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La presenza di Dio

Ultimo Aggiornamento: 12/06/2020 09:44
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24/03/2011 14:30
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Il dovere
Gianfranco Ravasi

Il dovere terreno: il dovere di aiutare, il dovere di risvegliare. C'è un impegno identico sia dell'uomo verso la divinità sia della divinità verso l'uomo: è il dovere dell'aiuto.

«Il dovere è quello che ci aspettiamo dagli altri», scherzava (ma non troppo) Oscar Wilde. Implacabili nel denunciare i doveri della società, della politica, della carità pubblica nei confronti nostri, siamo invece reticenti e sfuggenti quando si tratta di elencare i nostri impegni nei riguardi del prossimo.
Siamo draconiani nell'esigere rispetto dei nostri diritti, ma evasivi quando di scena sono i nostri obblighi. L'enfasi o la perentorietà con cui si celebra la tavola dei diritti si dissolve come neve al sole quando si elencano le mancanze rispetto alle nostre responsabilità, lasciando invece fiorire una distesa di giustificazioni, scusanti, attenuanti.

Ma oggi, con quanto ha scritto sul dovere l'autore austriaco da noi citato, Hermann Broch, morto esule in America nel 1951 per sfuggire al nazismo, siamo invitati a considerare la radice profonda del nostro impegno verso gli altri, ossia l'aiuto (la riflessione è desunta dall'opera La morte di Virgilio che è un monologo interiore, un esame di coscienza dello scrittore viennese).
Dio e uomo si ritrovano proprio in questo atto, che si potrebbe cristianamente chiamare amore. Io, però - di fronte a un tema così chiaro ed esplicito da non aver bisogno di tanti commenti ma solo di attuazione - tenterei di rigirarlo al negativo con una frase severa ma incontestabile dei Promessi Sposi di Manzoni: «Volete aver molti in aiuto? Cercate di non averne bisogno».

È amara questa annotazione, ma quanti accorrono in aiuto del vincitore e si guardano bene di interessarsi di chi è caduto o è in difficoltà.



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24/03/2011 16:57
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Il sonno della giustizia
Gianfranco Ravasi

Se è vero che il sonno della ragione genera mostri, dobbiamo sempre pensare che anche il sonno della giustizia ci può, per piccoli gradi quasi inavvertiti, precipitare nella mostruosa vergogna della camera a gas.

Ci sono persone "laiche" dalla straordinaria caratura morale da diventare esemplari anche per i credenti. Dopo tutto, un ateo come lo scrittore francese Albert Camus arrivava al punto di affermare: «Come essere santi senza Dio: è questo il problema maggiore della vita». Oggi propongo le parole di una di queste figure, lo storico e giurista piemontese Alessandro Galante Garrone (1909-2003), parole tratte da un suo saggio intitolato Amalek, nome del popolo tradizionalmente nemico dell'Israele biblico.

Chiara è la lezione che ci viene offerta: a produrre mostruosità non è solo l'accecamento della ragione, ma anche il torpore di una giustizia lenta e inerte. Su questo tema non c'è molto da aggiungere soprattutto qui in Italia ove il fare giustizia segue ritmi eterni e procedure interminabili. C'è, però, un inciso che mi colpisce: «per piccoli gradi quasi inavvertiti» la società precipita nel male, nella vergogna e nella perversione della stessa umanità.
È proprio nell'inavvertenza impercettibile dei piccoli passi verso il basso che si nasconde il dramma del nostro tempo. Non si hanno atti clamorosi come una guerra o violenze estreme su intere classi sociali ridotte in schiavitù.

È, invece, una goccia dopo l'altra che perfora la coscienza personale e collettiva, smagliandola fino al punto di renderla incapace di reagire all'ingiustizia o all'infamia. Si diventa non tanto immorali in modo consapevole e quindi capaci di un sussulto, quanto piuttosto amorali, sonnolenti appunto e indifferenti.

E una volta precipitati in questa insensibilità, la voce della coscienza si fa afona o indistinguibile.



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[Modificato da Bestion. 24/03/2011 17:04]
24/03/2011 19:21
 
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Semplice o ingenuo?
Gianfranco Ravasi

La semplicità viene dal cuore, l'ingenuità dalla mente. Un uomo semplice è quasi sempre un uomo buono; un uomo ingenuo può essere un farabutto. Perciò l'ingenuità è sempre naturale, mentre la semplicità può essere frutto dell'esercizio.

Portava un nome glorioso nella Bibbia, legato a quell'ebreo che era riuscito a divenire viceré d'Egitto. Ma quel nome, Giuseppe, aveva un significato etimologico a prima vista modesto, connesso al verbo ebraico «aggiungere».
E il padre legale di Gesù che oggi festeggiamo fu un uomo che si "aggiunse" all'evento grandioso che stava compiendosi nella sua sposa, offrendo la sua semplice e silenziosa disponibilità.

Ci pare, allora, significativo riflettere oggi su due termini talora usati come sinonimi, semplicità e ingenuità.
Lo scrittore francese ottocentesco René de Chateaubriand ci aiuta, invece, a distinguerli e a scoprirne la profonda differenza. Sì, perché ingenui si nasce e, per questa via, si cade in una serie di incidenti ma anche di cattiverie, compiute forse senza malizia ma capaci di generare sofferenze e mali.

La sprovvedutezza e la dabbenaggine di un ingenuo non sono una virtù, anzi, sono sorgente di sciocchezze, di imprudenze, di sventatezze. La semplicità, al contrario, è una conquista che nasce da un'ascesi e da una purificazione della mente e del cuore. Non per nulla il poeta russo Sergej Esenin diceva che «mostrarsi semplici e sorridenti è un'arte suprema». Dio stesso è semplice nella sua unità e unicità assoluta, ma non è certo né ingenuo né banale.

E allora raccogliamo la lezione di san Giuseppe che potremmo sintetizzare col motto di un altro poeta, l'inglese William Wordsworth: «Vivere con semplicità e pensare con grandezza».



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24/03/2011 20:12
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Il manicomio
Gianfranco Ravasi

Prendete una donna sana fisicamente e mentalmente, rinchiudetela, tenetela inchiodata a una panca per tutto il giorno, impeditele di comunicare, di muoversi, di ricevere notizie, fatele mangiare cose ignobili. In due mesi sprofonda nella follia.

Alda Merini, la poetessa nata il 21 marzo, ossia domani, inizio della primavera, di 70 anni fa, e morta nel 2009, aveva trasformato - come tutti sanno - la sua drammatica e lunga degenza in manicomio in una straordinaria sostanza poetica. Una sua importante raccolta, che aveva voluto dedicare a me per esprimermi il suo profondo affetto, s'intitolava La clinica dell'abbandono.
Ebbene, parto proprio dalla sua memoria per introdurre il brano sopra citato che ho desunto da un'opera poco nota in Italia, Dieci giorni in manicomio, della giornalista e scrittrice americana, Nellie Bly (1864-1922), che per denunciare gli abusi sulle malate si era fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico femminile, traendone un diario allucinante.

Non vogliamo ora entrare nell'immensa sofferenza della malattia mentale: ai nostri giorni i manicomi sono stati chiusi, ma la realtà dolorosa che essi ospitavano è spesso riversata sulle famiglie che assistono impotenti e desolate al dramma del loro caro. Il testo che abbiamo evocato ci permette, invece, di parlare della dignità violata della persona. Non c'è solo la tortura, pratica infame mai estirpata del tutto neppure nelle nostre carceri.
C'è anche l'inferno creato da colleghi nei confronti di un compagno di lavoro più debole; c'è il mobbing sottile e perverso soprattutto verso le donne; c'è il bullismo nelle scuole, segno di degrado personale e sociale; c'è la violenza nelle stesse famiglie.

Mai a sufficienza, allora, si lavorerà e ci si impegnerà per il rispetto della persona umana, epifania di Dio perché sua "immagine" vivente.



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25/03/2011 13:28
 
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Cantando
Gianfranco Ravasi

La cosa più bella al mondo: una bimba che ti chiede quale sia la strada e che riparte cantando dopo che gliel'hai indicata.

In giapponese esiste un sorprendente genere poetico detto haiku: esso si compone di sole 17 sillabe distribuite in tre versi. Come si può immaginare, è una sorta di illuminazione, un'immagine essenziale che subito scolora, ma lascia una traccia nell'anima.
Ho proposto oggi uno di questi componimenti perché la sua purezza e semplicità ci rendano più sensibili alle piccole cose che di solito ignoriamo o calpestiamo.

L'elemento che vorrei esaltare in questa che è sostanzialmente una pennellata poetica è nella finale: hai mostrato alla bambina la strada giusta ed essa non vi si avvia soltanto ma la percorre cantando.
È, questa, la dote più bella dell'infanzia, la fiducia gioiosa, l'attesa fremente, la capacità di sperare e sognare. Certo, le disillusioni a noi hanno insegnato la cautela e persino il sospetto; anche questa bimba, prima o poi, conoscerà la frustrazione e la diffidenza. Ma la sua lezione non deve essere ignorata (il pensiero va all'evangelico «Se non diventerete come i bambini-»). Dobbiamo qualche volta di più scoprire il fiore che sboccia nella crepa di un asfalto, il frammento di gioia intessuto nella pesante quotidianità, lo squarcio di luce nella nuvolaglia.

Il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht in una sua poesia si domandava: «Nei tempi oscuri si può ancora cantare?» e rispondeva: «Allora si deve cantare dei tempi oscuri». Anche il dolore - come avviene nei Salmi - può diventare poesia, canto, liberazione e forse quello è il canto più alto e intenso.



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25/03/2011 16:41
 
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Il velo della noia
Gianfranco Ravasi

La noia, come il ragno al centro di una tela, avvolge la realtà e le vicende umane di un velo grigio e diafano di indifferenza.

Era nato in Francia da una famiglia di ebrei russi emigrati e il suo nome rivela questa origine: sto parlando del filosofo Vladimir Jankélévitch (1903-1985), autore di un famoso Trattato delle virtù a cui ho attinto per questa suggestiva raffigurazione della noia.
Se la luce del sole attraversa una ragnatela, rimaniamo stupiti di tanta armonia di ricamo, ma basta un tocco per infrangere quella trama e imprigionare l'insetto in un viluppo mortale di fili.

La noia è purtroppo uno dei vessilli di tante persone del nostro tempo, un «velo grigio e diafano» fatto di monotonia e indifferenza. Un altro filosofo, il tedesco Martin Heidegger, la comparava a una «nebbia silenziosa che si raccoglie negli abissi dell'esistere», rendendoci apatici e insoddisfatti, ma incapaci di reagire. O meglio: talora la reazione alla noia c'è, ma è il puro e semplice squarcio di quella rete. Pensiamo a quei ragazzi annoiati che, per spezzare il loro vuoto, compiono atti assurdi e vandalici, devastando le loro scuole, scagliando sassi dai cavalcavia, danneggiando monumenti e giungendo persino al baratro della crudeltà, appiccando fuoco a un barbone.

È il vuoto che si trasforma in aggressione, la demotivazione che degenera in stupidità, l'inerzia che si muta in frenesia insensata. Anche se non arriveremo mai a questa soglia, impediamo alla noia di insediarsi in noi anche solo in un angolino dell'anima perché - come scriveva Leopardi nel suo Zibaldone - essa «è figlia del nulla e madre del nulla e rende sterile tutto ciò a cui si avvicina».



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25/03/2011 20:11
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!






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26/03/2011 17:10
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





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26/03/2011 17:13
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





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26/03/2011 17:15
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





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26/03/2011 17:17
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»
(Lc 23, 34a)


“Gesù Cristo incoronato di spine" - Annibale Carracci (1598) - Pinacoteca Nazionale, Bologna

Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso
che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.
«Ma io ho nascosto da loro il mio volto,
non riconobbero la mia maestà»


La carità fraterna deve conformarsi
all'esempio di Cristo

Sant'Aelredo

Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, «il più bello tra i figli dell'uomo» (Sal 44, 3) offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi. Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine. Abbandonò se stesso all'obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto, lui in tutto dolce, mite e clemente.
Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì bocca (cfr. Is 53, 7).

Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: «Padre, perdonali» non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l'affetto? «Padre», dice, «perdonali» (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. «Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: «Padre, perdonali». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché se l'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1 Cor 2, 8); perciò «Padre, perdonali». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.
«Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà». Perciò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».

Se l'uomo vuole amare se stesso di amore autentico non si lasci corrompere da nessun piacere della carne. Per non soccombere alla concupiscenza della carne, rivolga ogni suo affetto alla dolcezza del pane eucaristico. Inoltre per riposare più perfettamente e soavemente nella gioia della carità fraterna, abbracci di vero amore anche i nemici.
Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore.



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27/03/2011 15:20
 
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QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





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28/03/2011 18:30
 
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Re: ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!
Bestion., 26/03/2011 17.17:




La carità fraterna deve conformarsi
all'esempio di Cristo

Sant'Aelredo






su dai due arancine [SM=x44599] [SM=x44598] [SM=x44600]
mah!!! bestion tu che sembri dell'ambiente [SM=x44600] ma tutti questi migranti li vogliamo accogliere nei conventi/seminari/case parrocchiali et ecc... [SM=x44603] [SM=x44600] [SM=x44600]cosi' tanto per riempirli [SM=x44600] [SM=x44599] sembra che da servi siete diventati i padroni [SM=x44605] [SM=x44606] [SM=x44607] aspetta un po!!!!!!! [SM=x44607] [SM=x44607] [SM=x44607] non e' che il famoso detto del famosissimo beato [SM=x44601] "aprite le porte a cristo" [SM=x44607] non voglia dire fatevi preti & sole?????? [SM=x44603] [SM=x44603] [SM=x44603] [SM=x44603] [SM=x44603] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602] [SM=x44602]

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non bisogna avere paura di un Popolo che non ha Potere ma di chi detiene il Potere di Quel Popolo
anche perché la MORTE non accetta una lira
29/03/2011 10:59
 
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Tre vite
Gianfranco Ravasi

L'attenzione del mondo: bisogna realmente attirare su di sé l'attenzione del mondo per cominciare ad esistere?... Tutti vivono almeno tre vite: una reale, una immaginaria e una non percepita.

«Stanotte, ritrovandomi improvvisamente a occhi aperti con tutte quelle ansie che svaporano al mattino, ho acceso la luce schermata sul comodino, ho aperto un libro di Bernhard e con la matita ho cominciato a sottolineare qua e là qualche parola, qualche frase smozzicata-».
Sto leggendo anch'io a notte fonda, come spesso mi capita: ho tra le mani Il posto delle cornacchie, un libro di un amico scrittore che anche i nostri lettori ben conoscono perché a più riprese ha occupato questo spazio sul giornale, Ferruccio Parazzoli.

E tra le frasi dell'aspro autore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989), che egli sottolinea con la matita, scelgo due riflessioni acide ma vere. Per molti si è veramente vivi solo quando si appare, quando si hanno i riflettori puntati su di sé, quando l'attenzione degli altri ci gratifica di un qualche interesse.
Soltanto così si spiega quel triste denudarsi intimo che avviene in certi programmi televisivi per dimostrare a sé e agli altri di esistere e di essere importanti, senza badare a quale prezzo.

Ma andiamo avanti con Bernhard e la sua considerazione sulle tre vite. Sì, c'è l'esistenza reale, registrata anche dai documenti o dai nostri ricordi. C'è, però, un'altra vita fatta di fantasticherie, di castelli in aria, di chimere e miraggi: è anch'essa necessaria, purché non debordi cancellando la prima e rendendoci persone alienate e paranoiche. Purtroppo è la terza vita che sfugge a molti ed è quella interiore, profonda, spirituale.

Veleggiamo sulla superficie degli eventi o ci astraiamo nel sogno, ma non scaviamo nell'anima, nella coscienza, nel recesso segreto del cuore.



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29/03/2011 14:03
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


«Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua
di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.»

(Gen 11, 9)


“Torre di Babele" - Brueghel (1563) - Kunsthistorisches Museum, Vienna

Il male narciso:
distruggo e mi realizzo

Giancarlo Ricci

«L’uomo ama creare e aprirsi nuove strade – scrive Dostoevskji – ma allora perché egli ama così appassionatamente anche la distruzione e il caos?» Curiosa domanda e di grande attualità. La troviamo come esergo al libro L’eros della distruzione (Il Melangolo, pagine 142, 16 ) scritto dal filosofo Silvano Petrosino e da Sergio Ubbiali, teologo, saggista, docente di Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il libro raccoglie i due contributi tenuti nell’ambito di un Seminario sul male e viene presentato oggi pomeriggio a Milano presso l’Università Cattolica da Gianfranco Dalmasso e Giuseppe Noberasco (sede di via Nirone, ore 14,45).

Abbiamo incontrato Petrosino, filosofo, docente di Filosofia morale alla Cattolica di Milano e di Piacenza, noto come uno dei più importanti studiosi del pensiero di Derrida e di Lévinas. Di recente ha pubblicato La scena umana. Grazie a Derrida e Lévinas (Jaca Book) in cui ripercorre criticamente il compiacimento con cui la modernità ha celebrato l’"era delle fini", della morte di Dio, della verità, del soggetto.

Per quale via la sua riflessione si sofferma sul paradosso enunciato da Dostosvskij quando dice che l’uomo ama tremendamente il male e la sofferenza?
«Per me il problema del male s’inserisce in una problematica più ampia che è il soggetto umano. È il tentativo di una riflessione sull’umano che non sia un’immagine caricaturale dell’umano. La banalizzazione del male si attua con la sua riduzione a un gesto di follia o di debolezza. Talvolta, anche nel mondo cattolico, si afferma un’idea un po’ intellettualistica: si commetterebbe il male per stanchezza o per distrazione. Il male invece è una possibilità data al soggetto, è una scelta del soggetto. Questo, per molti aspetti è inquietante, però è fondamentale. Kant si chiede quale uomo farebbe del male a se stesso. Del resto mi sembrerebbe una concezione ingenua affermare che l’uomo a volte fa il male, ma in realtà cerca il bene».

La modernità è lacerata, assediata da un’idea di male assoluto…
«Certo il male assoluto è una forma di male spaventoso come l’Olocausto o il Gulag. Intravedo tuttavia il pericolo di un’enfatizzazione del male assoluto: da una parte si ipostatizza il male assoluto, dall’altra si mette in ombra il soggetto. Questo comporta il rischio di una cancellazione della soggettività. Più che all’esistenza effettiva di un male assoluto direi, come afferma Jankelevitch, che ci sono i malvagi, ci sono coloro che compiono il male: sono uomini. La scommessa è che il male possa diventare un’opportunità per il soggetto umano. E costantemente dobbiamo chiederci: che cosa cerca il soggetto facendo il male, perché sceglie di distruggere? Qui è importante notare che il male s’intreccia in modo inquietante col tema della giustizia: il soggetto distrugge per rincominciare tutto da capo, per non avere più un debito originario, quel debito che Gesù interpreterà invece come dono. Il soggetto distrugge per imporsi all’origine di se stesso. Nel mio lavoro La scena umana distinguo l’inizio dall’origine, non sono la stessa cosa. Il distruggere umano, quel distruggere "di fronte al quale persino gli animali feroci recedono inorriditi", come dice Lacan, non è nient’altro che un tentativo di risolvere l’origine nell’inizio».

Ma questo non significa escludere l’altro, comportarsi come se non esistesse?
«Certo! Infatti intorno a una soggettività narcisistica si raccoglie sempre una scena di distruzione. L’io è un’organizzazione passionale, affermava Lacan. Anche Gesù vive come organizzazione passionale, ma questa si struttura come dono, riguarda il debito. In effetti l’io è sempre un’organizzazione passionale, che si organizza o nella forma del distruttore nei confronti dell’altro, oppure, come nel caso di Gesù, nella forma del dono, in definitiva dell’amore».

Spesso i media propongono il male come qualcosa di necessario quasi per dire che dobbiamo essere sospettosi dell’altro…
«Significa allora che i media, che sono fatti da uomini, perseguono la passione per il distruggere. Direi che ciò accade, in un certo senso, perché il distruggere appare come una strada più facile rispetto all’accogliere. Chi non accoglie distrugge! È come un bambino che vede il castello di sabbia di un altro bambino: glielo distruggo. Ma domani potrà sorgere sempre un castello più bello. Posso distruggere anche quello… ma allora il male non avrà mai fine. Con il male non si scherza, ha una forza di attrazione. I media a volte sembrano scherzare con il male: mostrano questo o quest’altro, la morte, gli omicidi… Cercano di essere neutrali ma in realtà è pericolosissimo. È un’ubriacatura, non ti fermi più, devi proseguire, devi arrivare fino al punto più alto. È un po’ come accade con la torre di Babele: arrivati in cima, gli uomini provavano nausea a guardare giù. Non ci si accorge che le vertigini le provi nei confronti dell’uomo, ancor prima che nei confronti di Dio. Allora ti diventa insopportabile l’altro e quindi lo distruggi».




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29/03/2011 14:14
 
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Labbra chiuse
Gianfranco Ravasi

L'importanza del conservare le labbra chiuse, che si toccano l'un l'altro, ci è insegnato anche dalla sillaba sacra indiana om.

L'ultima lettera di questa sillaba richiede che le labbra si chiudano a salvaguardare ciò che non è ancora manifestato. Il silenzio di Maria non è assenza di parole, ma riserva di parole ed eventi futuri non ancora manifestati.
Maria porta in sé il mistero del non ancora accaduto. Nei Vangeli Maria parla solo sei volte e - tranne nel caso del Magnificat - si tratta di frasi brevissime, mozziconi di parole. È la settima la sua maggiore dichiarazione, cioè quella custodita nel suo silenzio. Ce lo ricorda una filosofa e psico-analista belga, Luce Irigaray, con queste righe che mettono in scena l'annunciazione di Maria, affidata a due sue frasi simili a un soffio: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?... Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola!».

Il resto è silenzio ed è in quello spazio tacito che si colloca lo spirito generatore. Come scrive ancora Irigaray, «partorire un bambino divino significa portare alla luce una nuova epoca della storia dell'umanità». Dobbiamo, allora, imparare la grammatica del silenzio, una lingua difficile, tipica della fede: "mistica" e "mistero" derivano, infatti, dal verbo greco myein che, per essere pronunciato, costringe a chiudere le labbra - come accade per la sillaba sacra indiana om - e che significa appunto «tacere». Il silenzio è la lingua ultima degli innamorati veri che raggiungono l'apice della loro eloquenza quando tacciono e si guardano negli occhi. La contemplazione silenziosa è anche l'anima della spiritualità alta.

Chiudiamo, perciò, più spesso le labbra, impedendo un flusso vano di chiacchiere per salvaguardare la ricchezza che è in noi e che non dev'essere svelata in modo sguaiato e scomposto.



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29/03/2011 14:48
 
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perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti e di sole???????
Bestion., 26/03/2011 17.17:


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





[SM=x44599] mah!!! bestion tu che sei informatissimo e leggi molto il "addavenire" [SM=x44600] sai quando il grande.........beato [SM=x44600] [SM=x44599] [SM=x44598] nel suo debutto in societa' con la famosa frase "se sbaglio correggetemi" [SM=x44613] [SM=x44613] ti risulta che qualcuno l'abbia corretto??????????? [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44606] [SM=x44606] [SM=x44606]

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anche perché la MORTE non accetta una lira
29/03/2011 15:19
 
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Il credente e l'ateo
Gianfranco Ravasi

Il credente: Io sono un credente, signore, afflitto dal dubbio che Dio non esista.
L'ateo: Io, peggio. Sono un ateo, signore, afflitto dal dubbio che Dio, invece, esista realmente. E' terribile.

Ormai è dimenticato, ma Achille Campanile (1900-1977) ebbe a suo tempo successo per il suo umorismo paradossale. Dalle sue Tragedie in due battute ho tratto questo dialogo tra un credente e un ateo: alla fine, molto più coinvolto nella questione dell'esistenza di Dio è l'ateo, sia pure per l'implicito sospetto dell'inesorabile giudizio divino.
Prendo spunto da questo mini-dialogo per un esame di coscienza. Oggi è domenica e, se dovessimo scavare in fondo all'anima di molti cristiani, non sarebbe azzardato ipotizzare che per non pochi di loro Dio è una presenza da sfondo, quasi come un arredo dell'anima. E' là, relegato nel suo mondo sacro; lo si interpella in caso di grave necessità; gli si versa il tributo d'una Messa domenicale e di qualche preghiera; lo si rispetta per quel sano timore istillato dai genitori fin dall'infanzia.

La fede autentica, però, come ci insegna la Bibbia è ben altro. Diciamolo pure: è qualcosa persino di drammatico, è una pace raggiunta però attraverso la lotta, come ci insegna Abramo che sale il monte Moria o Giacobbe che combatte nella notte lungo il fiume Jabbok. Cristo è venuto a scuotere le coscienze, a portare il fuoco e la spada. Ai suoi discepoli ha chiesto di essere sale e luce, di vigilare nella notte, di donarsi in totalità e senza calcoli.

E' la tiepidezza il grande rischio, come ammonisce l'Apocalisse alla comunità cristiana di Laodicea (3, 14-19).



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30/03/2011 23:44
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


Delitti veri e immaginari
Gianfranco Ravasi

Non di rado le ragioni per cui ci si astiene dai delitti sono più vergognose e più segrete dei delitti stessi.

Erba, Garlasco, Novi Ligure-: sono cittadine che conosco e che ho attraversato più di una volta; eppure a me, come penso a voi che mi leggete, sono ormai connotate per i loro clamorosi ed efferati delitti.
Oggi vorrei porre l'attenzione proprio su questa realtà così tragicamente umana, il crimine, e lo faccio con una frase di quella raccolta interessante di appunti che è il Tel quel («Tal quale») dello scrittore francese Paul Valéry (1871-1945).

Ora, non è solo la psicanalisi ad averci insegnato che esistono delitti fatti col pensiero e, per fortuna, mai messi in azione. Sappiamo, infatti, per esperienza comune che qualche volta ci ha lambito il cervello o la fantasia il desiderio di colpire una persona che detestiamo.
La tentazione di cullarci in queste immaginazioni perverse - anche se talora può essere un benefico sostituto dell'atto malvagio - è però rischiosa perché diventa un secernere il fiele dell'odio. Deve, allora, essere tenuto sempre vigile un senso di colpa anche per questi pensieri «vergognosi e segreti» perché - per usare l'espressione di un altro scrittore francese, Georges Bernanos - essi sono «come una sorta di mulinello che attira inesorabilmente verso il suo centro e del quale nessuno può essere sempre certo della forza o dell'esito».

Una volta ci si ricordava di confessare i peccati che si commettevano in «pensieri, parole, opere e omissioni». Ebbene, sorvegliare fantasticherie, emozioni, orientamenti, pulsioni è una scelta necessaria prima che quel «mulinello» - anche solo per inerzia o in un atto inconsapevole - ci trituri la volontà e ci travolga.

Similmente la purificazione del pensiero e dell'intenzione è decisiva per il controllo delle azioni.



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31/03/2011 14:02
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


Pensare prima di parlare
Gianfranco Ravasi

Non c'è da fidarsi di quello che dice la gente, spesso se le inventa le cose, dice quello che le passa per la mente senza pensarci. Pensare prima di parlare e invece succede il contrario.

«Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di uno un giornalista». Certo, era esagerato Karl Kraus, il caustico autore austriaco dei Detti e contraddetti (1909), ma in qualcosa indovinava. E la sua "verità" non colpiva solo i giornalisti, che - continuava - spesso «hanno con la vita e la verità all'incirca lo stesso rapporto che le cartomanti hanno con la metafisica», ma soprattutto il chiacchiericcio vano e vacuo di molti.
Basta solo salire su un treno e sorbirsi le conversazioni fluviali che i passeggeri affidano ai loro cellulari. Aveva ragione, allora, lo scrittore Luigi Malerba quando - nella nostra citazione da Salto mortale (1968) - registrava un'atmosfera diffusa, quella del parlare col cervello scollegato, emettendo un profluvio di banalità, di stupidità e persino di vere e proprie falsità. Un antico letterato orientale, vissuto nel IX secolo nell'attuale Iraq, di nome Ibn al-Mu'tazz, ricordava che il sapiente esprime le sue idee con accuratezza e col minor numero di parole.

Ora, invece, a partire dalla televisione, una logorrea incessante e indefessa si rovescia nelle orecchie degli ascoltatori, miscelando verità e inganno, sostanza e apparenza in una marmellata appiccicosa e fortemente speziata, destinata a palati ormai deformati da un eccesso continuo. Diventa, così, urgente una purificazione del nostro sguardo dalle troppe brutture e bruttezze e una liberazione del nostro orecchio dalle ortiche del vaniloquio, del cicaleccio inconsistente, del brusio permanente.

Sì, bisogna avere il coraggio di creare qualche volta - almeno di domenica - un'oasi di silenzio, introducendo una sorta di dieta dell'anima e della mente, perché abbia spazio la riflessione, il pensiero, il raccoglimento.



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perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti e di sole ??????
Bestion., 31/03/2011 14.02:



Pensare prima di parlare
Gianfranco Ravasi






[SM=x44599] secondo me' uno gli parlava e uno gli ha anche fatto vedere [SM=x44600] [SM=x44600] [SM=x44600] [SM=x44598]
ne sai qualcosa bestion??????? [SM=x44600] [SM=x44600] [SM=x44600]

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non bisogna avere paura di un Popolo che non ha Potere ma di chi detiene il Potere di Quel Popolo
anche perché la MORTE non accetta una lira
31/03/2011 17:28
 
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Liberaci dalla paura
Gianfranco Ravasi

Dobbiamo essere liberi dalla paura. Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo da parte del potere corrompe chi ne è soggetto.

È una donna fragile a vedersi, con un volto dagli occhi che ti trafiggono: è Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, costretta al carcere per anni e ora agli arresti domiciliari dal regime militare birmano, pur essendo la figlia dell'eroe dell'indipendenza di quel Paese. Ho raccolto queste sue parole sulla paura perché sono quasi il programma della sua lotta per la libertà. Non c'è bisogno di moltiplicare i commenti attorno a una verità così lampante.

La paura, infatti, è la radice di tante vergogne che si commettono. Ed è per questo che il grande Montaigne, nei suoi Saggi, non esitava a confessare: «La paura è la cosa di cui ho più paura». La paura di perdere una carica ti vota all'adulazione, all'inganno, all'umiliazione. La paura di perdere un affetto ti spinge alla gelosia e ad atti meschini. La paura di perdere il predominio sugli altri ti rende implacabile e fin crudele.

La paura di perdere la fama ti fa vanitoso e fatuo. Potremmo andare avanti a lungo in questa litania di debolezze e miserie; perciò è giusto invocare Dio affinché ci liberi da ogni paura e viltà e ci renda coraggiosi e sereni. Detto questo, però, vorrei distinguere la paura da un'altra realtà che usiamo di solito come sinonimo: il timore. Spesso, infatti, si crede di essere audaci perché non si ha più rispetto dell'altro e si diventa, così, arroganti, insolenti, impertinenti. Se la paura può essere un difetto, il timore è una virtù. Per questo motivo nella Bibbia si legge:

«Il timore del Signore è principio di sapienza» (Proverbi 1,7).



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Re: ... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!
Bestion., 31/03/2011 17.28:





«Il timore del Signore è principio di sapienza» (Proverbi 1,7).






eppur qualcuno disse se non me lo sono sognato [SM=x44602] [SM=x44602] "di chi potrei aver paura" [SM=x44613] [SM=x44613] [SM=x44613] non ricordo che beato lo disse [SM=x44600] [SM=x44601] [SM=x44598]
su dai [SM=x44597] che tanto avete lo pirito [SM=x44600]


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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e





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perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti e di sole?????
[SM=x44613] come canzoncina secondo me' e' meglio "canzone del maggio"di de andre' canzone forse di sinistra forse antisemita mah!!!
per me' [SM=x44599] [SM=x44600] molto clericale [SM=x44600]

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