi e ci sono altri giornalisti morti che non sono mai stati neppure citati. [...] Non bisogna fare degli inviati di guerra degli eroi, come non bisogna comunque sottovalutarne il lavoro. [...] Io posso anche dire che veramente ci sono degli inviati che s'inventano di sana pianta quello che scrivono dalla prima riga all'ultima. Gente che ha un generatore di corrente elettrica, quindi ha la luce, però fa sparire il generatore e accende il lume a petrolio perché così fa atmosfera."

"(Infiltrarsi) E' una tattica che uso sempre, anche per divertimento devo dire. Mi trasformo sempre come un camaleonte cercando di adottare sembianze, usi e costumi locali per mescolarmi alla gente e riuscire a entrare anche dove non potrei."

Igor Man
(intervista di Cinzia Zambrano tratta dall'Unità)
"I giornalisti, i famosi e meno famosi corrispondenti di guerra, li muove la fame insaziabile del fatto. Li affascina l'idea di vedere la notizia, di essere la notizia, per consegnarla alla gente. Li seduce, i giornalisti, la consapevolezza di stenografare frammenti di cronaca destinati alla storia."

"Ha ragione il Washington Post: obiettivamente la guerra, la notizia, non vale la morte di un uomo, la persona è una cosa sacra. Ma noi non siamo suicidi, siamo vagamente consapevoli del pericolo e istintivamente mossi dal senso di compiere una missione, quella di informare".

"Fare l'inviato, lo dice uno che odia la guerra e che però in 50 anni ci è inciampato parecchie volte, è come fare il palombaro. Il palombaro si può rifiutare di andare sott'acqua? L'inviato di guerra può rifiutare a se stesso di informare. Allora sta in albergo, prende le notizie dai suoi colleghi che tornano dal fronte e fa un pezzo. Ma questa è un'altra cosa."

"Ogni guerra ha la stessa stramaledetta congerie di regole. Prima regola è che ammazzano. [...] noi stacchiamo un biglietto di sola andata quando partiamo, c'è che ha più fortuna, chi ha meno fortuna".

Ennio Remondino
(intervista di Enrico Pulcini)
"Quando l'evento si svolge a pochi passi da te vuoi esserci assolutamente. Si può fare questo paragone e, al tempo stesso, proporre un test: quando si scorge, e succede a volte in una situazione di viaggio guidando un'automobile, in lontananza un incendio, si passa con indifferenza o si va a vedere cosa sta accadendo? Ecco, io non credo che una persona in possesso di uno "spirito giornalistico" rinunci alla curiosità di andare a vedere il fatto."

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quien podìa imaginar que David fuese Goliath
-pulpul-

Se non diremo cose che a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità
-Pino Scaccia-

Si può deformare la verità in diversi modi: tacendo quello che sarebbe conveniente dire... ed anche col far dire ai fatti quello che essi non dicono...
-S.J. Tucci-

Io so. Io so i nomi dei responsabili. I responsabili della strage di Milano, di quella di Brescia e di Bologna. Io so i nomi del gruppo dei potenti. Io so tutti questi nomi e i fatti di cui si sono resi colpevoli. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono uno che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Io so perché sono uno che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro che ristabilisce la logica laddove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia, il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere, dell'istinto del mio mestiere
-Pier Paolo Pasolini da "Il romanzo sulle stragi"-
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troppo grande...

Scritto da: GuTiz 14/04/2004 21.04

Sara, ho postato apposta ciò che raccontano Pino e Marco, appunto per far capire che chi fa il giornalista di guerra non sceglie la professione per soldi o per apparire. Forse stiamo dicendo la stessa cosa ma usiamo termini diversi...

Ripeto, sarebbe assurdo dire che questo non conta nulla (un po' come i militari che mi dicono che accettano di andare in missione perché possono portare sollievo e pace dove non c'è), ma non sono le motivazioni principali per chi decide di partire.
Sono d'accordissimo con te quando parli di passione. L'ho già detto e lo ripeto..............



Le testimonianze di questi reporter sono sicuramente di una limpidità infinita, e certamente fanno riflettere su questo mestiere.
Credo che il lavoro dell'INVIATO di GUERRA attraversi in un uomo/donna pezzi di vita interamente e in ogni direzione, non si limita alle 8 ore lavorative di qualsiasi lavoratore o alle ore in ufficio o davanti allo schermo di un pc di un giornalista di redazione. Si tratta di 24 ore su 24, e non di lavoro, ma di vita, un'unione inscindibile quando lavoro e vita tendono a completarsi o forse ad annullarsi a vicenda.
Le riflessioni di qeuste persone, sono fatte lontano da quei tormenti, e probabilmente fatte così, a mente fredda, non sono altro che una piccola introspezione in un pezzo della propria vita, che come ogni pezzo di vita, mai si riesce a descrivere fino in fondo.
A mio parere queste persone sono così eccezzionali perchè in quella bolgia ci sono loro, loro e basta, e il vero valore a quello che fanno ce l'han loro, e non riusciranno a spiegare quell'insieme di spinte intime e profonde che li spingono a ripartire, a lottare in primo luogo con se stessi, con il proprio lavoro, con la propria paura, con i propri ricordi. Credo che qualsiasi valutazione, successiva a quegli istanti infiniti che vivono sul "campo" sia una sorta di giustificazione nei nostri confronti, e nei confronti di chi si chiede "perchè vanno là? Per i soldi? Per la fama? Chi glielo fa fare?".
Ecco, credo che un qualsiasi inviato di guerra, che sente queste domande, fornisce una spiegazione come quella di Scaccia, di Guidi, di Man. Ma è tutto semplificato al minimo, credo che Scaccia dentro di se abbia un ribollire di cose che lo fanno andare ancora in posti dove nemmeno un kamikaze andrebbe. Credo che nemmeno con mille frasi riuscirebbero a spiegarci la rabbia, la tristezza, il dolore, la passione, la devozione, la gioia, l'entusiasmo, il coraggio che li spinge ogni volta a ripartire. Penso che riescano a fare solo una piccola descrizione di tutto quello che gli passa per la testa.
Ho l'impressione, quando vedo questi giornalisti (in particolare uno[SM=x44598] ) parlare, che il loro cuore sia talmente grande, e che la loro mente contenga talmente tanti ricordi, tante sensazioni, che nemmeno quando sono loro in prima persona a doerle descrivere riescono a far trasparire tutto.
Ho come la sensazione che quando sei là, sei così immerso in quella realtà che ti scordi un pò la paura, ci si dimentica un pò di se.
Sono certa che quello che vivono, hanno vissuto, e sono pronti a rivivere, è così profondamente incorporato in certe personalità, che nemmeno le dichiarazioni di tutti gli inviati di guerra del mondo ci faranno esattamente capire, e forse nemmeno tu che sei giornalista, e quindi, più vicino a loro, puoi capire...[SM=x44606]
[SM=x44625]
AGGIUNGIEREI CHE DUILIO è IL MIGLIORE [SM=x44620]

__________________

Sarè
15/04/2004 18:04
 
Quota

mi piace la versione di MG, tra il realistico e il sognante... dà alle parole un che di poetico che fa sembrare il mestiere dell'inviato come il più bello del mondo, anche se pericoloso!

Anch'io ci vedo tutte quelle cose negli occhi degli inviati (uomini o donne non importa), anch'io mi emoziono per le loro parole, mi perdo in servizi più particolari di altri e mi riesce difficile credere a un sacco di voci bruttine che girano sul giornalismo...

credo che la realtà sia un po' più dura del nostro tenero ideale di uomini e di mestiere, però mi piace pensarlo alla maniera romantica vera o no che sia!
[SM=x44620] [SM=x44628]
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