... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!
«Con oppressione e ingiusta sentenza
fu tolto di mezzo» (Is 53, 8)
«Io, quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me» (Gv 12, 32)
«Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui
Disse allora Gesù ai Dodici: "Forse anche voi volete andarvene?"
Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio"» (Gv 6, 66-58)
«Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete"» (Gen 3,1-3).
E ancora:
«Allora il diavolo lo condusse [Gesù]
con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede". Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo"». (Mt 4, 5-7)
Forse ti chiederai cosa c’entrano questi due brani delle Sacre Scritture con le tue domande. Cioè, che relazione dovrebbe esserci tra la citazione della Genesi, il passo del Vangelo e i fatti tragici successi col recente terremoto nell’isola haitiana, già colpita anni fa dall’uragano Jeanne, o lo tsunami che nello stesso periodo devastò le coste meridionali dell’Asia, provocando morti e distruzione. Queste apocalissi causano sgomento a tutti e motivano i tuoi quesiti:
«Come mi spieghi una catastrofe come quella di Haiti …?». Di seguito spieghi meglio i tuoi dubbi, chiamando in causa Dio e i credenti:
«… perchè "l'agire" del vostro Dio certe volte è così difficile da comprendere anche per voi credenti?». Se osservi, vedrai che i personaggi ricorrenti sono tre e sempre i medesimi: Dio, l’Uomo e Satana. Noterai anche che i leitmotiv nei casi su esposti, sono il
dubbio e la
incredulità. Ti accorgerai infine che quel dubbio implicito e progressivo, conduce a risultati contrapposti
Nel primo caso, infatti, non sembra che Eva assecondi quel dubbio velato con cui l’infido serpente cominciava a sedurla. Tra l’altro, il
serpente, ossia Lucifero, non è un’entità simile a Dio - il concetto è manicheo ed eretico per la Chiesa - bensì, secondo l’esegesi biblica e la teologica dogmatica, è una creatura angelica ribellatasi al suo Creatore per invitta superbia (Is 14, 11-15). Comunque, dopo le insistenti menzogne del “buffone”, la donna cede alle sue lusinghe, con le conseguenze che ben si sanno (Gen 3, 6) e di cui il Signore aveva anzitempo avvisato Adamo degli eventuali irreparabili danni (Gen 2, 16-17).
Nel secondo caso, invece, quel dubbio perfido insinuato con malizia dal diavolo –
“per davvero Dio, interverrà con i suoi angeli su chi si getta nel vuoto?” – è prontamente respinto dal Messia prima ancora che questo gli potesse fuorviare la sua lucidissima ragione e anzitutto la sua virtuosa fede. Quella stessa fede iniziale dei progenitori, donata da Dio anche agli uomini d’ogni tempo e luogo, e resa perfetta dall’uomo Gesù, al quale questa fede gli sarebbe stata duramente provata con la sua passione-morte. Come annota bene l’evangelista san Luca (Lc 4, 13), le tentazioni esperite da Gesù nel deserto dapprima della sua manifestazione pubblica, erano solo figura della prova suprema alla quale Egli si sottopose liberamente nella sua
“ora” decisiva. È il vaglio della fede, setacciata da Satana nei termini tollerati dall’Altissimo (Gb 2, 2-7), in cui pure il Cristo fu vagliato, sia nell’arco della sua vita terrena e quando si lasciò uccidere sul patibolo della croce (Mc 8, 31).
Intanto, pure qui bisogna sfatare l'ottuso dubbio secondo cui il grido straziante dell’inchiodato sulla croce, confermerebbe che anche la sorte del vero Giusto è disattesa. Quello di Gesù sarebbe quindi soltanto il gemito dello sconfitto, del disperato che alla fine lamenta rabbioso la sua protesta proprio contro il Signore:
«Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46b). Sarebbe il pianto inconsolabile del fallito che ormai ha perso tutto e che nulla può più sperare da qualcuno; né dai suoi "amici" disillusi, che allora lo lasciano in balia del Fato, né dal suo “misericordioso” Dio, che lo ha inviato e dato a tutti (Gv 3, 16). Tuttavia, è in quel momento di estrema solitudine, nel giardino del Getsèmani – di cui era figura l’altro giardino dell'Eden, dove si trovava la coppia genesiaca -, che Gesù accetta e beve il calice amaro della sofferenza (Mc 14, 36). E invero è nella croce, proprio dal bere di quel calice pieno d’ira e di vino drogato che è nella mano del Signore e di cui
fino alla feccia ne dovranno sorbire e ne berranno tutti gli empi della terra (Sal 75, 9), che il Cristo agonizzante trova ancora l'occasione favorevole di manifestare fiducia filiale e speranza incondizionata verso il Padre suo, a cui si affida (Lc 23, 46; Sal 31, 6) con la lode e la preghiera del Salmo 22. E ciò perché ha visto che il suo è il Dio che, nella semina dell'annuncio e nel raccolto dei frutti, lo aveva sempre accompagnato con amore paterno, con la potenza di segni e di miracoli, con il portento delle guarigioni e delle resurrezioni. Ora quella dell’amico Lazzaro, ora di resuscitare il giovinetto figlio unico di una povera vedova, ora fu di sanare lebbrosi, ciechi, paralitici. Era anche di comandare alla natura, chetando tempeste, mutare l’acqua in vino, moltiplicare pani, raccogliere pesce in sovrabbondanza dove non ce n'era, e altri fatti straordinari. Nonostante tutto però, agli occhi curiosi della gente sembrava che
«“l’azione”» divina verso Gesù fosse estranea e totalmente impotente di fronte a quel suo momento di paura, di sofferenza e di grande bisogno.
Così come sembra che tuttora il Padreterno sia ignaro e assente dinanzi alle calamità naturali che si abbattono sulla collettività, o alle morti insensate dei buoni, dei bambini, degli innocenti; o sia insensibile davanti alle malattie incurabili, alle epidemie inarrestabili, alle tragedie che rovinano i singoli e sterminano le masse. Un Dio che appunto, davanti a tutto ciò che ripresenta l’insignificanza del dolore e della morte, è disattento a quell’angoscia sofferta dai sopravissuti, al loro intensificato smarrimento e terrore.
Da questa prospettiva, allora sì, che l’urlo tetro e desolante del Munch, l’opposto della ferma speranza gridata dall'
Appeso, equivale stavolta a quello del disperato che è stato abbandonato anche dalla ragione illuminista. È il grido rabbioso dei filantropi scandalizzati, dei soliti perbenisti maliziosi. Questa disperazione diventa smorfia mefistofelica urlata nell’auto convincimento:
«Gott ist Tot!» (
”La gaia Scienza” - libro III, 108 - F. Nietzsche) degli scettici, dei cultori del sospetto, degli increduli chiusi nell'inerzia o al massimo, spinti dal passatempo alla curiosità, piuttosto che motivati dal cercare il significato e la verifica dei fatti e delle cose. A farla breve, per costoro, dunque,
dio è lontanissimo, apatico e talmente “morto” da non essere mai esistito. O tutt’al’più è uno degli dèi, retaggio delle mitologie mesopotamiche assiro babilonese o dell’immaginario epico delle culture, ellenica, romanica ed etrusca. È una divinità mischiata fra i tanti dèi riccioluti e sdolcinati, di dee strabelle e invidiose, di Zeus accigliati, di Veneri voluttuose, di Diane adultere, di Apolli, Cassandre e Cupidi annoiati, di Muse e Dive canterine. È fra quelli che sono spaparanzati in comodi sofà, intontiti di aromi e ciprie nel loro azzurro Olimpo, con tanto di aurei allori, cetre, uve, vini, vasche, saune e, molti, moltissimi asciugamani. È uno tra quegli
"Dèi" ancestrali sempre di moda e tuttora rissosi, che nel frattempo, incuranti delle sorti dei loro semidei subalterni e dei problemi "reali" dei loro sudditi: o di ciclopi che non vedono bene e di giganti che non trovano un letto a misura per distendersi, o di prodi che hanno elmi con visiere troppo anguste, di corazze troppo fragili, di lance sbilanciate e di scudi difettosi, o di valorosi immortali che hanno il punto debole nel calcagno e, infine del minuto popolino che intanto soffre di stenti per fame, di miseria per carestie, di paura per cataclismi, poiché Plutone, Vulcano, Saturno e Nettuno si sono infuriati di brutto; questi
"Dèi" – dicevo - tediati e cinici di tutto ciò che avviene sotto di loro, hanno l'unico impegno di accapigliarsi fra loro per via di corna, di tradimenti, di gelosie, di incesti, di omosessualità, di pederastie, questo è mio, no, questo è tuo ... e quant’altro di passionale, di melenso e di depravato.
Ma Dio non è come quelli
lì. Dio non si è fatto "creare" dall'uomo. Dio si è fatto anche carne e ossa, ma non è come quelli
"lì". Dio, invece, è presente dall'eterno. Egli è ancora Bontà e Giustizia che, vedendo lo strazio di Gesù, si commuove e lacrima perché, nel grido soffertissimo del suo prediletto Figlio, sente anche tutta la disperazione patita dall'uomo di sempre. Dal peccatore che vuole di proposito brancolare nella sua tenebra, sprofondarsi nel suo abisso infernale (Lc 1, 51b), appestarsi nel marciume della sua malvagità (Mc 7, 21-23). E l’excursus, mister ateo, te lo puoi trovare da solo; basta guardare i telegiornali e i quotidiani di giornata per vedere i casi più eclatanti, vecchi e nuovi, a livello sociale: guerre, gulag, deportazioni, genocidi, shoah varie, carestie, terrorismo, mafie, delinquenze organizzate; fino ai casi singolari con feroci serial killer, stupratori, omosessuali, pedofili, torturatori, sequestratori, assassini, corruttori, ricattatori, e via discorrendo, senza parlare degli innumerevoli mali morali.
Nonostante l’inesorabile imperversare del
Male, che la gnosi dualistica fa coincidere a un demiurgo assoluto e antitetico al
Bene, soltanto Dio è l’Eterno, l’Assoluto, il Non-creato. Egli è quel
«Io-Sono», rivelato all'amico Mosè (Es 2, 14). Colui che tutto crea, che tutto fa sussistere e al quale tutto a Lui è subordinato per la sua maggiore e immutabile gloria. Egli è la Provvidenza che di tutto s’interessa; dalle cose infinitesimali a quelle smisurate, superlative e anzitutto vede e provvede dei mali che colpiscono, opprimono e rendono schiavo l’uomo (Es 2, 23-25; 3, 7-9); si cura anche dei mali di quanti si tormentano nelle loro incertezze e nelle loro incredulità. Egli è il Terribile (Sal 76, 8-13) che si preoccupa pure di “voi” agnostici, di voialtri scaltri macchinatori del dubbio letale. Di quel "dubbio" che è mortifero, perchè di esso avete lasciato sviluppare in voi profonde radici e con esso siete diventati recidivi, ossia atei. È sempre quel Dio che mai si è disinteressato del dramma del suo Unigenito, né attualmente è indifferente alle tante ineluttabili tragedie in cui si trova l’uomo. O nelle quali sciagure egli, l'uomo, che è tra i più eccelsi esseri del creato (Salmo 8; Sap 2, 23), si va continuamente a cacciare per propria indolenza e concupiscenza (Gc 1, 14-15), quindi, con propria libera volontà. Il Salmo 22, gridato sulla croce da Gesù e incominciato con una domanda angosciante a causa del male che Egli ha caricato su di sé (Is 53, 4), finisce pertanto con l’inno alla gioia; nella lode decantata all’unisono dal Figlio verso il Padre, dal Padre verso il Figlio, dall’uomo ravveduto verso il suo Creatore:
«Ecco l'opera del Signore!» (Sal 22, 32b). È la vera Pasqua di Gesù! Quella di cui, col passaggio nel Mar Rosso, ne fu immagine di liberazione dalla schiavitù del Faraone per l’antico Popolo eletto. È la pasqua definitiva del vero
Antesignano, con la riconoscenza della sua
Esaltazione e la magnificenza della sua
Gloria, delle quali nessuno immaginava potessero passare attraverso quell’immane dolore (Is 53, 1) sofferto in vita e inasprito poi sulla croce. Tranne però quella fede provata che fu sempre genuina e serena, e vissuta costantemente da Cristo Gesù. Tranne l’amore eterno di Cristo al Padre e l’amore smisurato di Gesù all’umanità della quale, ne assunse la condizione decaduta, maledetta e peccaminosa, senza che in Lui ci fosse il peccato, ma tutti i suoi devastanti effetti (Eb 2, 9-10). Tant’è che Egli soltanto, mediante la croce e in obbedienza al Padre, volle scendere nel punto più basso di
kenosis, di umiliazione, di massimo annichilimento (Fil 2, 6-8), in quel buio completo, nella desolazione in cui si trova il peccatore; cioè, in quell’inferno da dove Egli volle e poté, con un così potente “legno”, distruggere quegli effetti di sofferenza e di morte eterne che il peccato aveva prodotto (Rm 6, 23). Ciò è quello che per grazia avvenne in Lui, il Crocefisso, il primo tra i risorti. E di riflesso è anche quello che Egli, con il Padre suo, volle avvenisse pure a vantaggio immediato e futuro dei credenti (Ef 2, 13-16). Il riferimento è dunque a quella opera di
Salvezza per i
“molti” compiuta dal Padre in sintonia con il Figlio nello Spirito, e della quale in tanti si chiedono in "cosa" consista e, sopratutto, "perché" e in che "modo" tale
Redenzione si realizzi anche in loro.
Questa premessa - che svilupperò ancora –, essenziale per capire bene il contenuto di una domanda decisiva nella quale tutti, volenti o nolenti, sono coinvolti, è anche il presupposto per soddisfare meglio la tua richiesta e toglierti ancora un pochino di curiosità sul perché Dio sembrerebbe permettere le ecatombe. È una domanda dunque della quale, a differenza degli atei che la ritengono inutile poiché hanno cacciato Dio dalla loro esistenza tanto dall’auto-convincersi che Egli non esista, se ne chiede invece il significato anche l’agnostico occasionale e opportunista. Quel non ostinato, almeno fintanto fa del suo lecito dubbio una ricerca, cioè l’anticamera della verità, piuttosto che un fine a se stesso o di cui servirsi come unico criterio non posposto alla propria retta ragione e alla sua potenziale fede. E la domanda è: perché lo scandalo della croce? Perché Dio lo permette? Perché permette la leucemia ai bambini; perché quella giovane coppia è deceduta in un incidente lasciando orfani tre piccoli ragazzini? Perché permette le disgrazie, le inondazioni, le eruzioni, i cataclismi, quanto di mortale e distruttivo per l'umanità? Perché Dio compie e permette tutto questo disastro contro l’uomo? Perché l'infamia della croce dolorosa? Tante sono le risposte possibili a questa importante domanda, risolutiva per l’uomo e per il mondo. E nel corso dei secoli, la Santa Madre Chiesa Cattolica, con la vita e la testimonianza dei suoi Santi, ne ha date parecchie di risposte, ricche di multiformi aspetti ma sempre riducibili nella sostanza a una sola risposta. Il contenuto di questa soluzione è rivelato e compreso alla luce del Cristo,
«luce per illuminare le genti» (Lc 2, 32), e unico Salvatore dell’umanità.
Per lo stolto, quel presuntuoso che già nel Libro della Sapienza equivale a
empio (Sap 1, 16; 2, 1ss), è un paradosso impensabile e tanto più inaccettabile che il Dio d’infinita onniscienza e onnipotenza, fra i tanti modi di poter salvare l’uomo, l’abbia fatto con l’insipienza della croce (1Cor 1, 22-23). Uno dei più deplorevoli scandali. Una mostruosità mediante la quale il demonio terrorizza e schiavizza tutti (Eb 2, 14-15). Iniziando da Giuda Iscariota, il quale ebbe l’immodestia di credere che per realizzare le promesse messianiche, non dovesse anch'egli passare per la via angusta e per la porta stretta (Mt 7, 13-14). Come insegnato nella metafora del chicco (Gv 12, 24) o nell’ossimoro, di
perdere per ritrovare (Lc 17, 33). Ossia, di attestare con lo specifico di più parabole che, se non si “passa” da una condizione relativa e provvisoria a quella assoluta e definitiva, l’uomo rimane solo, irrealizzato nella sua desolazione. Procedendo quindi con Pilato che, malgrado avesse di fronte a sé la verità, non volle né riconoscerla né cercarla (Gv 18, 37-38) ma a essa preferire l’asservimento al dio Potere-Politica. E continuando, ad esempio, con quegli ambigui soloni che eccedono a etiche e leggi discutibili, se non inique. Che fra le tante loro prevaricazioni, autorizzano la strage degli innocenti legalizzando l’
aborto procurato e da compiersi in qualsiasi caso, quand'anche non minacci la salute della madre e il feto sia sanissimo; quindi con tale logica alimentare pure lo sviamento dei giovani. O di altri illeciti compiuti da questi subdoli giudici (Lc 18, 2) a riguardo della bioetica, come il legalizzare direttamente, col no ni/si, l’
eutanasia che è poi puntualmente eseguita dai patetici estimatori del
pro-death; da quegli acculturati sempre depressi che abbozzano rari sorrisi tra il disperato e il melanconico; da quei senzadio o con un dio allocco. In definitiva dai soliti laicisti i quali, con la parvenza al disinteressato e nobile altruismo, ma che in realtà non volendo continuare oltre la quindicina d’anni di sopportare l’assistenza alla propria figlia, curata nel frattempo in cliniche religiose private e con amore filiale dalle suore, allora, con l’aggiunto pretesto di garantire a tutti gli ammalati, il vivere dignitoso, sopprimono la loro stessa figlia, la assassinano
legalmente. E con la medesima liceità e facilità, questi stessi scoraggiati al non sopportare oltremisura la propria croce, uccidono i loro più cari congiunti. Oppure è la croce di quanti che, in nome della propria indipendenza e rifacendosi al distorto diritto di credersi padroni assoluti della propria vita, praticano il
suicidio legalizzato e compiuto da terzi, quindi, pure
assistito. Tutti costoro, perciò, si servono dei suddetti e di altri ingannevoli palliativi per alienarsi dalla croce personale. Non di quella che da esterrefatti vedono negli eventi catastrofici e nelle disgrazie altrui, ma di quella propria. Vuoi dall’incapacità di accettare la condizione della figlia in coma irreversibile e comunque ancora più bisognosa di amore e di vicinanza dei propri cari; o vuoi dal non accudire amorevolmente per tutta la vita, il proprio pargoletto nato spastico, sennò con un congenito disturbo autistico; o vuoi dal non decidersi di tagliare senza indugio (Mc 9, 43-47) la propria pervertita relazione omosessuale, convissuta prima e dopo aver abbandonato moglie e figli. Anzi, per loro la croce è un peso insopportabile, da non accettarlo quale simbolo, quale marchio-doc che caratterizza la cultura cristiana europea e in particolar modo quella storia secolare di tradizione cattolica italiana. E in senso prettamente religioso-laico, è per loro un fatto così terrificante dal quale scappano al punto di non appendere l’immagine del crocefisso nelle pareti delle proprie case o di strapparlo, in forza dei soprusi della loro falsa laicità, dai luoghi pubblici, dalle aule scolastiche, dalle mense, dai tribunali, e finanche dagli ospedali. Per quanto però fuggano atterriti e il più lontano possibile, questa loro croce li segue implacabilmente per rammentargli l'effettiva realtà della loro condizione.
E in effetti, da che mondo è mondo, i poveri sono sempre esistiti e, con tutta probabilità, continueranno a esserci. Da non confonderli con quelli altrettanto poveri ma inquadrati nel più complesso fenomeno del pauperismo - disgrazia o cataclisma "sociale" causata dal disinteresse delle società emancipate e non dalla natura, né tantomeno dal Creatore -, che è sempre un dramma umano di cui l’uomo deve farsi carico per superarlo e vincerlo. Questi senzatetto, che ramingano nelle nostre città con cartoni e cianfrusaglie varie, e verso i quali anche gli ottimisti, anziani e giovani, incrociandoli provano una ripulsa spontanea, non cattiva, per cui si sentono a disagio e tentano possibilmente di schivarli, poiché, specie i barboni più
ortodossi, puzzano d‘alcool, sono lerci, pieni di croste, con facce alterate, unghie deformate. Questi barboni che tanti cittadini, grazie al veicolare mediatico, hanno ora imparato a chiamarli con l’elegante nome di
clochard, sono il segno tangibile della condizione decaduta nella quale vive l’uomo (
”Summa Theologiae” Cap. II, Quad. 29, Art. 39 – san Tommaso d’Aquino). E questa precarietà, è atavica in qualunque persona e per tutti in generale; alla faccia della globalizzazione e dell’autodeterminazione. Aldilà che ci siano meno o più benestanti, se profumano, se fanno shopping, se vestano firmati, se consumino e spendano per il superfluo. Nonostante tutto, gli accattoni, i pezzenti, questi
Poveri, ricordano puntualmente a quanti incontrano, qual è per davvero la condizione di miseria e d'indigenza sia di coloro dai quali ricevono l’elemosina anche generosa, sia di quelli lesti a scansarli. Questi emarginati rievocano pure a tutti costoro, e indifferentemente dallo strato sociale cui appartengono o dalla quantità e qualità di benessere in cui si trovano, quanto a loro volta abbisognano di tutto e di tutti (Ap 3, 15-19). E il tanto sebbene questi agiati siano gradevoli alla vista, siano persone per bene, ma che in fondo si distinguono, appunto, soltanto per l'apparenza diversa. E questo “segno” è uno dei tanti beni della Provvidenza, valido per la Società intera e per ogni singola persona.
Ma la croce è anche la realtà che impaurisce i discepoli al seguito di Gesù e che sconvolge perfino i fedelissimi Apostoli, quegli intimi che fin dall’inizio condivisero vita e messaggio del loro Maestro. Quegli stessi Apostoli e fedeli discepoli che però in seguito, dopo gli eventi pasquali del Cristo e l'effusione in loro dello Spirito
Consolatore, abbracciarono risoluti la croce; il primo degli apostoli, Pietro, per grazia ricevuta amava tanto Gesù e tanto si sentiva indegno di Lui, da farsi addirittura crocifiggere a testa in giù. E quanti martiri coadiutori delle sofferenze di Gesù, portarono ognuno lungo il corso dei secoli, la propria irrinunciabile croce, non patita solo con una morte cruenta! Gesù Cristo-Dio avrebbe potuto, ancorché uomo per sua incarnazione, operare la salvezza in tanti modi. Volle invece realizzarla anzitutto riconoscendo alla Giustizia divina, la pena al peccato (
“Cur Deus Homo?” Libro I, Cap.11 – sant’Anselmo d’Aosta), col mezzo della croce. La croce di Cristo difatti non è, come scorrettamente intende qualche teologo fautore della
"Teologia della Croce (Vicaria)", o come presumono alcuni religiosi pietisti, un fatto fortuito del destino o la rivalsa del Dio vendicativo al quale è stato offeso l’onore e defraudata la gloria; quei titoli divini che erano da riparare e da restituire (
”De Civitate Dei” Libro XIII, Cap.14 – sant’Agostino; idem, sant'Anselmo). In pratica, si pensa a un debito da saldare, il
”do ut des”, un
riscatto che Dio, con la croce del Figlio doveva pagare al Diavolo, per cui tutto si sarebbe riequilibrato e andato a buon fine: al buffone un lauto compenso e al Padrone assoluto ed esigente, ripristinata la sua lesa maestà. E l'unico a rimetterci sarebbe il
povero cristo, allo stesso modo con cui ci rimettono, in vita, in ferite, in danni e perdite varie tutti quei
poveri cristi colpiti da un terremoto o da altre sventure. E la croce non è neanche, come affermato da taluni teologi progressisti nella
"Teologia della Liberazione" - quale supporto ideologico per spodestare, anche con le rivoluzioni e le azioni violente, i regimi dispotici, dittatoriali, eccetera -, la fine logica di una tragedia subita dal Messia per il violento ostracismo dei suoi potenti avversari religiosi e politici (dottori della legge, scribi, anziani, capi del popolo, Prefetto romano, plebaglia, carnefici), sebbene questi scellerati siano gli attori e per loro parte, anche i diretti responsabili, i rei di un assassinio premeditato e, mediante falsi testimoni (Mt 26, 59-60), meticolosamente legalizzato.
La croce è tutt’altro. Come insegna in maniera indefettibile il dogma e la dottrina nella millenaria Tradizione Apostolica di Santa romana Chiesa, che seppe sintetizzare, mediante l’assistenza dello Spirito Santo, con i Concili e il Magistero petrino
ex cathedra, congiunto a quello episcopale, i misteri dell’Incarnazione e della Pasqua come unico evento, distinto ma inscindibile, del
Mistero di Salvezza operato da Gesù Cristo. Questo è dunque l’evento cruciale che tocca direttamente l’uomo nella sua universalità, ed è quindi il
Mistero - insondabile per i profani - accettato e attuato liberamente da Gesù quale momento tragico e, allo stesso tempo, glorioso (Gb 17, 1-2) dentro di cui, senza alternativa alcuna, Egli doveva necessariamente passare con la sua incarnazione-pasqua. Nella Chiesa primitiva, i mistagoghi della patristica Orientale (con i santi, Girolamo, Atanasio, Gregorio Nazianzeno, Cirillo, Basilio e Metodio …) evidenziavano ai neofiti cristiani l’evento croce-morte quale motivo senza di cui la
Incarnazione di Dio-Figlio, non avrebbe avuto alcun senso. Il postulato era: Cristo è nato per morire liberamente sulla croce. Pure la semasiologia cultuale catechetica sviluppata dai pedagoghi Padri della Chiesa Occidentale, riprese gli stessi assiomi ma ne focalizzò anzitutto l’aspetto pasquale, di morte-resurrezione. Così è da sant’Agostino e sant'Ambrogio, a sant’Anselmo con la scolastica aristotelica; da san Tommaso, alle disquisizioni tomiste e filosofiche del tardo medioevo. Dalle ermeneutiche della teologia classica rinascimentale, fino alle dispute della Controriforma; dai Gesuiti, ai vari dottori della Chiesa romana, di cui sono i tomi del cardinale italiano Bellarmino e dell'anglosassone cardinale Newman, alla teodicea culminata in Leibniz; dalla critica kantiana, alla dialettica trascendentale del XIX secolo di filosofi italiani, tedeschi, francesi e ispanici, per arrivare alle attuali teologie contemporanee di vari pensatori cattolici e protestanti occidentali. E qui l’asserto era: Cristo è risorto perché nato e morto di croce. La croce, dunque, è strettamente legata alla risurrezione e viceversa. La sintesi è: la morte di croce sta alla resurrezione, come la risurrezione sta alla qualità della passione e al tipo di morte. E l’inciso, abbassamento-innalzamento, altresì il
"Mistero della Redenzione", da far sì che la croce dia sostanza all'incarnazione e agli eventi pasquali operati da Dio/Gesù/Cristo, consiste non tanto perché Gesù è anche solidale con ogni uomo sofferente al quale spetta, credente o no, la propria personale croce, ma quanto per dare pieno compimento alle Scritture. In esse, infatti, è specificata quell’ubbidienza che tutti devono alla volontà dell’Eterno, ma di cui tutti in Adamo ne hanno mancato e ne continuano a fare difetto. Con la sua personale ininterrotta ubbidienza, Gesù Cristo ha voluto precedere tutti (Gv 4, 34; 5, 30; 6, 38-40) affinché rimediare alla disubbidienza di ognuno (Eb 2, 14-18) e perché tutti da Lui la imparassero (Eb 5, 8-9) a propria salvezza. Anche Dio-Padre Onnipotente, assieme a Dio-Figlio Onnipotente, nell'unità di Dio-Spirito Santo Onnipotente, attende l’uomo sempre e soltanto sulla
Croce; così già indicarono tutti i vetusti Patriarchi (Gen 22, 1-3) e gli antichi Profeti (Is 53, 10). Lì, nella croce del Verbo incarnato, quella parte del
Mistero inesplicabile sulla Trinità, Dio, l'Invisibile all'uomo caduco (Es 33,20; Mc 13, 32), si rende visibile e operante nel Cristo, onde salvare già adesso in maniera tangibile e definitiva.
Ecco finalmente l’ottica da cui posso ora valutare il terzo caso, e rispondere così alla tua domanda
«seria», non
«provocatoria o schernitrice» che ti sei posto e che mi hai chiesto. Anche se a questo punto potresti lagnarti del mio troppo dilungarmi nei preamboli, col rischio che esca dal tema e perda di vista il succo di quanto mi hai chiesto, oltre che annoiarti. Nondimeno, proprio perché la tua richiesta è rivolta a me e non ad altri, trovo indispensabile di doverti approfondire vari punti e nel modo e nella quantità che ritengo più idonee. Ciò dal fatto che, quanto più ci addentriamo nella comprensione del mistero cristiano (Dio incarnato, sua pasqua nella passione-morte risurrezione), tanto più si può comprendere meglio la realtà in cui viviamo. Compreso il senso dei fatti tragici, delle calamità naturali e dei disastri dei quali stiamo trattando; senza pretendere per questo di volerteli collocare nel suo ordine e significato ultimo. Per quanto l’uomo - quell’eroe tra il celtico e l'ariano, il
“plus man” o
”Uber-Mensch” (
”Così parlò Zarathustra” – F. Nietzsche) -, si sforzi di esplorare l’intrinseco delle cose, di afferrare e possedere il significato di se stesso e dell’esistenza, tuttavia, e nonostante il suo lungo cammino filosofico e scientifico, si trova sempre davanti all’invalicabile, a qualcosa d’indefinito e molto più grande di lui. Che oltrepassa la sua immanenza e lo trascende. E questo, benché l'uomo sia credente o no. Pertanto, se la cosa t’interessa per davvero, cioè di sentirla almeno dal mio punto di vista, allora continua a pazientare e a leggermi accuratamente, accantonando, almeno per il momento, pregiudizi e dubbi gratuiti.
I più ferventi cristiani, così come i credenti, inclusi tutti gli uomini e te, sono assoggettati alla tentazione. Essa è la prova necessaria per raffinare quanti accettano il dono della
Fede e per separare i troppi (Dio volesse, non ce ne fosse neanche uno!) che questo dono lo rifiutano drasticamente (Lc 12, 49-51). Così è per la loro
Speranza; così è per la loro
Carità. Anche i cattolici, dunque, non sono ancora liberi di sentirsi attirati da quel dubbio mortifero insinuato sistematicamente dal Buffone, il
“Principe di questo mondo” (Gv 12, 31), come lo definisce Cristo, cioè
Sátanas, l'Avversario, il bugiardo per eccellenza (Gv 8, 44b). E la colpa che viene da questo dubbio pertinace bisbigliato malignamente dall'
Accusatore, è di convincere che Dio sia un menefreghista, che egli non agisca bene o comunque che in Lui, Giudice-Misericordia, non ci siano né giustizia né amore. Specialmente quando sembra non curarsi o permettere catastrofi naturali, disgrazie immani, croci smisurate, malattie terminali e devastanti, sofferenze interminabili per i moribondi, patimenti e morti di ragazzine/i solari, di piccini/e, di bambine/i puri, puliti, semplici ... e avanti così, esemplificando sui drammi singoli o sulle abnormi tragedie collettive. Il fine diabolico e ultimo del buffone, pertanto, è di far leva proprio su questi fatti tragici della natura, o di minacciare croci personali e dolorosissime, oppure, di contro, convincere che per ognuno siano soltanto situazioni immaginarie o comunque transitorie e superabili con la tecnologia, con le nuove scoperte scientifiche e i progressi della medicina. Il tutto e quant'altro di simile, è per indurre a credere che Dio se ne freghi di tutto e di tutti per il semplice fatto che Egli non c'è assolutamente, non è mai esistito. Questa è invece soltanto un’invenzione dei preti - pure omosessuali adescatori e violentatori di bambini e adolescenti, o bisessuali pure frequentatori di mogli altrui e di prostitute. Che quindi, soltanto i più furbi sono gli unici che possono ora fare il meglio per sé, dove dopo il trapasso ci saranno il nulla e l'oblio ... tant'è così, come sragionano gli iniqui (Sap 2, 1-5).
Quantunque nessuno sappia quali sono i disegni, le vie imperscrutabili del Padreterno, né capisca gli scopi ultimi per cui Egli permette gli innumerevoli mali sopra citati, i fedeli cattolici, contrariamente a molti altri, non dubitano mai del suo Creatore. Anche i grandi Santi, spesso illuminati sui segreti più arcani di Dio, erano non poche volte assaliti dal dubbio. Un dubbio non pertinace, ma comunque sempre martellante (a tal proposito ti consiglio la lettura degli scritti di alcuni mistici cristiani, tra cui: santa Caterina di Siena, san Giovanni della Croce, il santo curato d’Ars, santa Chiara, sant’Ambrogio, santa Teresa di Lisieux, il beato Giovanni Paolo II, il mio benamato e preferito sant’Agostino, e via dicendo). E il loro dubitare non era tanto di mettere in discussione l’onnipotenza di Dio e la sua effettiva azione nei confronti delle situazioni problematiche dell'umanità, quanto al non sentirsi essi stessi peccatori, quindi umili. Ovverossia, al non possedere ancora la certezza, la piena consapevolezza della propria piccineria; di essere infimi, persone spoglie, nude (Gen 3, 10), bisognose di tutto; di non avere nulla in sé che fosse di loro proprietà, se non soltanto del Creatore. Il dubbio dei Santi, proprio perchè più di altri approfondivano nella preghiera, nei digiuni, nella penitenza il senso, l'orrore, il mistero del peccato e si sentivano vuoti, era anche di non rispettare, o meglio, come accentuato più volte nella Sacra Scrittura, di non avere sufficiente
timor di Dio (Sal 34,12; Pr 2, 5; Qo 12, 13; Sir 1,12; eccetera), di amarlo sempre troppo poco. Perciò, nel cammino perseverante di quella Fede infusa nel Battesimo, per grazia dello Spirito Santo e per mezzo della sua Santa Chiesa Cattolica, il cristiano, con l’intelletto e con la propria vita, crede e testimonia fermamente quanto professa durante ogni Messa domenicale, mediante la proclamazione del
Credo Apostolico. Crede certa la bontà del Signore, il suo retto operare, la sua infinita giustizia, il suo volerci bene in maniera incommensurabile. Il cattolico crede sempre alla tenerezza di Dio, non dubita mai della sua vicinanza (Salmo 91) perché sa, ha visto e tocca con mano che Dio è solo
Amore (1Gv 4, 16). Ancora meglio il cattolico sa che soltanto Dio gli è Padre e Pastore, anche e soprattutto quando, pur da credente che procede spedito nella fede, ma per sua debolezza e per sua inclinazione cede al peccato, ricadesse e dovesse ancora
camminare per una valle oscura (Sal 23, 4) o si ritrovasse
nelle tenebre e nell'ombra della morte (Lc 1, 79). Ben per questo, Cristo Gesù, il Kyrios, conferì ai suoi Apostoli il potere di
legare e sciogliere mediante il Sacramento della Confessione Riconciliazione.
Pertanto non è di questa fattispecie di credenti che maturano nella fede, e non è neppure nello specifico dei cattolici in genere, il dubitare sull’efficace
“azione” di Dio, o comunque Egli la voglia svolgere. I cattolici si configurano nella stessa fede che continuano a imparare e a chiedere alla scuola del loro Maestro Gesù, e sull'esempio di Abramo (Rm 4, 3) e di Giobbe, piuttosto che, come la moglie di quest’ultimo (Gb 2, 9-10), assillarsi con dubbi colpevoli e incertezze disperate; o diffidare come fanno tant'altri credenti fasulli. Se la Provvidenza divina è sempre indecifrabile per l’umana ragione, è pur certo che l’Onnipotente sa trarre il migliore bene anche dal peggiore dei mali: ad esempio dai terremoti, dagli tsunami, dalle eruzioni, dalle inondazioni o da altri cataclismi naturali che devastano zone abitate o super popolate causando morte, feriti, spavento irrefrenabile, distruzione di beni e cose. Invero e spesso, è proprio da questi tragici eventi che quantomeno si accende e si allarga poi notevolmente la solidarietà, l’interesse verso i colpiti, verso i poveri, verso coloro dei quali, se non prima della “disgrazia” repentina a loro successa, non ci si voleva accorgere. E guarda caso è proprio lì, in quegli stupendi posti che il Signore vuole che si guardi con più cura e con più provvida solerzia. Lì, oggi, proprio a Haiti, dove il mare è azzurro, le spiagge bianche, la flora verdeggiante, dove la natura e gli animali sfoggiano il meglio di se stessi. Lì, nei Caraibi, in Indonesia, nei favolosi paradisi naturali dell’Africa, dell'Amazzonia, in quei posti commercializzati, in quei punti del pianeta dove da una parte ci sono alberghi a dieci stelle accessibili soltanto a pochi facoltosi, ma dall’altra e purtroppo una marea di indigenti, di miserabili che vegetano in baraccopoli, in strutture fatiscenti, nella sporcizia, soggetti a pestilenze, eccetera.
Se dunque anche tu, mister dubbioso incentivato al non credere, vuoi davvero trovare dei colpevoli, questi cercali sempre nell’Uomo, non nella Natura, né tantomeno sulla presunta inefficienza del Signore. Difatti quel Creatore, di cui voi prima dubitate e in cui poi non volete credere, quando decise di creare
l’uomo a sua immagine e somiglianza, lo mise anche nella condizione di badare a se stesso, di essere in sintonia con la Natura, con gli Animali e con le cose. Così te lo spiega esplicitamente lo stesso Iddio nel libro della Genesi ispirato ai suoi santi Profeti d’un tempo:
«Dio li benedisse [il maschio e la femmina]
e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra"» (Gen 1, 28). Perciò all’uomo è dato, credente o no che sia, di costruire prima le abitazioni antisismiche, le strutture solide, di investire sulla prevenzione anti-questo e anti-quello, sulla sicurezza, sull’integrità dell’ambiente, e poi di fabbricare luoghi sportivi, per il divertimento, per le vacanze, di quant’altro di bello seppur non vitale, e così via. Non è insomma di spendere enormi capitali per armamenti, o finanziare guerre e rivoluzioni al fine d'imporre, con le nuove forme di colonialismo, le proprie “democrazie” secondo quegli schemi che, pur funzionanti nelle società occidentali, non sono invece adattabili in quelle orientali, che hanno ben altre filosofie e mentalità; che possiedono il loro umanesimo, le loro specifiche e pregevolissime culture, tradizioni e storia.
Non è nemmeno di sborsare cifre esorbitanti per lo sport dei pochi privilegiati, per le F1 e altre discipline, da intendere di quell’arte dei giochi e dello sport genuini oramai reminescenze del passato, di cui ora si è fatto solo lucroso commercio, pagando così somme stratosferiche a tennisti e a calciatori, a motociclisti, agli sportivi dei quali alcuni poi evadono il fisco. O d’investire sulla pubblicità per accumulare col consumismo altro capitale, ma stavolta speculato sulla vita, giacché a chi aveva qualcosa, è stata tolta pure quella e tutto il resto. Certo, molte di queste cose sono buone e certune validissime, poiché il divertimento e lo svago fanno parte del buon vivere, ma tutto ciò è sempre secondario se non c’è quell’essenziale di cui ancora la stragrande maggioranza dei popoli manca. O peggio, e come ben si vede, gli si fa mancare. L’uomo è quindi chiamato anzitutto a non tralasciare l’indispensabile né tantomeno di spesarlo sui fabbisogni essenziali dei molti, ma di convogliare denaro e beni per le necessità almeno primarie dei poveri, per il superamento del pauperismo, di quella maggioranza dei tanti infelici affamati di pane e acqua che i troppi incuranti, col loro rispettivo grado d’irresponsabilità, hanno relegato nel terzo e nel quarto mondo. Si tratta di costruire quella società che il grande intellettuale Papa Montini chiamò:
Civiltà dell’amore (Vaticano – UG, 31 dicembre 1975). E a titolo di cronaca, Haiti è la nazione più povera dell’America Latina, dove, fino a poco tempo fa, oltre che l’imperversare degli elementi della natura, c’è stata la guerra civile con violente sommosse e massacri. Il tanto è per ricordare e inserire tra i cataclismi “civili”, le dozzine di guerre dimenticate.
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