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La presenza di Dio

  • Messaggi
  • Bestion.
    00 29/11/2010 22:16
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?
































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  • Bestion.
    00 29/11/2010 22:49
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?




























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  • Bestion.
    00 30/11/2010 13:42
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?




























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  • Bestion.
    00 30/11/2010 19:19
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?




























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  • Bestion.
    00 30/11/2010 21:49
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?



























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  • Bestion.
    00 01/12/2010 12:15
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?


























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    paul_65
    Post: 5.080
    Registrato il: 10/05/2009
    Sesso: Maschile
    00 01/12/2010 12:39
    Re: ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?
    che bello [SM=x44607] [SM=x44607] [SM=x44607] sono quasi commosso [SM=x44599]
    supponiamo per un minuto [SM=x44597] che ci sia un bipede che non puo' essere giudicato per nessun motivo da nessuno la vedo molto dura [SM=x44602] [SM=x44602] con il detto "unigenito" robe da toccare ferro [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602]
    c'e' ancora bisogno di preti sole e santi??????? [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602]

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    non bisogna avere paura di un Popolo che non ha Potere ma di chi detiene il Potere di Quel Popolo
    anche perché la MORTE non accetta una lira
  • Bestion.
    00 02/12/2010 21:42
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?



























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  • Bestion.
    00 03/12/2010 11:20
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?



























    [SM=x44645] [SM=x44599]



















  • Bestion.
    00 03/12/2010 21:35
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti



    Iniziano in Vaticano le prediche d'Avvento
    tenute da padre Cantalamessa




    «Bisogna interrogarsi su come ridestare un mondo secolarizzato,
    dove ormai si ha perfino vergogna di parlare di eternità.
    In questo senso Benedetto XVI ha dato un contributo
    fondamentale con la sua enciclica Spe salvi»



    Un contributo alla nuova
    evangelizzazione

    di Nicola Gori

    Sarà il pensiero del beato John Henry Newman uno dei fili conduttori delle prediche d'Avvento che il cappuccino Raniero Cantalamessa terrà in Vaticano a partire da venerdì 3 dicembre, alla presenza del Papa. In questa intervista al nostro giornale il predicatore della Casa Pontificia spiega i motivi della scelta e anticipa alcuni dei temi che affronterà nelle sue riflessioni.

    Perché ispirarsi proprio a Newman per sviluppare i temi delle prediche?
    Ho scelto di utilizzare il pensiero di Newman non solo per la sua attualità - rilanciata dalla beatificazione da parte di Benedetto XVI il 19 settembre scorso, durante il viaggio compiuto nel Regno Unito - ma anche perché, di fatto, il nuovo beato ha dovuto affrontare a suo tempo molte delle sfide che ci troviamo davanti noi oggi. In particolare, quella del razionalismo, che egli affronta in uno dei sermoni universitari dal titolo significativo The Usurpation of Reason ("Le prevaricazioni della ragione"). Anche a proposito del dialogo con la scienza, in particolare con la teoria evoluzionista allora di recente pubblicazione, Newman ha delle idee sorprendentemente precorritrici dell'atteggiamento attuale della Chiesa.

    La sfida della nuova evangelizzazione, a cui fa riferimento il tema delle prediche, è stata di recente riproposta da Benedetto XVI ai superiori e alle superiore generali degli istituti religiosi. A partire dalla sua esperienza di cappuccino, quale può essere lo specifico contributo della vita consacrata?
    La rievangelizzazione del mondo occidentale - dirò in una delle mie prediche - passa attraverso il recupero del senso del sacro in una società secolarizzata, segnata dal disincanto della scienza e della tecnica. In questo senso, la vita consacrata ha svolto sempre un ruolo profetico, di annuncio del secolo futuro. Anche perché, concretamente, i più grandi evangelizzatori sono stati da sempre i membri degli ordini religiosi, soprattutto apostolici. Alcuni di essi, come i domenicani e i gesuiti, si sono distinti sempre per la diffusione del messaggio tra le classi colte; altri, come noi cappuccini, tra il popolo.

    Perché lo scientismo, il razionalismo e il secolarismo sono ostacoli all'accoglienza del messaggio cristiano?
    Distinguo fortemente nelle mie riflessioni lo scientismo dalla scienza, il secolarismo dalla secolarità, il razionalismo dalla razionalità. Come tutti gli "ismi", scientismo, secolarismo e razionalismo indicano l'eccesso o la distorsione di un valore positivo. Essi sono un ostacolo all'evangelizzazione in quanto, come dice il Papa nel motu proprio Ubicumque et semper con cui ha istituito il nuovo Pontificio Consiglio, rendono "refrattarie" le popolazioni di Paesi di antica tradizione cristiana ad accogliere oggi il messaggio del Vangelo.

    All'Angelus di domenica scorsa, parlando dell'Avvento, il Papa ha ricordato che l'uomo è vivo finché attende. Si può oggi risvegliare questa attesa nelle coscienze degli uomini e delle donne del nostro tempo?
    Sarà proprio questo il tema di una delle prediche. Bisogna interrogarsi su come ridestare un mondo secolarizzato, dove ormai si ha perfino vergogna di parlare di eternità. In questo senso Benedetto XVI ha dato un contributo fondamentale con la sua enciclica Spe salvi, nella quale noi riscopriamo la certezza che "nella speranza siamo stati salvati".


    Fonte -




















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  • Bestion.
    00 04/12/2010 13:29
    ... c'è ancora bisogno di santi e di preti?


    La prima predica d'Avvento di P. Raniero Cantalamessa:



    «È in atto una gara tra gli scienziati atei nell'affermare
    la totale insignificanza dell'uomo nell’Universo.
    Lo scienziato ateo, quando dice 'Dio non esiste', giudica un mondo che non conosce,
    applica le sue leggi a un oggetto che e' fuori dalla sua portata»



    'Falso' lo scientismo
    ateo-razionalista

    Redazione

    CITTA’ DEL VATICANO - ''E' ormai una gara tra gli scienziati non credenti, soprattutto tra biologi e cosmologi, a chi si spinge piu' avanti nell'affermare la totale marginalita' e insignificanza dell'uomo nell'universo e nello stesso grande mare della vita''.

    E' uno dei passaggi della prima predica di Avvento del Predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa, pronunciata alla presenza del Papa nella cappella ‘Redemptoris Mater’. Nella meditazione, padre Cantalamessa mette in guarda dai pericoli dello scientismo e si rivolge allo ''scienziato ateo'', che ''quando dice 'Dio non esiste', giudica un mondo che non conosce, applica le sue leggi a un oggetto che e' fuori dalla sua portata''. Cantalamessa, nella predica, pone una netta differenza tra scienza e scientismo (''il rifiuto della scientismo non ci deve indurre al rifiuto della scienza o alla diffidenza nei confronti di essa'') e confuta le tesi di quest'ultimo orientamento, definendole ''false''.

    Quindi esamina la ''posizione che occupa l'uomo nella visione dello scientismo ateo''. ''Questa visione - ha osservato - comincia ad avere dei riflessi anche pratici, a livello di cultura e mentalita'. Si spiegano cosi' certi eccessi dell'ecologismo che tendono a equiparare i diritti degli animali e perfino delle piante a quelli dell'uomo. E' risaputo che ci sono animali accuditi e nutriti molto meglio di milioni di bambini. L'influsso si avverte anche in campo religioso - ha aggiunto -. Vi sono forme diffuse di religiosita' in cui il contatto e la sintonia con le energie del cosmo ha preso il posto del contatto con Dio come via di salvezza''.


    Fonte -



























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  • Bestion.
    00 04/12/2010 14:59
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?



    «È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza.
    Sappiamo così che questo Essere oscuro e conturbante esiste davvero,
    e che con proditoria astuzia agisce ancora;
    è il nemico occulto che semina errori
    e sventure nella storia umana.»

    (Paolo VI - Udienza Generale, 15 novembre 1972)



    "Inferno" (particolare)
    Hieronymus Bosch (1500-1504) - Palazzo Ducale, Venezia


    «Sesso, omosessualità, divorzio, aborto, suicidio, eutanasia, occultismo:
    ecco come riesco a portare gli uomini all’Inferno»



    Faccia a faccia
    con il Maligno

    di Don Giuseppe Tomasselli

    Proseguendo la nostra campagna di comunicazione denominata ‘Non praevalebunt’, promossa per mettere in guardia le anime dall’esistenza reale dell’inferno e del rischio di imbattersi in possessioni diaboliche a causa del peccato e di diverse forme di occultismo, pubblichiamo l’introduzione e il testo di un colloquio intrattenuto dal compianto esorcista Don Giuseppe Tomaselli (nella foto) con uno spirito infernale interrogato con l’autorità della Chiesa durante una preghiera di liberazione. Le domande sono evidenziate in grassetto, come avviene normalmente per tutte le altre interviste pubblicate sul nostro giornale, mentre le risposte sono virgolettate.

    Il Sommo Pontefice Paolo VI, in uno dei suoi illuminanti discorsi, il 15 novembre 1972, accennò al demonio ed al male che esso produce nel mondo. Contro il detto Papa ci fu una levata di scudi, certamente da parte di ignoranti e degli irreligiosi: ma ancora la Chiesa parla del demonio? Ancora si crede a certe dicerie dei secoli scorsi? E’ in circolazione un libretto, dal titolo “Interviste col maligno”. Ho pensato che potrei scrivere anch’io un libretto sul delicato argomento, in quanto da cinquant’anni in qua (1934-1984) ho esercitato il compito di esorcista ed anzi ho avuto non poche volte l’occasione di vedere il demonio, in forma umana, di lottare direttamente con lui, anzi di essere stato preso più volte per il collo e maltrattato. Ho potuto studiarlo, come si vedrà in questo scritto, nelle varie manifestazioni. Inoltre sono stato e sono Direttore Spirituale di anime mistiche, le quali sogliono essere bersaglio diretto e terribile del demonio in persona, e come Direttore di tali anime ho potuto constatare fatti, che sembrerebbero inimmaginabili, eppure io sono stato testimonio per decine e decine di volte. Per svolgere il tema ho dovuto impostare l’intervista in forma ideale, né potrebbe farsi diversamente; però quanto si verrà esponendo corrisponde ai detti ed ai fatti, di cui io sono stato testimonio oculare, auricolare e parte direttamente interessata.


    Melid, intratteniamoci in conversazione, per fare un’intervista. So per studio e per esperienza che tu operi sempre per il male, poiché sei confermato nel male e non puoi volere altro che il male. Ma so anche che pur volendo sempre il male, indirettamente, contro tua voglia, per disposizione divina puoi cooperare al bene, così avviene che tante volte tenti al male e chi vince le tue tentazioni si arricchisce di meriti eterni. Quest’intervista potrà operare molto bene, ed io prego Dio che ti costringa a rispondere ai quesiti che ti presento.
    “Ebbene, Pretaccio, cosa chiedi? Non dimenticare che tu parli con Melid! E dimmi: come sai che io mi chiamo Melid?”.

    Me lo dicesti tu stesso al nostro primo incontro tanti anni or sono. Anzi, allora eravate in due, tu ed il tuo aiutante Ofar. Allora ti chiesi: Come mai siete in due? Voi di solito andate in giro per il mondo o in uno o in tre o in sette e tu mi rispondesti indispettito: Cosa sai tu di questi numeri? - Prima di andare avanti con l’intervista, ti rivolgo una domanda in apparenza inutile, anzi piuttosto sciocca: Tu, Melid, in qualità di demonio, esisti o no?
    “Ignorante! E come potrei non esistere?”.

    Quando ti conviene, dici che esisti; in caso contrario, fai dire sfacciatamente che non esisti. Comunque, dimmi Melid, prima di essere demonio chi eri?
    “Ero un alto ufficiale della Corte Angelica, un Cherubino, ed ora sono un ufficiale di Satana”.

    Ma come ti sei deciso a lasciare il Paradiso ed a piombare nell’Inferno? Non sapevi che c’era preparato l’inferno, perché ti sei azzardato a ribellarti a Dio?
    “Lui, l’Altissimo, disse a me ed ai miei compagni che ci avrebbe messi alla prova, non ci disse che ci avrebbe punito con l’inferno, nel fuoco eterno; ed è fuoco, fuoco!”.

    E quale fu la prova alla quale foste messi tutti gli Angeli?
    “Accettare che il figlio dell’Altissimo avrebbe presa la natura umana e noi, di natura angelica, che è di gran lunga più nobile di quella umana, avremmo dovuto umiliarci davanti a Lui e adorarlo. Lucifero, che splendeva come il sole nel firmamento, si ribellò: ‘Se si farà uomo, disse, non lo servirò, sarò a lui superiore!’. Apparve durante la prova la figura di un uomo”.

    La figura di quest’uomo era coronata di spine o era in Croce?
    “No; era la figura d’un semplice uomo. Grandi schiere di Angeli eravamo del parere di Lucifero. S’ingaggiò una lotta terribile tra Michele e Lucifero e tra fuoco e zolfo d’un colpo precipitammo nel pozzo infernale”.

    Bel guadagno facesti quel giorno, infelice angelo ribelle! Ora sei pentito del male fatto?
    “Pentito? Giammai! Lui, l’Altissimo, non doveva umiliarsi così! Io odio e odierò per sempre il Cristo, perché per Lui mi trovo nell’inferno. Come è ingiusto questo Dio! Un solo peccato io ho fatto e sono condannato nel fuoco eterno; mentre voi con tanti peccati ed assai gravi avete quella Donna (…la Madonna…). L’avessimo avuta anche noi!”.

    Nell’inferno come siete organizzati?
    “Il Cristo vi diede qualche idea, quando gli fu rinfacciato che scacciava i demoni per l’appoggio di Belzebul, dicendo: ‘Come può Satana andare contro Satana. Un regno diviso in se stesso va in rovina, mentre il regno di Satana perdura’. Nell’inferno c’è il vero regno di Satana; Lucifero ne è il capo, il despota. Quelli che eravamo ufficiali di Corte Angelica, ora siamo ufficiali delle schiere infernali. Ero un cherubino ed oggi sono un alto ufficiale del regno di Satana, con il compito più lucroso ed interessante, che è quello di spingere all’impurità’.

    Voi demoni non avete bisogno di dormire, di procurarvi il pane quotidiano e non potete sentire il peso della stanchezza. Come svolgete la vostra attività?
    “Odiando Dio e rodendoci di rabbia e di gelosia contro le creature umane. Sfogando l’odio verso Dio, dovremmo sentire del piacere; invece tutto aumenta la nostra sofferenza”.

    Chiedo un’altra delucidazione. Voi demoni state sempre nel pozzo della fornace ardente o potete anche uscirne?
    “Per permissione dell’Altissimo, Lucifero può mandare demoni in giro per il mondo. Tu da Prete, sai che non si possono scrutare i disegni divini. I demoni che vagano per il mondo, continuano a soffrire, perché sono sempre sotto la mano punitrice di Dio. Però andando in giro per il mondo, possono avere dei sollievi”.

    Comprendo in qualche modo questa situazione, perché Gesù disse: ‘Quando un demonio esce da un uomo, va in giro in cerca di riposo’. E poi tu stesso, Melid, me lo facesti comprendere, quando durante un esorcismo mi chiedesti: ‘Dimmi dove devo andare e me ne vado!’. Và in alto mare nel corpo di qualche pesce, ti dissi. Tu mi rispondesti: ‘Io cerco uomini’. Ed io soggiunsi: ‘E perché non vuoi andare nel corpo del pesce?’. ‘Mi rispondesti: e perché non vai tu a riposare nel corpo delle bestie?’. Dunque, voi demoni che andate vagando per il mondo, pur soffrendo senza interruzione per il vostro stato di dannazione, potete avere degli alti e bassi di sofferenza. Voi demoni, quando andate in giro per il mondo, se Dio lo permette, potete impossessarvi di un corpo umano; ne sono prova gli ossessi; nel Vangelo si parla spesso di questi infelici ossessi. Quando non potete impossessarvi degli uomini, v’impossessate delle bestie, come faceste a Gerasa, al tempo di Gesù, entrando nel corpo di quei maiali che pascolavano. Potete anche impossessarvi di certi luoghi, come potrebbe avvenire nelle stanze ove si fanno le sedute spiritiche, ed ivi potete produrre fenomeni strani e terrificanti, per cui si rende necessaria l’opera sacerdotale con particolari benedizioni…
    “Hai altro da chiedere?”.

    Ancora sono all’inizio. Ti presento una mia constatazione, frutto di esperienza, che riguarda l’ossessione di uomini e di donne. Dato che nel corpo umano godi di un certo riposo, quando ti è permessa l’ossessione, tu fai il possibile per rimanere nel corpo umano e ricorri alle tue numerose astuzie; prima di tutto fai il possibile per non farti riconoscere come demonio, per non essere cacciato. Scegli corpi umani che abbiano qualche malessere, così la gente invece di badare all’ossessione bada alla malattia; nel corpo di certi ossessi ci può essere quindi la malattia e l’ossessione; per non farti cacciare, sovente dici: ‘Sono uno spirito buono e son venuto per aiutare tutta la famiglia’. Tu temi gli esorcismi e, quando sei scoperto, trai in inganno il Sacerdote esorcista sforzandoti di far comprendere l’inutilità degli scongiuri religiosi, cosicché il Sacerdote, non vedendo alcun frutto, lascia gli esorcismi. Anche con me talvolta hai usato questa tattica ed ho cercato di non cadere nella tua rete. Ricordi Melid, quell’uomo che da più di vent’anni tenevi nell’ossessione? Ebbene, ogni giorno facevo l’esorcismo; tu resistevi; cominciai a farlo due volte al giorno ed allora, irato, dicesti: ‘Basta! Non ne posso più! Preferisco ritornare nel pozzo infernale’. Tra le insidie degli ossessi c’è anche questa: quando vieni scoperto sovente dici: ‘Sono l’anima della tale persona uccisa’. Ricordi, Melid, quando in un esorcismo domandai: ‘Chi sei?’. Mi rispondesti: ‘Sono il maresciallo Bluetti di Palermo, ucciso sedici anni fa’. Man mano che incalzavano le preghiere, ti rivelasti: ‘Si, sono il demonio! E perché vuoi cacciarmi? Che male faccio a questa creatura? Melid, vorrei sapere perché voi demoni preferite ritornare nell’inferno, anziché subire gli esorcismi…
    “Quando siamo nell’inferno la sofferenza è grande; durante l’esorcismo la sofferenza è grandissima. Nell’inferno siamo, per così dire, lontani da Dio; durante l’esorcismo siamo vicini alla Divinità ed aumenta la sofferenza, come quando c’è una fornace ardente; più ci si avvicina e più aumenta il calore”.

    Chi l’avrebbe mai detto che tra te, Melid, e me avrebbero dovuto attuarsi tanti rapporti, non di buona amicizia, ma di vicendevole lotte? E che lotte! Più volte mi chiedo, scherzando: ma Melid come mai sente tanta attrattiva verso di me? Mi segue di notte e di giorno per tormentarmi nello spirito e nel corpo. Tu, o demonio, sei tanto industrioso nel disturbarmi, però essendo angelo delle tenebre, preferisci molestarmi o apparirmi nelle ore notturne.
    “Pretaccio, ci vuole poco a comprendere il motivo della mia condotta nei tuoi riguardi. Io lavoro per strappare anime a Dio e tu lavori per rubarmi anime. Spendi la tua vita a scrivere e diffondere libretti religiosi popolati ed i lettori credono ciò che tu scrivi”.

    Ma se tu sei potente, allorché scrivo contro di te libri e ne ho scritti quattro direttamente contro di te, perché non mi paralizzi la mano?
    “Non posso. Quel tale (Dio) non lo permette”.

    Ricordati, Melid, cosa facesti un paio di mesi addietro? Stavo per levarmi dal letto, erano le ore sei, venisti nella mia camera arrabbiato e mi afferrasti per il collo; avresti voluto strozzarmi. Io sentivo le tue manacce al collo e nelle altre parti del corpo. La lotta fu forte…
    “Ma vincesti tu, perché il Cristo ti ha dato un’arma alla quale non posso resistere. E’ l’invocazione del Sangue di Cristo, invocazione, che tu ininterrottamente ripeti quando sono addosso a te. Quella mattina tu avevi pronti per la spedizione due mila libri e per questo motivo ti piombai addosso”.

    Mentre siamo nell’argomento delle tue manifestazioni dirette, chiariscimi qualche circostanza un poco oscura. La notte dl 24 maggio 1963, venisti nella mia camera. Eri sotto le sembianze di una donna, anzi un donnone. Ti sei gettato addosso a me. Io cercai di resistere, come al solito; in un dato momento mi rendesti del tutto immobile. Allora mi toccò subire il tuo assalto. Tu sai che quando noi due lottiamo, istintivamente ti do’ dei morsi alle mani e alle braccia, con le mie mani ti tocco, però quando ti do’ i morsi, coi denti non stringo nulla. Come mai che con le mie mani ti tocco, ovvero sento le tue membra che toccano me, e con i denti non stringo nulla?
    “La spiegazione l’avesti quella stessa notte. Subito dopo l’assalto di quella donna, tu mi vedesti in forma umana presso il tuo letto. Allora facesti uno studio su di me. Ti fermasti ad osservare la mia carnagione, i nervi, le vene e l’ossatura. Vedevi il corpo umano, in pelle ed ossa. Ti venne l’istinto di toccarmi; appena la tua mano toccò la mia mano, sull’istante io scomparvi e tu rimanesti solo in camera. Noi demoni, sebbene ribelli, abbiamo conservata la nostra natura angelica, con l’intelligenza, che supera ogni intelligenza umana. Conosciamo tanti segreti di natura, per cui possiamo prendere qualunque forma sensibile e possiamo anche far vedere ciò che non esiste fisicamente o non far vedere ciò che esiste oppure far provare o no le varie sensazioni. Il corpo di quella donna che sentivi addosso ed il corpo umano che vedesti, non esistevano come tali, però agivano come se esistessero fisicamente”.

    Perché questo assalto avvenne in quella notte?
    “Per uno sfogo di rabbia contro di te, perché il giorno precedente eri stato ricevuto dal Papa in udienza privata ed avesti modo di fargli le tue confidenze, cosa che mi era dispiaciuta”.

    Mi pare che tanti assalti me li fai a proposito ed a sproposito. Ricordi, Melid, che anni or sono mi assalisti nel cuore della notte? Venisti nella mia stanzetta, al solito ti avventasti al collo, ma potesti fare poco, perché come tu vedesti, apparve una mano minacciosa sulla spalla del mio letto e tu, dopo pochi minuti, dovesti lasciarmi e partire. Ed alla fine di luglio del 1983, quando ero a Fiuggi, nella Pensione Santa Chiara, perché venisti a lanciare una bomba a mano nella mia stanza? Che colpo e che esplosione! Io dissi: questa volta Melid avrà fracassato lavandino, specchi ed altro! Invece tutto rimase intatto.
    “Volli disturbarti perché a Fiuggi con le tue quotidiane conferenze vespertine, mi strappasti delle anime, che avevo io e ritornarono a Cristo”.

    Melid, ci fu un lungo periodo in cui i tuoi assalti erano molto frequenti.
    “Certamente, perché allora scrivevi libri senza interruzione, stando nella quiete di una montagna. Ad ogni libro che scrivevi, aumentava la mia rabbia, allora ti assalivo anche in forma di ossessione”.

    A proposito, in quel tempo ebbi la voglia di constatare come t’impossessavi di me. Gesù mi accontentò. Una sera, mentre mi disponevo al riposo, trovandomi nella mia stanzetta, all’improvviso udii come l’appressarsi di un ciclone, preceduto da un sibilo acuto, all’altezza di un metro dal letto. Contemporaneamente fui in tuo possesso e mi trovai in un antro diffuso di penombra. Eravate in tre, con la faccia nera. Gli altri due si misero a sedere e guardavano la scena della lotta che si svolgeva tra noi due. La lotta fu forte e si protrasse per dieci minuti poiché appena mi lasciasti controllai l’orologio. Melid, quante seccature mi procuri e sotto quante forme ti manifesti a me, anche lungo le vie, come facesti; in questa mia città, proprio in piazza; nella nottata a Firenze, nel ricovero, sotto forma di guardia notturna. Vorrei sapere che vantaggio hai quando moltiplichi le seccature su di me. Se sto a letto, ecco uno squillo di campanello sotto le coperte, ovvero sotto forma di sparviero, batti le ali fortemente e ripetutamente sul guanciale, oppure ti corichi al mio fianco e mi fai sentire anche i tuoi respiri. Ed inoltre che gusto quando lungo il giorno mi regali dei pugni alle spalle, oppure come un ragno m’invadi la faccia e ricordo anche quando mi facesti sentire un grosso ago, che partendo dalla sommità del capo, mi traforò testa e faccia fin sotto il mento! In realtà non c’era nulla, ma mi facesti sentire il dolore di una vera trafittura. E che gusto hai quando mi fai sentire la tua vociaccia sguaiata?
    “Pretaccio, ci vuole così poco a comprendere! Siccome tu mi produci delle seccature con le varie forme di apostolato, io mi disobbligo con altrettante seccature. Piuttosto, non hai paura di me? Io sono Melid ed ho tanta possibilità di ridurti un cencio!”.

    Veramente solo qualche volta ho avuto un po’ di tremarella alla tua presenza, ma subito mi scomparve, pensando che tu non sei libero e non puoi scostarti un palmo dalla volontà di Dio. Difatti quando mi hai minacciato, ti ho detto sempre: Non ho paura! Se Dio te lo permette, agisci pure; diversamente non puoi farmi nulla. Ricordi la minaccia fattami l’altra volta? ‘Pretaccio, vedrai ciò che ti farò questa notte!’. La notte ti aspettavo e venisti, ma non potesti entrare nella mia stanza; battevi alla porta, ma non potevi entrare. Melid, entriamo in altro argomento. Tu sai come Gesù si sceglie delle anime direttamente e le mette nello stato mistico. Costoro sono il battaglione d’assalto contro voi demoni. Hanno le stimmate, la corona di spine, godono di tante visioni celesti. Soffrono però assai perché devono salvare moltissime anime. Voi demoni le conoscete una ad una queste anime privilegiate.
    “E si che le conosciamo, le seguiamo singolarmente notte e giorno, come conoscevamo e seguivamo Padre Pio. Se il lavorio di Cristo in tali anime è di cento gradi, il nostro lavorio diabolico è almeno di novanta gradi. Noi lottiamo direttamente le anime mistiche ed indirettamente lottiamo contro il Direttore Spirituale di ognuna di esse. Io so che tu sei stato da lunghi anni e lo sei ancora Direttore Spirituale di parecchie anime privilegiate. Questo tuo compito deve farti comprendere la rabbia che sento verso di te. Ed ora cosa vorresti sapere?”.

    Soltanto qualche delucidazione. Non ti accenno la storia delle diverse anime mistiche; mi soffermo solo su di una di esse, che seguo e dirigo da circa trentacinque anni. Tu sai di chi intendo parlarti, di quella donna, martire della Vocazione Religiosa. Dall’infanzia Gesù si manifestava e la scelse quale vittima straordinaria. Gesù le ispirò il forte desiderio di divenire Suora, secondo la foggia dei vari Monasteri; ma per la tua malvagia opera non riusciva a professare e veniva cacciata senza pietà da tutte le Comunità. Tu, Melid, ricordi ciò che avvenne a Torino, nell’Istituto delle Suore di Sant’Anna, nei pressi del Rondò? Nel periodo in cui aveva indossato l’abito religioso, tu ogni sera, mentre la Comunità era a riposo, aprendo le porte chiuse ed il portone di ingresso, afferravi la giovane e con essa sulla motocicletta per qualche ora andavi in giro per la città. Gli abitanti del vicinato erano scandalizzati a vedere un giovanotto, che eri tu, andare in giro con una giovane, vestita con l’abito religioso. La storia si ripeteva ogni notte verso le ore undici. Fu informata la Superiora, che non voleva credere, finché un giorno davanti a molte persone presentò tutta la Comunità, dicendo: indicatemi tra le presenti la giovane che avete accusata. Tutti a dire: E’ quella! E’ Quella! L’indomani un telegramma informò i parenti della giovane, al quale fu cacciata. Ricordi ancora Melid, come quella giovane fu accettata in prova nella Comunità delle Suore a Castelfidardo? Anche lì facesti il resto. Un giorno, mentre le Suore erano nel Coro per l’ufficiatura, ti presentasti in forma umana e la Superiora ti poté vedere. All’improvviso togliesti l’abito alla giovane e la lasciasti nel Coro in mutandine. Tutte le Suore scapparono inorridite ed al più presto la giovane fu mandata a casa. Tu, Melid, t’incaponivi ed anch’io mi incaponivo nell’ardua impresa, in qualità di Direttore Spirituale. Cercai un Monastero di Clausura, informai di tutto l’Abbadessa, la quale si decise ad ammetterla in Comunità. Anche qui continuarono le vessazioni diaboliche, più forti e più frequenti che altrove. Io moltiplicavo le mie visite in questo Monastero. L’Abbadessa mi confidava tutto e sembrava coraggiosa, anche quando tu ti facevi vedere ad essa apertamente. La giovane era allenata ai tuoi malvagi colpi e gliene preparavi uno piuttosto strano. Era stata ammessa alla vestizione religiosa; alcuni giorni prima le tagliasti la chioma dei capelli, che al presente io tengo conservata come ricordo. Questo fatto mise in apprensione l’Abbadessa, perché durante la funzione era prescritto il taglio con le forbici di tre ciocche di capelli, cosicché al momento prescritto dovette fingere di tagliare i capelli che non c’erano. Dimmi Melid, che scopo avevi allorché tagliasti la chioma?
    “Un giorno la giovane aveva fatto un atto di vanità per la sua bella chioma castana e l’Altissimo mi permise quel taglio come riparazione all’atto di vanità”.

    Ma non ti fermasti qui; la notte la portavi in giro per la città. In conclusione, la martire della Vocazione Religiosa fu cacciata dal Monastero. Fu mio dovere interessarmi al caso. Nella città di mia dimora conoscevo un ottimo Sacerdote, Parroco. Lo informai di tutto, lui prese a cuore il caso pietoso e l’affidai a lui, dicendogli; se capiteranno fatti strani, mi chiami al telefono e subito verrò, perché so il da fare. Non passò molto e una mattina il Parroco mi chiamò al telefono: venga subito qui. Eravamo in due sacerdoti nella stanzetta della giovane, la quale era a letto, distesa sulla coltre, vestita e ben composta; il volto era sanguinante, con parecchie piaghe, una alla fronte, un’altra al mento, due agli zigomi della faccia e le labbra bruciacchiate. Le mani erano legate strettissimamente ai polsi, tanto che erano divenute nere. Non era la prima volta che avveniva ciò e quindi non mi fece tanta impressione. Chiesi alla giovane, che nell’assieme era serena: cosa è capitato? ‘Ieri sera, verso le undici ero in ginocchio presso il letto. Venne il demonio, mi afferrò come suole fare sempre e mi portò in giro. Questa mattina verso le ore cinque mi portò qui. Prima, toccandomi, mi bruciò la faccia poi mi legò le mani’. Reverendo, io dissi al parroco, non si preoccupi; siccome questi fatti si sono ripetuti tante volte, la signorina sa come medicarsi; però sappia che dopo una settimana il volto non avrà traccia di queste ferite e la carnagione ritornerà fresca come quella di una bambina. Lui stesso col coltellino tagliò il laccio che legava le mani. Ora, Melid, ti chiedo: perché tratti così questa giovane?
    “Con la sua vita di vittima mi strappa tante anime ed io, non potendo fare altro, la tormento notte e giorno. So che vincerà il Cristo, ma almeno sfogo la mia rabbia”.

    Melid, hai dei potenti nemici e sono quelli che abitualmente sono nell’intima amicizia con Dio e che compiono un fruttuoso apostolato. Ma purtroppo hai tanti amici e spesso sono coloro che negano la tua esistenza. Non credono in te, ma seguono le tue direttive; negano l’inferno e vivono serenamente in peccato, intenti solo ad appagare le loro passioni. Hai anche un’altra categoria di amici e sono quelli che si mettono in tua relazione con le sedute spiritiche, specialmente i medium. Tu desideri che i medium ed il loro amici curiosi ti chiamino. Costoro credono di chiamare l’anima di qualche trapassato e d’ordinario non sanno che sei proprio tu a rispondere alle loro domande. Tu hai interesse a camuffarti, perché nelle sedute spiritiche intendi inculcare la reincarnazione, fai credere che i defunti chiamati siano persone extraterrestri, vaganti per la purificazione. Tu sai che accettando la reincarnazione, resta annullato l’inferno. Ricordi, Melid, come un giorno io ti domandai: ‘Melid, a nome di Dio, rispondi! Non è vero che la reincarnazione che tu inculchi è un trucco?’. Tu mi rispondesti: ‘E se tu sai che è un trucco, perché mi domandi? Anche quando semino la menzogna c’è chi mi crede’. Spiegami qualche cosa riguardo alle sedute spiritiche. Il medium chiama un trapassato ed i presenti credono che alle domande di curiosità risponda il dato defunto. Tante volte tu, Melid, ti comporti da mansueto, istruendo con menzogne i presenti. Talvolta ti dimostri irato. Perché? Difatti più di una persona mi hai riferito ciò che è avvenuto alla loro presenza. In questi giorni venne a trovarmi un giovanotto, che era sbalordito. Mi disse: ‘sono stato a Vicenza. Con un gruppo di amici chiamammo l’anima di un tale: Il medium cominciò a sentirsi male e gettava bava dalla bocca. All’improvviso i quadri e ciò che stava sulle pareti della stanza cominciarono ad agitarsi. La scrivania, presso la quale stavano i giovanotti, si sollevò da terra a più di un metro di altezza ed andò ad attaccarsi a duna parete della stanza stando sospesa da sola: dopo si rovesciò sul pavimento. Io ed i miei compagni uscimmo spaventati. Eravamo quattordici ed ognuno aveva la motocicletta sulla via. Nessuna delle moto funzionava; erano tutte bloccate’. Mi diceva quel giovanotto: ‘io non vorrò trovarmi più in simili circostanze. Che spavento! In altre sedute spiritiche non era avvenuto nessun disordine’. Dimmi Melid, perché avvenne quel putiferio?
    “Potresti comprendere il motivo. Quantunque chi assiste d’ordinario è poco religioso, o impuro, o da anni lontano dai Sacramenti, casualmente c’è chi tiene addosso qualche oggetto sacro o del Cristo o di quella Donna, mia nemica, ed allora faccio pagare ai presenti la loro invocazione con forti spaventi”.

    Melid, la nostra intervista non è completa, se non rispondi ad altre domande più interessanti delle precedenti. Rispondi: tutti i demoni avete la stessa forza?
    “No; il Cristo ce l’insegnò, quando disse agli Apostoli incapaci a scacciare il demonio da un ossesso: ‘Questo genere di demoni si vince con la preghiera e col digiuno’. Il genere più forte è quello dell’impurità. I demoni impuri siamo i più potenti e ci è facile vincere nella lotta. Uno dei capi di questa categoria di demoni sono proprio io’.

    So che uomini e donne hanno il dono della libertà. Quindi, se vogliamo, possiamo superare ogni vostro assalto.
    “In teoria è così, ma in pratica no. Noi abbiamo tanta intelligenza e conosciamo le tendenze umane. Sappiamo prendere ciascuna creatura per il proprio verso e con le nostre tentazioni impure ottenebriamo le intelligenze e pieghiamo le volontà, come col fuoco si piega anche l’acciaio. La tattica più efficace è saper prendere donne e uomini con l’amo del cuore. Quando prendiamo per il cuore, il novanta per cento di volte cantiamo vittoria”.

    Io credo che voi demoni siate specializzati, come sono specializzati i soldati dell’esercito terreno: chi combatte in aria, chi a mare e chi sulla terra ferma. Quindi ci saranno tra voi demoni che per un nonnulla spingono alla bestemmia, all’odio, al furto, all’ateismo, ecc. Però penso anche che tante specie di peccati se si fanno poche volte, si riesce facilmente a detestarli, mentre l’impurità, dopo poche cadute, non si suole detestare ed è raro il correggersi. Melid, più volte ti ho chiesto negli esorcismi: qual è il peccato che manda più anime all’inferno? Tu mi hai risposto: ‘Non occorre che io te lo dica; tu lo sai’. Secondo me è l’impurità.
    “Vedi che lo sai! Tutti coloro che stanno nel pozzo infernale, vi si trovano per l’impurità. Hanno fatto anche altri peccati, ma si sono dannati sempre per questo peccato o anche con esso”.

    Cosa pensi tu di tutti quelli che vivono nell’immoralità?
    “Penso che sono già scritti nel registro dei dannati e che solamente una grande grazia potrebbe cancellarli”.

    Dunque, sono scritti nel libro dei tuoi schiavi i divorziati e le divorziate?
    “L’Altissimo, davanti al quale tutto deve essere puro e senza macchia, non accetterà nel suo regno dei Beati coloro che trascorrono la vita nel quotidiano peccato impuro. Sono stato io ed altri miei compagni a convincere i capi di Stato ad emettere la legge del divorzio, facendo comprendere che questa legge è un’esigenza del progresso dei popoli. I primi a pagare questa legge, che tu, Pretaccio, chiami iniqua e che io invece chiamo tesoro del mio regno, saranno i legislatori, responsabili dei peccati impuri dei divorziati e poi sono responsabili uomini e donne che hanno accettato la pessima legge”.

    Sventurati i divorziati, che per una breve vita di piacere passeggero, in eterno dovranno soffrire i tormenti che al presente tu stesso devi subire!
    “Io, Melid, faccio comprendere a costoro che le parole del Cristo sono da disprezzare e non faccio riflettere che con l’Altissimo c’è poco da scherzare”.

    E delle numerose prostitute cosa sarà?
    “Le tengo strette al mio cuore, affinchè nessuna mi lasci. La catena più forte per loro è il piacere e la brama di denaro. L’inferno è ampio e c’è il posto preparato per ciascuna di loro”.

    A te, Melid, piacciono di più i peccati privati, solitari, che non hanno ripercussioni sugli altri, oppure i peccati che danno scandalo e spingono gli altri al male?
    “Certamente io preferisco gli scandalosi, perché con essi i peccati si moltiplicano. Il mondo è pieno di scandali e perciò io e i miei compagni stiamo più vicini agli scandalosi, che sono i nostri migliori aiutanti”.

    Gesù Cristo dice: ‘chi segue me, non cammina nelle tenebre… Il Cielo e la Terra passeranno, ma le mie parole, non passeranno; è impossibile che non avvengano scandali. Ma guai al mondo per gli scandali e guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Sarebbe meglio se si legasse al collo dello scandaloso una macina da mulino e venisse gettato nel profondo del mare’. Io mi domando: se le parole di Gesù, Redentore e Giudice Supremo dell’umanità, sono così terribili, come possono gli scandalosi vivere in tanta serenità?
    “Intervengo io; faccio l’anestesia spirituale, invisibile ma reale. Come il medico, fatta l’anestesia, può tagliare ed anche mutilare un corpo umano, senza che l’ammalato senta dolore, così agisco io; non faccio riflettere sulla responsabilità degli atti umani davanti al Creatore e così resta annullato ogni rimorso; tutto è considerato lecito”.

    Venendo ai particolari, che sistema adoperi con le varie categorie di persone immorali?
    “Faccio travisare gli ordini del Creatore, il quale ha dato un corpo umano quale strumento di procreazione. Lavorando nella mente degli impuri, li persuado che la continenza corporale non è possibile. Dopo questa convinzione, sobillo le passioni secondo il sesso, l’età e le varie circostanze che la vita presenta”.

    Quali potrebbero essere tali circostanze?
    “La esagerata ed imprudente familiarità tra uomini e donne ed in generale gli spassi che sollecitano i latrati delle passioni”.

    Credo che il televisore sia uno dei mezzi più efficaci per il tuo lavoro diabolico. Usato in bene è fonte di bene; usato male, è torrente d’iniquità. Nelle tarde ore della notte sono trasmesse scene più immorali ed anche sconcertanti.
    “Io eccito la curiosità agli adulti, ai giovani ed ai ragazzi, saziando le loro brame immorali”.

    Poi se la vedranno con Dio, giusto Giudice, i fautori di tali perfide trasmissioni, i padroni del televisore e coloro che vi assistono. Prima la scuola dell’immoralità soleva essere fuori dell’ambiente familiare; oggi, col televisore male usato, si trova in casa. E che dire dei films cattivi? La massa degli spettatori si sazia d’impurità e voi, demoni impuri, tenete nelle vostre reti infernali queste masse di ambo i sessi, che non sempre si contentano degli sguardi e dei pensieri e giungono anche più in là.
    “Tutti costoro, come hai detto bene, stanno dentro la mia rete, ma inebriati al piacere impuro non vedono la mia rete. La vedranno in seguito, quando non avranno più rimedi nella fornace ardente eterna. Tu, Pretaccio, pensi che televisori e films siano i soli mezzi di cui mi servo per popolare l’inferno? Come il pastore gode a vedere un grande prato ricco di erbe fresche, così e più ancora godo io a vedere la massa femminile con la moda moderna, specialmente sulle spiagge. Con ansia noi demoni dell’impurità aspettiamo il periodo estivo per legare più uomini e donne alle nostre reti d’impurità”.

    Melid, Gesù l’ha detto espressamente; se un uomo guarda una donna con cattivo desiderio, ha già peccato con lei nel suo cuore. Infelici donne incoscienti! Sappiate che c’è l’impurità del corpo e quella del pensiero: chi può numerare i cattivi pensieri e desideri che suscita negli uomini dissoluti la vostra moda invereconda lungo le vie e specialmente nelle spiagge, ove stanno schiere di demoni impuri? Voi agite così sulle spiagge per lavare il corpo ed imbrattare le vostre anime e quelle di chi vi guarda maliziosamente! Volete evitare il calore della stagione coi vostri bagni a mare e non pensate che vi preparate il fuoco eterno! Voi al pensiero del fuoco eterno ci ridete su, ma non ci ridono le donne che vi hanno precedute con la morte e che al presente stanno pagando coi dannati!
    “Io sono molto intelligente e, per riuscire nel mio compito nel mondo, suscito la debolezza della correzione nei genitori di tante giovani donne, i quali sono i primi responsabili della moda indecente delle figlie. Alle donne immodeste nel vestire faccio comprendere che non c’è nulla di male a portare l’abito indecente, in quanto ormai sono molte le donne che vestono così. Per la libertà nelle spiagge insinuo la voglia di essere guardate ed ammirate. Pretaccio, ti manifesto ciò che non sai. Nell’inferno ci sono attualmente le donne più belle del mondo, quelle che in vita si sono servite della loro bellezza fisica per sedurre gli uomini”.

    Ma perché queste donne immodeste nel vestire non pensano che si ha da morire e che il loro corpo diventerà pasto dei vermi?
    “Sono io, Melid, che allontano dalla loro mente questi pensieri, che potrebbero farle staccare da me. Lavorio simile faccio con coloro che si dilettano con il ballo, nei veglioni ed anche nelle famiglie”.

    Certo che il tuo lavorio con gli amanti della danza non è vuoto di frutti impuri, poiché la musica lasciva ed i movimenti richiesti dai balli moderni sono stati inventati per svegliare ed eccitare la concupiscenza. Anche costoro appartengono al tuo regno diabolico. Sono convinto che pure la lettura e la stampa pornografica siano veleni dell’immoralità, di cui ti servi largamente per rovinare le anime.
    “Certamente! I libri che allettano le passioni e le immagini scandalose sono armi potenti a mio servizio. Distolgo dalla sana lettura, inoculando l’antipatia per essa ed eccito la voglia delle cose impure. Gli scrittori sanno questo e per amore del guadagno riversano nelle pagine dei romanzi e dei rotocalchi i semi dell’impurità, che hanno loro nel cuore; queste letture eccitano i sensi e la smania del piacere nei lettori e così le mie prede aumentano sempre di più”.

    Melid, fammi conoscere la tattica che hai per il cambiamento di coscienza e di carattere in seno alle famiglie. Ragazzi e ragazze, prima buoni, ubbidienti, studiosi, frequenti alle sacre funzioni e facili a comunicarsi, appena chiuso il periodo dell’infanzia molti di costoro, man mano che crescono, lasciano i Sacramenti, disprezzano la preghiera e sentono antipatia ed anche odio per tutto ciò che riguarda la religione.
    “E tu, Pretaccio, non sei capace di comprendere il motivo dei cambiamenti? Quando si è nel periodo d’infanzia, d’ordinario le passioni non si fanno sentire o sono molto deboli. Passata l’infanzia, comincia la pubertà con il relativo risveglio della concupiscenza. Per uscire vittoriosi da questo periodo occorre la grazia di Dio, che viene con la preghiera, con la vigilanza e la buona volontà. Non tutti si appigliano a questi mezzi, perché intervengo io e brigo per far gustare la droga che si diffonde oggi nel mondo, provata una o poche volte non si può più tralasciare e si direbbe che diventi un bisogno impellente, così e peggio ancora avviene quando si è assaggiata la droga dell’immoralità. Si cade, si ricade e si diventa abulici. Se poi sopraggiungono altri coefficienti, può arrivarsi alla schizzofrenia, che la medicina non può riuscire a curare. Quanti, specialmente del sesso maschile, giungono alla pazzia e devono interrompere lo studio o il lavoro, perché dominati dalla mania dell’impurità. Non sempre la schizzofrenia è causata dall’abuso delle passioni, ma una delle cause più importanti è proprio questa. Naturalmente chi è dominato dalla mania del sesso, giunge a rivoltarsi a Dio, il quale prescrive il freno delle passioni”.

    Melid, tempo fa ti chiesi: ‘Cosa mi dici riguardo alla gioventù maschile?’. Tu, festosamente, mi rispondesti: ‘Eh, i giovani di oggi vanno in cerca di scrofe!’. ‘E della gioventù femminile? Esultando dicesti: ‘Eh, le giovani fanno peggio dei giovanotti’. La gioventù moderna in gran parte è bruciata dall’impurità. E delle famiglie cosa hai da dire? Il matrimonio è un Sacramento e perciò la convivenza dell’uomo con la donna, quando è secondo la legge di Dio, è apportatrice di bene.
    “Nelle famiglie intervengo anche io in mille modi e tu, Pretaccio, ne sei a conoscenza. Quante miserie morali ci sono prima del matrimonio! In questo cooperano spesso i genitori, i quali lasciano i figli e le figlie nel fidanzamento con poca o nessuna vigilanza, specie nelle ore della sera, andando in giro in macchina o a piedi. Io colgo il momento opportuno per tentarli e farli cadere. A loro interessa che il giorno delle nozze la donna abbia l’abito bianco. Sfrutto la debolezza e l’ignoranza di tanti genitori, che lasciano alle figlie massima libertà di uscire di casa e di rincasare quando vogliono. Il numero delle ragazze-madri aumenta sempre più, perché a questo riguardo svolgo bene il mio compito di tentatore. Durante la vita matrimoniale i miei assalti non sono interrotti: sovente riesco a convincere i genitori a non accettare i figli e li uccidono prima di nascere. Tante volte tendo insidie per rallentare l’affetto e riesco a far legare il cuore dell’uomo alla donna di un altro uomo e meglio ancora riesco a legare il cuore della donna all’uomo di un’altra donna. Per mezzo dello spirito d’impurità, giungo al punto della separazione legale, distruggendo l’amore naturale verso i figli”.

    Quale altra insidia metti in atto?
    “Faccio pensare che prima la separazione coniugale era considerata motivo di disonore, mentre col progresso è considerata una cosa necessaria, perché al cuore non si comanda e la libertà non può essere violata da nessuno. I frutti del mio lavoro diabolico sono grandi, perché col pungolo dell’impurità trascino uomini e donne dove voglio io”.

    E così li trascini all’inferno.
    “Certamente! Avvenuta la morte, avranno la mia sorte, là, dove c’è in eterno pianto, rimorso e stridore di denti”.

    Ora, Melid, ti comando di rispondere all’ultima richiesta. So bene che non vorrai rispondere, ma te lo comando!
    “E chi sei tu, Pretaccio, che pretendi di darmi comandi?”.

    Io sono misera creatura, ma come Sacerdote e Ministro di Dio, per l’autorità divina inerente al mio Sacerdozio, ti ordino di rispondermi dicendo la verità. Secondo le risposte che mi hai dato sinora, sembrerebbe che tutto il mondo sia in tuo possesso a causa dell’immoralità. Ma nel mondo oltre al tuo regno c’è anche il Regno di Dio. Il male fa più rumore del bene, ma quanto bene c’è anche oggi nell’umanità. Non si possono contare le anime che con voto solenne e privato servono Dio nel celibato! Quanti, uomini e donne, osservano la purezza sino a farsi uccidere anziché peccare; quanti genitori osservano con regolarità ammirevole i doveri della continenza matrimoniale! Quanta gloria danno a Dio queste schiere di anime! A proposito di anime buone, vittoriose nelle tentazioni, dimmi quali cose odi e temi di più?
    “Due cose: la prima è la preghiera e la seconda è la fuga dalle cattive occasioni”.

    E perché temi la preghiera?
    “Essa è il primo passo verso Dio, attira le sue grazie e mi riesce difficile attirare a me chi prega molto e con fede e perseveranza. Tutti coloro che ora stanno all’inferno non pregavano, o pregavano poco e piuttosto male. Odio specialmente la preghiera rivolta a quella Donna, il cui nome noi demoni non nominiamo mai. La seconda cosa che odio è la fuga dalle occasioni cattive. I miei schiavi a motivo dell’impurità non solo non fuggono le male occasioni, ma ne vanno a caccia, cercandole avidamente”.




    Fonte -



















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  • Bestion.
    00 04/12/2010 22:09
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?



    «Era evidente che l'azione dei media non fosse guidata solamente dalla pura ricerca della verità,
    ma che vi fosse anche un compiacimento a mettere alla berlina la Chiesa e, se possibile, a screditarla ...
    E poi i media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato»



    "Visione di S. Pietro Nolasco della Gerusalemme celeste"
    Francisco de Zurbarán (1629) - Museo del Prado, Madrid


    «Solo perché il male era dentro la Chiesa,
    gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei»

    (Benedetto XVI - dal libro-intervista "Luce del mondo")



    Sul peccato nella Chiesa
    di Francesco Colafemmina

    Ci si domanda da più parti se sia opportuno o meno parlare del peccato nella Chiesa. Se sia opportuno o meno indagarne le ragioni, esporne le manifestazioni. Ciò costituisce un detrimento, una minaccia per la Chiesa? E' in definitiva un male? Sarebbero preferibili il silenzio e la preghiera?

    Per rispondere con i miei limiti a queste osservazioni, credo sia opportuno cominciare da un punto fondamentale: i peccati non sono "della Chiesa" ma, al massimo, attribuibili ad "uomini di Chiesa". Non si tratta, infatti, di peccati collettivi, ma di singoli peccati che possono accomunare alcuni membri della gerarchia ecclesiastica. Ciò facilita notevolmente l'approccio al problema. E' infatti innegabile che la Chiesa, come divina istituzione, sia Santa. Ma la Chiesa è composta anche da peccatori. Sbaglia, però, chi crede nella trasmissione del peccato - quasi per osmosi - dal peccatore all'istituzione divina, spesso ricorrendo all'improvvida interpretazione del "casta meretrix" di Sant'Ambrogio onde riconoscere nella Chiesa una duplice e ossimorica connotazione morale. Il peccato è infatti un atto personale, frutto del libero arbitrio che Dio ci ha donato. Il vero problema è però la "cooperazione" al peccato, ossia, secondo il Catechismo (n.1868) : "la responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo prendendovi parte direttamente e volontariamente;— comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;— non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;— proteggendo coloro che commettono il male."

    In questo senso anche gli uomini di Chiesa hanno profonde responsabilità. E queste responsabilità non sono schermate da alcun tipo di immunità, giacché essi sono uomini come noi, deboli ed esposti al peccato. Quando però gli uomini di Chiesa cooperano al peccato di altri chierici, non solo si rendono cooperatori del peccato ma diffusori di scandalo, secondo quanto sancito dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n.2285: "Lo scandalo assume una gravità particolare a motivo dell'autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha ispirato a nostro Signore questa maledizione: « Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli, [...] sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare » (Mt 18,6). Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi rapaci in veste di pecore."

    Ecco quindi spiegate, a mio parere, le ragioni per le quali ha un senso parlare anche dei peccati volgarmente detti "della Chiesa", ossia di quei peccati commessi dalle gerarchie ecclesiastiche. Parlarne dovrebbe avere pertanto una doppia funzione:

    1) esortare alla preghiera l'intero Corpo Mistico: solo con la preghiera si combatte il peccato e la tentazione. Con la preghiera si intercede per i peccatori ed i persecutori della Chiesa (interni ed esterni). Con la preghiera infine ci si mette "in comunicazione" con il Signore: l'intero Corpo Mistico è così pervaso da quest'univoco movimento verso Cristo, origine e fine della sua esistenza.

    2) esortare gli uomini di Chiesa a non perseverare nel peccato e ad essere più degnamente conformi alla loro autorità e al loro insegnamento: solo attraverso la coerenza e il senso della responsabilità si evitano gli scandali e si è fedeli al proprio ministero.

    Non credo si debba aver timore nell'affrontare queste problematiche, e soprattutto non credo sia opportuno temere la strumentalizzazione anticristiana di coloro che affrontano gli scandali degli uomini di Chiesa. Perché due sono le strade: o tacere tollerando o peggio maldestramente giustificando gli scandali, o parlare con retta intenzione delle ragioni alla radice degli scandali onde l'innesto che non dà frutto sia reciso e sostituito da innesti fruttuosi per la Chiesa di Cristo. Le vie di mezzo non sono concesse perché riuscirebbero ambigue o compromissorie. Il peccato e lo scandalo, infatti, o ci sono o non ci sono. Tollerarli fino a quando non esplodono significa soltanto aggravarne il carico malefico. Se invece ne spieghiamo le ragioni, se, soprattutto, attraverso testimonianze autentiche e grazie all'indirizzo che il Sommo Pontefice ci offre, riusciamo a intravvedere le vie attraverso le quali il male si è insinuato nel seno della Chiesa, potremo ritrovare le energie e la forza per sconfiggerlo o per lo meno ridurne la portata, evitando gli scandali futuri.

    E' vero, d'altra parte, che Cristo affermò che "è necessario che avvengano gli scandali" ma è altrettanto necessario leggere per intero il passo evangelico da cui è tratta questa frase usata spesso per minimizzare o banalizzare gli scandali: "Perché chi dovesse scandalizzare uno di questi piccoli che credono in me, conviene che gli si appenda una mola da asino al collo e lo si affoghi nell'abisso del mare. Guai al mondo per gli scandali: è necessario che gli scandali avvengano, ma guai a quell'uomo per mezzo del quale avviene lo scandalo. Se la tua mano o il tuo piede ti scandalizza, tagliali e gettali via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che, avendo due mani e due piedi, essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti scandalizza, strappatelo via e gettalo lontano da te: è meglio per te entrare nella vita con un solo occhio che avendo due occhi essere gettato nella Geenna del fuoco. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli: infatti vi dico che i loro angeli nel cielo per sempre guardano il volto del Padre mio nel cielo. Venne infatti il figlio dell'uomo a salvare ciò che è perduto" (Matteo 18,6-11).

    Detto ciò, è evidente che nessuno di noi ha l'autorità morale per giudicare alcun peccatore. Ciascuno di noi è vittima del peccato e la Chiesa, pur Santa, non è fatta di santi, bensì di peccatori. Ciò che però possiamo fare è semplicemente criticare e ragionare su quelle "strutture del peccato" le cui radici permangono nei peccati personali dei singoli, ma i cui frutti negativi sono autentico veleno per la comunità cristiana e per il Corpo Mistico di Cristo. Recidere le "strutture del peccato" interne alle gerarchie ecclesiastiche, estirparne le radici profonde identificabili con l'attaccamento ai beni materiali e l'amore per il potere in sè, sono delle necessità già individuate chiaramente dal Santo Padre. Se noi fedeli prendiamo coscienza sia del male sia del suo farmaco credo che la Chiesa tutta non potrà che trarne un vivificante e sincero giovamento. Tanto più che il male oggi affiorante nella Chiesa rimanda a ragioni storiche contingenti, ad un "modello" di Chiesa gerarchica ormai evidentemente fallimentare: quel modello che ha voluto per anni imporre alla Chiesa e al clero una totale dedizione al mondo. La mondanizzazione e la desacralizzazione sono state bacini di coltura di quella "struttura del peccato" radicata in pochi chierici, ma tollerata nella sua crescente metastasi anche dagli alti ranghi della gerarchia. L'importante è comunque non fermarsi dinanzi all'evidenza dello scandalo, non farsene travolgere, ma essere noi a travolgerlo con la preghiera, a sgonfiarlo attraverso la ragione, ad annientarlo con la giustizia. Non è forse questo un modo per facilitare l'opera di purificazione della Chiesa che il Santo Padre ha intrapreso, nonostante le tante pressioni e le costanti ostilità di una cospicua parte di sacerdoti, Vescovi e Cardinali?



    Fonte -




















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  • Bestion.
    00 04/12/2010 23:03
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?

























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  • Bestion.
    00 05/12/2010 03:41
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

























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  • Bestion.
    00 06/12/2010 23:14
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


    «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono»
    (1Ts 5, 21)




    «E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza,
    noi predichiamo Cristo crocifisso,
    scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani»

    (1Cor 1, 22-23)



    Tra sapienza
    e stoltezza

    di Gianfranco Ravasi

    Con una tavola rotonda sul tema "Trasmettere il messaggio della Bibbia nella cultura di oggi" si è concluso sabato 4 dicembre alla Pontificia Università Urbaniana il congresso internazionale "La Sacra Scrittura nella vita e nella missione della Chiesa" dedicato all'Esortazione Apostolica Verbum Domini. La tavola rotonda è stata presieduta dal cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che, in occasione dei lavori del congresso, ha scritto per il nostro giornale il seguente articolo. Pubblichiamo anche ampi stralci della relazione del direttore della rivista "Servizio della Parola".

    La recente esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini ha un intero capitolo dedicato alla "Parola di Dio e culture". È, questa, un'ulteriore declinazione della categoria teologica centrale cristiana, quella dell'Incarnazione. Essa - afferma Benedetto XVI - "rivela anche il legame indissolubile che esiste tra la Parola divina e le parole umane, mediante le quali si comunica a noi(...) Dio non si rivela all'uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture" (109).
    Che la Bibbia non sia un aerolito piombato dal cielo della trascendenza, ma sia piuttosto un seme deposto nel terreno della storia è ormai un dato storico-critico e teologico rigettato solo dal fondamentalismo. Il cuore del cristianesimo è nell'Incarnazione, cioè nel Lògos eterno e infinito che s'innesta, s'intreccia e intride la sàrx, cioè la temporalità, la spazialità, l'esistenza, la cultura dell'umanità (Giovanni 1, 14). Riannodandosi a un filo tradizionale, che ebbe nell'enciclica Divino afflante Spiritu di Pio xii uno dei suoi nodi decisivi, Giovanni Paolo ii, rivolgendosi il 27 aprile 1979 alla Pontificia Commissione Biblica, affermava che ancor prima di farsi sàrx, "carne" in senso stretto, "la stessa Parola divina s'era fatta linguaggio umano, assumendo i modi di esprimersi delle diverse culture, che da Abramo al Veggente dell'Apocalisse hanno offerto al mistero adorabile dell'amore salvifico di Dio la possibilità di rendersi accessibile e comprensibile nelle varie generazioni, malgrado la molteplice diversità delle loro situazioni". Detto in termini sintetici, la Bibbia si presenta anche come un modello di inculturazione o acculturazione sia a livello linguistico, sia in ambito letterario (si pensi ai generi letterari), sia nell'orizzonte tematico e la Verbum Domini ribadisce tale aspetto. Ovviamente sono innanzitutto le culture dell'antico Vicino Oriente il referente primario, ma non è certo lieve anche l'apporto dell'ellenismo.

    Molti sono convinti che Qohelet, l'autore anticotestamentario che incarna la crisi della sapienza tradizionale di Israele, abbia respirato l'atmosfera filosofica greca, in particolare quella dello stoicismo, dell'epicureismo e dello scetticismo dei secoli iv-iii antecedenti all'era cristiana. Si sono, così, infittite le analisi dei contatti tra certe affermazioni sorprendenti dell'autore biblico col pensiero greco. Un esempio per tutti. In Qohelet 1, 9 (cfr. 2, 12; 3, 15) si legge: "Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c'è nulla di nuovo sotto il sole". Ora nella Vita di Pitagora (19) di Porfirio si legge questo detto del celebre filosofo: tà ghinòmena pòte pàlin ghìnetai, nèon d'oudèn haplòs estin, "ciò che accadde un tempo di nuovo accade, niente di nuovo avviene semplicemente". Paolo Sacchi nel suo commento a Qohelet intuiva, invece, in quello scritto biblico il balenare dell'aurea mediocritas, ossia di una morale della "via di mezzo". Infatti in 7, 16-18 si legge: "Non esagerare con la giustizia, né esser troppo sapiente: perché rovinarti? Non esagerare, però, neppure con la malvagità o con la stupidità: perché morire prima del tempo?! È bene aggrapparsi a una cosa senza però staccare la mano dall'altra: chi rispetta Dio riesce in entrambe".

    Certo che, se pure non è possibile ricondurre Qohelet nell'alveo del pensiero greco, è però molto probabile che il clima culturale ellenistico abbia varcato anche le frontiere abbastanza blindate del mondo giudaico-palestinese, come è attestato un secolo dopo (nel ii secolo antecedente all'era cristiana) anche da un altro sapiente biblico, il "conservatore illuminato" Ben Sira o Siracide (si legga il capitolo 38 sul medico e sulla medicina). Tuttavia, ben più intenso fu il dialogo stabilito dalla Diaspora, soprattutto alessandrina. Suggestivo è il caso del filosofo giudaico Filone ma anche quello di un libro deuterocanonico come la Sapienza, composto in un greco eccellente probabilmente ad Alessandria d'Egitto forse attorno al 30 prima dell'era cristiana.
    In particolare, nei capitoli 1-5 dell'opera, brilla la tesi dell'athanasìa/aftharsìa della psychè: l'immortalità/incorruttibilità dell'anima è certamente formulata e formalizzata attraverso il ricorso al platonismo popolare, anche se il retroterra teologico e antropologico permane saldamente ancorato alla tradizione biblica. Infatti, questa immortalità beata non è tanto una conseguenza metafisica della natura dell'anima spirituale, come si ha nell'argomentazione platonica, bensì dono e grazia essendo comunione trascendente di vita con la stessa divinità. Tuttavia l'autore, che conosce anche Se- nofonte, offre un testo che è grondante di ammiccamenti alla cultura greca.

    In 8, 7 introduce le quattro virtù cardinali di origine platonica (Repubblica iv, 427e-433e): temperanza, prudenza, giustizia e fortezza. In 11, 17 evoca l'àmorfos hyle, la materia informe, ispirandosi al Timeo (51A) di Platone, mentre in 11, 20 esalta l'opera divina che "tutto dispone con misura, calcolo e peso", formula riscontrabile nelle Leggi platoniche (vi, 757B). In 13, 5 si esalta la conoscenza "analogica" di Dio procedendo dal creato al Creatore secondo una modalità molto affine al De mundo dello Pseudo-Aristotele (vi, 399b, 19 e seguenti). In 8, 17-20 si adotta il "sorite", cioè il sillogismo concatenato progressivo, mentre le componenti della Sapienza divina sono modellate in 7, 17-21 sulla base della didattica scientifico-filosofica ellenistica, quasi "canonizzando" l'insegnamento delle scienze naturali impartito nel Museon di Alessandria. Nella celebrazione che l'autore fa della Sapienza divina (7, 22-24), basata su ventuno attributi, si intuiscono rimandi alla filosofia stoica, mentre nel canto intonato dagli empi nel capitolo 2 occhieggiano concezioni epicuree e persino "materialistiche" (2, 2-3).

    L'antropologia a più riprese riflette echi della concezione greca classica. In 9, 15, ad esempio, si afferma che "il corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri", parole che sembrano alludere a un passo del Fedone (81C). In 8, 19-20 si mette in scena Salomone che parrebbe accogliere la tesi della preesistenza delle anime, anche se il contesto ridimensiona l'idea riconducendola a una semplice esaltazione della preminenza dell'anima sul corpo: "Ero un fanciullo di nobile natura e avevo ricevuto in sorte un'anima buona o, piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia". In 17, 11 si ricorre al concetto greco di "coscienza" (synèidesis), mentre in 14, 3 e 17, 2 si celebra la provvidenza (prónoia) divina, con tonalità stoiche, come principio che penetra e regge l'universo. In pratica, senza conoscere la cultura greca è quasi impossibile leggere con frutto questo gioiello della saggezza biblica della Diaspora.

    Giungiamo, così, al contributo della cultura ellenistica nei confronti dell'esperienza cristiana. Basti solo pensare all'opera missionaria di san Paolo che ha al suo interno un vero e proprio programma di "inculturazione" teologica, elaborata attraverso una strumentazione che ricorre al contributo greco, applicata però in forma molto originale. I grandi centri di Antiochia, Efeso, Corinto e Roma costituiscono l'areopago in cui il cristianesimo, uscito dal grembo giudaico gerosolimitano, si confronta col mondo ellenistico ed entra in dibattito con esso. La sfida che già il giudaismo della Diaspora aveva dovuto raccogliere si ripropone con maggior forza e con esiti decisivi per la nuova fede cristiana ma anche per la stessa civiltà greco-romana.

    Se stiamo ai rimandi diretti all'interno del Nuovo Testamento, il bilancio materiale è magro perché i testi di riferimento rimangono ovviamente sempre le Scritture ebraiche. Tre sole sono, infatti, le citazioni dirette: i Fenomeni di Arato in Atti 17, 28 ("Di Lui noi siamo stirpe"), la Taide frammento 218 di Menandro in 1 Corinzi 15, 33 ("Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi"), il frammento 1 di Epimenide di Creta in Tito 1, 12 ("I cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri"). In realtà la messe è ben più copiosa quando si lavora sulla filigrana dei testi neotestamentari.
    Pensiamo, ad esempio, all'influenza delle speculazioni ellenistico-giudaiche circa la Sofìa e il Lògos divino all'interno della cristologia paolina e giovannea.
    Il Lògos del prologo del quarto vangelo, se si àncora alla categoria biblica Davar-Parola, è però segnato da qualche ammiccamento greco a partire da Eraclito fino allo stoicismo. Pensiamo anche alla riflessione sulla preesistenza e sulla missione di Cristo (Romani 1, 3; 8, 3; Galati 4, 4; Giovanni 1, 1.14): è facile intuire in sottofondo contributi elaborati dal giudaismo che più si era aperto all'ellenismo, cioè a Filone di Alessandria e alle sue concezioni ipostatiche della Sapienza e della Parola divina (De opificio mundi 139; De confusione linguarum 146).
    Ma, fuori della mediazione giudeo-ellenistica, il cristianesimo s'inoltra in prima persona nell'orizzonte culturale greco-romano. Vorremmo indicare al riguardo tre modelli. Il primo è quello "etico-filosofico" ove è d'obbligo il nesso con la filosofia stoica allora dominante, soprattutto la Nuova Stoà (basti accennare all'epistolario apocrifo tra san Paolo e Seneca). La dignità della persona, anche se femminile o servile (Galati 3, 28), la relazione intima con l'eterno (2 Corinzi 4, 17-18), il contesto globale unitario in cui l'uomo è collocato e vive (Efesini 4, 4-6), il celibato per ragioni superiori e trascendenti (1 Corinzi 7, 35), lo stesso perdono delle offese (Luca 23, 44), il bastare a se stessi col proprio impegno (Filippesi 4, 1) sono alcuni esempi di questa osmosi o almeno di contatti culturali.

    C'è, poi, il modello "misterico". Si tratta di un settore ove bisogna procedere con molto rigore e cautela, considerata anche la fluidità degli stessi culti misterici. Così, sulla morte e risurrezione di Cristo è molto arduo voler scovare paralleli nella ritualità mitica dei misteri: se è certa la morte del dio (Persefone, Osiride, Adone, Attis), molto più problematica è la sua risurrezione che non è mai definita in termini netti e nitidi e soprattutto non secondo le caratteristiche di un evento storico, ma piuttosto seguendo la scansione stagionale della natura. Inoltre, spesso gli scritti misterici profani sono molto tardivi, di probabile impronta cristiana. Diverso è, invece, il caso della comunione e della partecipazione alla vicenda della divinità adorata: il linguaggio misterico potrebbe aver offerto a Paolo un supporto espressivo per la formulazione della concezione del "con-morire" e "con-risorgere" del fedele con Cristo (Romani 6, 1-5; Colossesi 2, 18). Così, la koinonìa "sacramentale" col corpo di Cristo nel pane e nel calice (1 Corinzi 10, 14-22) può aver ricevuto qualche spunto espressivo dal tema della koinonìa con la divinità nel pasto sacro presente nel culto dionisiaco.

    Infine, potremo parlare di un modello "politico". Il punto di partenza è remotissimo a livello ideale rispetto alla visione cristiana ed è quello del culto ellenistico dei sovrani che approda all'"apoteosi" imperiale del i secolo. Ora, una serie di titoli come Kyrios, Theòs, Sotèr, tipici di quell'ambito, vengono riproposti - ovviamente secondo coordinate del tutto differenti - dalla cristologia soprattutto paolina che nell'uomo Gesù Cristo confessa la pienezza della divinità. La stessa categoria parousìa per indicare la futura "venuta" finale di Cristo attinge alla tipologia delle visite imperiali "graziose" (Ateneo, Deipnosofia 6, 253 c-d) e persino il termine euanghèlion appare in chiave imperiale nella famosa iscrizione di Priene.

    Concludendo questa carrellata essenziale sul dialogo tra Bibbia ed ellenismo, il contrappunto proprio di ogni confronto interculturale è ben espresso da due dichiarazioni paoline che ci invitano a evitare i due estremi insiti in ogni comparazione: il fondamentalismo esclusivista e il sincretismo dissolutore dell'identità propria: "Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono/bello" (1 Tessalonicesi 5, 21); "I Greci cercano la sapienza(...) noi predichiamo Cristo crocifisso (...) stoltezza per i pagani" (1 Corinzi 1, 22-23).



    Fonte -




















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  • Bestion.
    00 07/12/2010 05:09
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?

























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  • Bestion.
    00 07/12/2010 16:41
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

























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  • Bestion.
    00 08/12/2010 11:50
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!




    «non perderti nell’attivismo»
    (San Bermardo)



    "Il Buon Pastore"
    Bartolomé Esteban Murillo a Artprice (1660) - Museo del Prado, Madrid, Spagna


    «Voce di uno che grida nel deserto:
    preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri»

    (Mc 1, 3)



    Tempo d’Avvento, il Papa:
    «Costruire un mondo migliore
    nell’attesa del mondo realmente migliore»

    Sergio Centofanti

    Il Papa, in questo Tempo forte dell’Avvento, ha invitato i fedeli a “vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare”. La dimensione dell’attesa del Dio che viene è molto presente nelle risposte del Papa nel recente libro-intervista di Peter Seewald “Luce del mondo - Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi”.

    Il Papa invita a costruire “un mondo migliore” nell’attesa che venga “il mondo realmente migliore”: un impegno nell’oggi che passa, dunque, con lo sguardo rivolto al domani che sarà per sempre. Ma “il nostro problema – afferma - consiste nel fatto che, per i troppi alberi, non riusciamo più a vedere la foresta intera”, cioè a causa di tutto il nostro “sapere non troviamo più la sapienza”, non riusciamo più a vedere ciò che è essenziale, ciò che resta. E osserva che oggi la predicazione sulla vita eterna è spesso oscurata dall’attenzione “unilaterale” alle vicende quotidiane: occorre invece “sfondare quest’orizzonte, ampliarlo” per invitare a guardare anche “alle cose ultime” che “sono come pane duro per gli uomini di oggi. Gli appaiono irreali”. Si vogliono “risposte concrete per l’oggi … ma sono risposte che restano a metà se non permettono anche di riconoscere che io mi estendo oltre questa vita materiale, che c’è il giudizio … e l’eternità”.

    Gesù, infatti, lo dice con certezza: “io tornerò” e avrà luogo un “giudizio vero e proprio” che non possiamo non prendere sul serio. E’ necessaria una preparazione: siamo chiamati ad andare incontro alla venuta definitiva del Signore – sottolinea il Papa - andando “incontro alla sua misericordia, lasciandoci … modellare dalla misericordia di Dio come antidoto alla spietatezza del mondo; è questa … la preparazione perché Egli stesso venga con la sua misericordia”.

    In questa situazione, la missione della Chiesa è quella di salvare l’uomo dall’amore di sé “portato sino alla distruzione del mondo”. Il Papa spiega che “la Chiesa non grava gli uomini di un qualcosa, non propone un qualche sistema morale”. “Non siamo moralisti – dice con forza - ma a partire dal fondamento della fede , siamo portatori di un messaggio etico che dà orientamento agli uomini”. “Veramente decisivo è il fatto che essa dona Lui”, Cristo, aprendo “le porte che conducono a Dio” e offrendo agli uomini “quello che maggiormente attendono, quello di cui hanno più bisogno”, anche se non lo sanno. Donare Cristo soprattutto “per mezzo del grande miracolo dell’amore” grazie a uomini di Dio che “senza ricavarne alcun profitto …. motivati da Cristo, assistono gli altri, li aiutano. Questo carattere terapeutico del Cristianesimo, che guarisce e dà gratuitamente – afferma il Papa - dovrebbe … emergere molto più chiaramente” nella vita dei cristiani.

    Guardando al progresso odierno Benedetto XVI invita, inoltre, a porsi una domanda: “cosa è bene?”. Infatti “il bene viene prima dei beni”. Nell’attuale società del consumismo c’è una fame d’infinito che s’illude di saziarsi, ora e subito, con le cose materiali. Si vive spesso “per l’apparenza, - afferma il Papa - e trattiamo i grandi debiti come fossero qualcosa che fa parte di noi”. C’è bisogno invece di “una nuova e più profonda coscienza morale, una concreta disponibilità alla rinuncia”, alla sobrietà, ad una rinnovata disciplina assumendo come stile di vita “l’amore per il prossimo, portato sino alla rinuncia di sé”. La prospettiva cristiana supera sempre il godimento immediato per guardare oltre e avanti: “essere uomini – rileva il Pontefice - è come una scalata in montagna, con ripide salite; ma è attraverso di esse che raggiungiamo le cime e possiamo sperimentare la bellezza dell’essere”.

    Come entrare in questo nuovo modo di essere? Il Papa cita il monito di San Bernardo: “non perderti nell’attivismo”. “La sapienza dello scriba – dice il Siracide – si deve alle sue ore di quiete”: occorre avere il coraggio di fare silenzio per ascoltare Dio che “è voluto entrare nel mondo” e continua a venire e verrà definitivamente. E di fronte all’”arroganza dell’intelletto” che non comprende come Dio possa essersi fatto uomo in una Vergine, l’Onnipotente “non s’impone”, lascia all’uomo la libertà di dire sì perché “… la fede è sempre un accadere nella libertà”. La Chiesa – conclude il Papa - vuole annunciare questo: l’incontro con Cristo “apre veramente in noi nuove possibilità, dilatando il nostro cuore e il nostro spirito: la fede veramente conferisce alla nostra vita una ulteriore dimensione”, “dà gioia, allarga gli orizzonti” introducendo “in una realtà più grande … al di là di questa quotidianità”.


    Fonte -



















  • Bestion.
    00 08/12/2010 20:22
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?

























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  • Bestion.
    00 10/12/2010 17:04
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!
    , 19/10/2010 21.41:

    Naturalmente chi è saldo nella sua natura, come ulivo centenario, può sostenere qualsiasi tempesta senza appoggio di alcuno, e senza opprimere nessuno.


    Mmm … ma quando il vento della verità si abbatte impetuoso anche su chi crede d’essere “ saldo nella sua natura, come ulivo centenario che può sostenere qualsiasi tempesta senza appoggio di alcuno”, allora costui comincia invece a dimenarsi e urlare, a opprimere se stesso e gli altri. A odiare e a imprecare rabbiosamente contro chi, appunto, tale verità denuncia senza pudore e remora alcuna. Frattanto però, non si avvede di perdere le sue sgargianti foglie, rinsecchendo repentinamente (Lc 1, 51b) :
    , 08/12/2010 19.27:

    Vergognose le parole con cui la terrorista vaticana Binetti ha insultato pubblicamente, nella cassa di risonanza della Camera, il grande maestro Monicelli:

    "Questi sono uomini disperati, non e’ un gesto di liberta’, e’ il gesto di solitudine e di smarrimento. Monicelli e’ morto solo perche’ l’abbiamo lasciato solo, perche’ l’hanno lasciato solo i suoi amici. Il suo e’ un gesto di disperazione, e’ un gesto di solitudine. Forse non ci si e’ accorti di quanto era depresso, di quanto fosse profondo questo senso di smarrimento esistenziale”.

    Con la solita mancanza di umanità di chi ha dato in pasto la sua vita alle ideologie, la nostra trancia giudizi e sentenze su fatti e persone che non riuscirà mai a comprendere, lanciando offese gratuite.

    Se la sua mente non fosse obnubilata dall'oltranzismo cattolico, ha perso l'occasione per dimostrare che le resta un minimo di umanità, se invece del suo sciagurato intervento avesse chiesto all'assemblea di unirsi in una preghiera in memoria del maestro, magari non tutti, ma molti l'avrebbero seguita, e certamente nessuno avrebbe avuto da ridire.

    Ma evidentemente essere persone umane non è nel DNA degli integralisti religiosi, qualunque sia il loro credo, quello che a loro piace è avere un nemico da odiare.


    Se la cifra sintetica della modernità ha avuto la sua punta espressiva
    in alcuni teorici di un ateismo radicale e militante, la post-modernità
    pare invece contraddistinta da un’attitudine meno agguerrita,
    ma forse assai più provocatoria nei confronti della religione.



    "Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre"
    Michelangelo Buonarroti (1510) - Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano (Roma)


    «L’esperienza umana della fragilità, della sofferenza e del male
    non può essere separata dalla domanda di salvezza e di redenzione.
    Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono.
    La controprova sta nel fatto che, se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo

    (Giovanni Paolo II)



    Giovanni Paolo II e
    le «tre vie» di Dio

    Angelo Scola

    Testimone dell’epoca tragica delle grandi ideologie, dei regimi totalitari e del loro crollo, Giovanni Paolo II ha avuto una profonda coscienza della transizione dalla modernità a quella che si è ormai convenuto di chiamare la post-modernità. Egli ha colto in anticipo l’ingresso dell’umanità in una fase di forte travaglio segnata da nuove tensioni e contraddizioni.

    La prima di queste tensioni si colloca proprio nella attuale fase della parabola del processo di secolarizzazione. Se la cifra sintetica della modernità ha avuto la sua punta espressiva in alcuni teorici di un ateismo radicale e militante, la post-modernità pare invece contraddistinta da un’attitudine meno agguerrita, ma forse assai più provocatoria nei confronti della religione.
    Come afferma Charles Taylor, «siamo passati da una società in cui era "virtualmente impossibile" non credere in Dio, ad una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre». Ciò non implica una scomparsa del religioso.

    Anzi, proprio nell’odierna fase di secolarizzazione avanzata, assistiamo a un «ritorno del sacro», che, pur aprendo nuove prospettive, «non è privo di ambiguità», come riconosceva lo stesso Giovanni Paolo II. La tendenza attuale attesta di fatto il permanere di un disincanto universale in cui la fede cristiana, ritenuta da molti pura convinzione soggettiva e non razionalmente documentabile, sarebbe tutt’al più legittimata a sopravvivere accanto alle altre espressioni religiose, in nome di un diritto universale alla differenza. Mediante un’applicazione scorretta del principio di uguaglianza si giunge infatti a sostenere che le religioni sono «tutte diverse e tutte uguali».

    L’oggettività che la cultura odierna nega alla fede, e veniamo così a una seconda "pretesa" del mondo contemporaneo, finisce per essere riconosciuta alla scienza sperimentale, cui sola spetterebbe – se non una definizione – di certo una descrizione compiuta dell’uomo. Si diffonde sempre più infatti, soprattutto in forza delle strabilianti scoperte nel campo della biologia, della bio-chimica e delle neuroscienze, una vulgata di timbro scientista che tende a ricondurre tutte le espressioni e le facoltà dell’umano a pure attività cerebrali. Queste in prospettiva potrebbero, si afferma, diventare addirittura artificiali. In questo senso non sarebbe più possibile, a rigore, parlare di un soggetto personale, dotato di una dignità intrinseca, portatore di diritti e di doveri, ma l’uomo non sarebbe altro che «il suo proprio esperimento».

    Le problematiche, troppo sinteticamente richiamate, impongono alla fede cristiana una svolta cruciale. A ben vedere, quella che alla fine dell’epoca moderna, che discettava di morte di Dio e del soggetto, era la domanda corrente: «Esiste Dio?» assume, nella post-modernità, un’altra, forse più stringente, formulazione: «Come nominare Dio oggi, come narrare di Lui comunicandolo come Dio vivo all’uomo reale?».

    Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare. Per parlare di Dio «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare». È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora «Dio diventa una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi».

    La riflessione di Karol Wojtyla, alla luce del magistero soprattutto trinitario di Giovanni Paolo II, offre una risposta persuasiva a questo interrogativo, mostrando in tal modo la forza profetica del suo pensiero e, quindi, la sua attualità. Per incontrare Dio l’uomo postmoderno dovrà cercarlo sulle vie lungo le quali Dio si attesta all’<+corsivo>enigma-uomo<+tondo> (l’uomo è un essere che esiste ma non ha in sé il principio della propria esistenza), continuando a rendersi a noi familiare.

    La riflessione e l’insegnamento di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II ne indicano almeno tre. La prima via è la stessa esperienza comune dell’uomo. Anche tenendo conto di tutte le obiezioni che scaturiscono dalla complessità di vita propria dell’uomo post-moderno, si deve concludere con Karol Wojtyla: «Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza comune dell’uomo», di ciascun uomo. Essa ne attesta anzitutto l’integralità (il reale è intelligibile e l’uomo può ospitarlo) e l’elementarità (ogni uomo conviene con tutti gli altri nel vivere affetti, lavoro e riposo), vale a dire la sua indistruttibile semplicità. Nota ancora Wojtyla: «Questa esperienza nella sua sostanziale semplicità supera qualunque incommensurabilità e qualunque complessità».

    La seconda via passa per la struttura originaria dell’uomo nelle sue tre polarità costitutive che individuano l’<+corsivo>unità duale dell’io<+tondo>. È il dato antropologico essenziale che vede l’uomo uno nella dualità di anima-corpo, di uomo-donna e di individuo-società. Voglio in particolare ricordare la centralità, nell’indagine e nel magistero di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, del tema dell’uomo-donna e del mistero nuziale. L’uomo, ci ha insegnato il Papa sulla base di quanto contenuto nei racconti genesiaci della creazione, non può esistere solo, ma «soltanto come unità dei due, e perciò in relazione ad un’altra persona umana» Egli è costitutivamente aperto all’altro. L’essere umano infatti non è solo individuo (identità), ma anche persona (relazione/differenza) capace di autotrascendersi. Questo elemento antropologico originario riceve un’adeguata spiegazione alla luce della Rivelazione. Da un lato, esso si pone infatti in analogia con l’incontro, in chiave nuziale, tra Dio e l’umanità, e dall’altro, come Giovanni Paolo II ha genialmente intuito, reca l’impronta della comunione trinitaria.

    La terza via che sostiene l’insopprimibile desiderio umano di Dio nella scoperta del suo essere a noi familiare è la domanda circa la fragilità e, soprattutto, circa il male, il dolore e la sofferenza. In molti pronunciamenti, e soprattutto nella <+corsivo>Lettera apostolica Salvifici doloris<+tondo>, Giovanni Paolo II ha mostrato che l’esperienza umana della fragilità, della sofferenza e del male non può essere separata dalla domanda di salvezza e di redenzione. La risposta a questa domanda può essere almeno intravista nell’atteggiamento umano del dono totale di sé, cioè dell’offerta: «Il dolore si scioglie in un amore riconoscente», scriveva negli anni di prigionia il cardinal Wyszynsky. Se la vita ci è data, allora essa si può compiere solo nel dono. La controprova sta nel fatto che, se non la doni, la vita ti è rubata dal tempo.

    Si può mostrare che le tre chiavi metodologiche suggerite forniscono a Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II una base filosofica sufficientemente solida per reggere alle obiezioni che il pensiero contemporaneo ha rivolto alla metafisica e alla ontologia. Fanno di lui un pensatore al passo con i filosofi contemporanei. È così possibile mostrare, in modo fondato, come la proposta di Dio formulata da Giovanni Paolo II, soprattutto nelle tre encicliche trinitarie, risponde al desiderio di Dio, insopprimibile anche quando viene sepolto sotto le macerie dell’odierno clima nichilistico, dell’uomo postmoderno. La via maestra scelta dal papa polacco è quella della contemporaneità di Gesù Cristo.



    Fonte -



















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  • Bestion.
    00 11/12/2010 13:20
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


    La seconda predica d’Avvento di P. Cantalamessa:



    «Materialismo e consumismo hanno cancellato l’idea di eternità.
    A differenza del momento attuale in cui l’Ateismo si esprime soprattutto
    nella negazione dell’esistenza di un Creatore, nel secolo XIX esso
    si è espresso di preferenza nella negazione di un aldilà»



    Il tramonto dell'eternità e
    la nuova evangelizzazione

    Redazione

    CITTA’ DEL VATICANO - La secolarizzazione e' uno degli scogli principali che incontra l'evangelizzazione nel mondo moderno, ed essa ha aspetti che sono a volte in sintonia con il Vangelo - nel suo significato originario di separazione fra Stato e religione - sia in forte contrasto, in questo caso si puo' parlare di secolarismo culturale.

    E' quanto ha detto padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nella sua seconda predica di Avvento davanti al Papa. ''La secolarizzazione - ha chiarito il frate - e' un fenomeno complesso e ambivalente. Puo' indicare l'autonomia delle realta' terrene e la separazione tra regno di Dio e regno di Cesare e, in questo senso, essa, non solo non e' contro il Vangelo, ma trova in esso una delle sue radici profonde. Puo', pero', indicare - ha aggiunto -, anche tutto un insieme di atteggiamenti contrari alla religione e alla fede per il quale si preferisce usare il termine di secolarismo. Il secolarismo sta alla secolarizzazione come lo scientismo sta alla scientificita' e il razionalismo alla razionalità''.

    Nella sua meditazione, padre Cantalamessa ha preso il termine nel suo significato primordiale: ''Secolarizzazione, come secolarismo, derivano infatti dalla parola 'saeculum' che nel linguaggio comune ha finito per indicare il tempo presente ('l'eone attuale', secondo la Bibbia), in opposizione all'eternita' (l'eone futuro, o 'i secoli dei secoli', della Bibbia). In questo senso, secolarismo e' un sinonimo di temporalismo, di riduzione del reale alla sola dimensione terrena''.


    Fonte -



























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  • Bestion.
    00 11/12/2010 14:01
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti?

























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  • OFFLINE
    paul_65
    Post: 5.080
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    00 11/12/2010 15:30
    Re: ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!
    Bestion., 10/12/2010 17.04:




    Giovanni Paolo II e
    le «tre vie» di Dio

    Angelo Scola





    [SM=x44614] [SM=x44614] a gia' il "siiiiiii pungilo" [SM=x44614] [SM=x44614] [SM=x44614] [SM=x44599] [SM=x44600]
    [SM=x44645]


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    non bisogna avere paura di un Popolo che non ha Potere ma di chi detiene il Potere di Quel Popolo
    anche perché la MORTE non accetta una lira
  • Bestion.
    00 11/12/2010 16:00
    ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

























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