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La presenza di Dio

Ultimo Aggiornamento: 12/06/2020 09:44
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12/03/2011 15:40
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Donne e uomini
Gianfranco Ravasi

È una delle grandi difficoltà della vita indovinare ciò che una donna vuole.
Se c'è un genere che mi è estraneo, è il genere maschile. Lo trovo troppo determinato, tradizionalista, triste, fedele alle abitudini, perduto in automatismi, in credenze sulle quali non s'interroga mai. La scrittrice inglese George Eliot (1819-1880), che aveva assunto questo pseudonimo maschile, annotava: «Certo che le donne sono stupide. Dio onnipotente le ha create per essere uguali agli uomini!».
Ebbene, sulla scia di questa provocazione ironica ho voluto accostare due considerazioni antitetiche, eppure entrambe dotate di una loro verità. Da un lato, c'è la prima frase, desunta da quel romanzo originalissimo che è La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo.

Che la donna sia spesso capace di sorprendere e di spiazzare il suo interlocutore maschile è un'esperienza abbastanza frequente e non necessariamente negativa. Si pensi che in Cina c'è un villaggio, Pumei, ove le donne usano una lingua solo femminile, il nushu, incomprensibile ai maschi e tramandato dalle madri alle figlie. D'altro lato, però, è anche fondata la seconda frase della scrittrice Alice Ceresa (1923-2001) che bolla la noiosa pedanteria maschile. Certo, anche questo aspetto può avere un risvolto positivo nella determinazione, nella fermezza, ma può irrigidirsi nell'automatismo, nell'abitudine, perdendo la freschezza della ricerca, della sorpresa, della domanda di senso.

Tutto questo ci conduce alla specularità dei due sessi, entrambi limitati e criticabili, ma necessari per l'armonia e la vita dell'umanità. Stupidità e grandezza sono ugualmente ripartite perché siamo sempre in presenza di creature e non di divinità.

Eppure, come insegna la Bibbia (Genesi 1, 27), l'immagine divina nella creatura umana è proprio nella dualità sessuale, nel suo profilo originale e creativo.



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12/03/2011 16:41
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Vivere appartato
Gianfranco Ravasi

Per nascere scrittore, bisogna imparare ad amare la rinuncia, la sofferenza, le umiliazioni. Soprattutto bisogna imparare a vivere appartato.

Anche a me giungono spesso testi inediti, che grondano speranze destinate a rivelarsi illusioni. Infatti, soprattutto per quanto riguarda la poesia, molti sono convinti che sia solo un'improvvisazione simile a una folgore, mentre in verità essa è come un distillare miele da una candida e casta cera, per usare un'immagine di un poeta autentico come Clemente Rebora.
Molti credono che scrivere sia come indossare un cappotto e non strappare qualcosa dall'anima con fatica, impegno, tormento.

A tutti gli aspiranti scrittori - e sono una legione, come ben sanno le case editrici - dedico questa nota di un autore provocatorio come è stato l'americano Henry Miller, morto in California nel 1980. Ma questa considerazione, desunta dalla sua opera autobiografica Nexus (1960), vale un po' per ogni professione e per una vera formazione personale.

Quattro sono le tappe di questo ideale itinerario dello spirito. La rinuncia, innanzitutto, alle distrazioni, alle banalità, alla superficialità, alle illusioni. C'è poi la sofferenza che comporta la fatica dell'addestramento, dell'ascesi, della ricerca. Si parano poi davanti a noi le umiliazioni: lo scacco, l'insuccesso sono spesso in agguato ed è facile lasciarsi tentare dallo sconforto, accasciandosi ai bordi della strada della vita. Infine, ecco la tappa decisiva: il paziente e silenzioso appartarsi nella riflessione, lontano dal rumore, dalle chiacchiere, dalla mondanità, dalla luce sfacciata dei riflettori.
Al pittore El Greco chiesero un giorno perché egli dipingesse sempre in una camera in penombra.

Rispose: «Se sapeste quale luce sfolgorante è dentro di me!».



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12/03/2011 23:26
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e

«Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto:
Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto»

(Mt 4, 10)


"La tentazione di Cristo sul monte" - Duccio di Buoninsegna (1308-1311) - Frik Collection, New York

L’azione ordinaria e straordinaria del Maligno.
La parola a Don Giuseppe Tagliareni, che lancia l’allarme:
«Satana sempre più forte a causa del maggior numero

di peccati compiuti dall’umanità»



da "Portatore di luce"
a "Principe delle tenebre"

di Matteo Orlando

“Il maleficio è un male fatto per mezzo del demonio, invocato apposta da un operatore dell’occulto (mago o megera) mediante un rito. Satana scimmiotta così quello che fa Dio mediante i Suoi Sacerdoti e i Suoi Sacramenti per il bene dei Suoi figli; il demonio fa lo stesso, ma in negativo, con i suoi falsi sacerdoti (maghi) e falsi sacramenti (fatture, talismani, amuleti, etc.). Dio dà benedizioni e Satana maledizion". Padre Giuseppe Tagliareni, classe 1943, laureato in Medicina a Palermo nel 1968, ordinato sacerdote nel 1976 a Torino, parroco a Calamonaci (Arcidiocesi di Agrigento) dal 1996 ad oggi, da un ventennio è impegnato - attraverso l'Opera della Divina Consolazione (odc.altervista.org) da lui fondata nel 1983 a Sciacca (AG) - nella cura pastorale delle persone oppresse da causa malefica e quindi, in ultima analisi, dall’influsso diretto o indiretto del demonio, anche per quelle situazioni di invidie e gelosie umane che possono causare dei mali malefici se durano da anni (come nel caso di mali agli occhi e alla testa, impedimenti nello studio e negli esami, impedimenti nel matrimonio e nell’avere figli, rovine economiche, incidenti a catena, disturbi che sembrano malattie senza esserlo, etc). Al Padre abbiamo posto alcune domande su satana, gli esorcismi e i mali malefici.

Padre Tagliareni, Chi è Satana? Come immaginarlo?
“Satana è il diavolo, il capo dei demoni, l’angelo ribelle a Dio che trascinò nella sua ribellione altri angeli, che furono tramutati in demoni. Essi si oppongono a Cristo e a Dio. Sono invidiosi dell’uomo e ordiscono per la sua rovina. Solo Dio li può debellare. San Michele, capo degli angeli fedeli, ha vinto Satana ma con l’aiuto di Dio. La guerra tra angeli buoni e angeli cattivi continua sulla terra e così sarà fino alla fine del mondo. Il demonio vuol prendere il dominio completo sugli uomini per farsi il suo regno, in opposizione al Regno di Gesù Cristo, Dio fatto uomo. Gli angeli sono puri spiriti (senza corpo), perciò non si possono rivestire di immagini, se non per nostro comodo. Essi sono dotati di pensiero intuitivo e grande potenza sul creato, ben più di un genio umano; essi ci superano immensamente, ma non possono fare tutto ciò che vogliono, perché Dio mette dei limiti e difende la nostra libertà”.

Esiste dialogo tra Dio e Satana?
“Non lo sappiamo. Di certo Satana urla e bestemmia continuamente Dio. Nella Bibbia, dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio maledisse il serpente (diavolo) e lo condannò a strisciare e ad essere calpestato dal tallone del Figlio della Donna (la Madonna). Nel libro di Giobbe pure vi è un dialogo tra Dio e Satana, ma è figurativo. Nei Vangeli si vede Gesù che a volte interroga i demoni e poi li caccia, ma non dialoga con loro”.

Non potrebbe Dio bloccare l’azione di Satana? Non potrebbe bloccare l’opera degli stregoni e dei maghi?
“Certo che può e alla fine lo fa sempre. Ma Dio dà anche a Satana la libertà di agire, di tentare, ma sempre entro certi limiti. Così pure, stregoni e maghi possono fare i loro riti e magie, che hanno effetti limitati anche se pericolosi. La stessa cosa vale per un mafioso o per uno spacciatore: Dio permette loro di agire e anche di fare il male, ma fino ad un certo punto. In ogni caso vale la regola generale: Dio permette un male solo per ricavarne un maggior bene. Bisogna sapere che molti si riavvicinano a Dio e alla Chiesa dopo essere stati scottati dalla magia e dall’azione diabolica su di loro”.

Molti non credono nel demonio e pensano che tutto sia spiegabile con teorie psicologiche o psico-analitiche. Che ne dice?
“Ognuno può credere quello che vuole. Bisogna però vedere se le sue teorie tengono e se riesce a liberare coloro che sono oppressi da disturbi malefici. Con l’esorcismo ci si riesce, anche se faticosamente. Nei casi di vera ‘possessione’, la psicologia e la psicanalisi non possono fare nulla. Ci si trova davanti una entità sconosciuta e terribile che prende il posto della persona e domina il suo corpo ora più ora meno, facendogli fare cose inspiegabili con le leggi naturali. L’esistenza del demonio è rivelata da Dio stesso e Gesù lo combatté sempre e diede ai suoi discepoli il comando di cacciare i demoni”.

Il demonio può localizzarsi in un uomo, in una sua parte, in un luogo? E può coabitare con lo Spirito Santo?
“Con la permissione di Dio si può ‘localizzare’ e allora dà segni della sua presenza malefica che rimane invisibile, segni che sono diversi ma che superano la ‘normalità’. Il libro di Giobbe descrive bene quello che il demonio può fare: disgrazie, infestazioni, morie di animali, tempeste, incursioni di briganti, morti improvvise, malattie incurabili, etc. Egli non può coabitare con lo Spirito Santo che è Dio, come le tenebre non possono resistere se c’è luce. Tuttavia, se Dio lo permette, anche una persona santa può essere temporaneamente posseduta nel corpo, mentre Dio abita nel cuore e nell’anima di questa persona. Ciò è permesso per un disegno meraviglioso di Dio, che si avvale anche di Satana”.

Che relazione c'è tra libertà e tentazioni e poi tra libertà e possessione diabolica?
“La libertà è una dote che il Creatore ha dato all’uomo e nessuno può togliere, anche se il suo esercizio è spesso condizionato da molti fattori. Nella tentazione è dato a Satana il tempo di mettere alla prova la nostra libertà di aderire a Dio o al peccato. La tentazione può essere molto forte, ma Dio non permette che siamo tentati oltre le nostre forze e ci dà sempre la via d’uscita, se lo vogliamo. La possessione invece, viene addosso come una malattia, senza che uno l’abbia voluto o desiderato; di solito la libertà non è tolta del tutto. Durante l’esorcismo, se c’è vera possessione emerge il demonio dentro il corpo della persona. Egli allora può anche bestemmiare e dimenarsi, sputare e dare calci o morsi; ma la persona non ricorda nulla di quanto avviene durante l’esorcismo e non è responsabile di quanto dice con la sua bocca o fa con le sue mani: un altro opera in lei”.

Gesù liberò da Satana?
“Sì, ma la vittoria di Cristo Capo deve passare alle sue membra, che sono i cristiani e poi nel mondo intero, dove purtroppo regna Satana. La lotta, iniziata alle origini dell’umanità dunque, continua ad ogni generazione, fino alla fine del mondo. Però con Gesù in noi, abbiamo la vittoria sicura; così con la Madonna che intercede per noi: Satana non la può sopportare, perché è la creatura “tutta Santa”, la più amata da Dio e lo strumento della Sua incarnazione tra gli uomini. Su chi è devoto della Madonna, Satana non ha potere”.

La Madonna, nelle sue apparizioni, parla spesso di Satana. Si può dire che egli oggi sia più forte che nel passato?
“Sì, non perché sia cambiato, ma perché gli uomini oggi peccano molto di più che nel passato. E’ il numero di peccati che dà potere a Satana. Oggi poi, questi sono enormemente aumentati per mezzo della televisione e di internet che entrano in tutte le case e spengono la preghiera e il dialogo tra gli sposi. Molte persone non frequentano più né la Chiesa né i Sacramenti e così cadono sotto il potere del Maligno. Basti vedere gli aborti, i divorzi, l’abuso di alcol, la droga, i delitti che si fanno e gli scandali che si diffondono in pochi minuti per il mondo intero, mentre il bene non fa notizia”.

Che cosa dice, riguardo agli esorcismi, la Chiesa Cattolica?
“Dice che il Divin Salvatore ha lasciato alla sua Chiesa il potere di cacciare i demoni e vuole che così si faccia, come faceva Lui stesso. D’altra parte, poiché si tratta di un ministero difficile, il Diritto Canonico prescrive che il Vescovo dia questo incarico a Sacerdoti particolarmente preparati, forti nella fede e integri di costumi, anche se di per sé chiunque nel nome di Gesù può fare esorcismi, anche un laico. In oriente spesso questo ministero è affidato ai monaci, anche se non son preti. In famiglia o in seno a gruppi di preghiera, anche un laico può benedire nel nome del Signore ma non fare esorcismi né interrogare il demonio. Deve poi evitare di imporre le mani ad alcuno. Se nelle preghiere succedono fatti strani, è necessario avvisare il sacerdote responsabile e, se è il caso, anche il Vescovo, perché sia consultato un esorcista. Altra cosa è la preghiera d’intercessione per le persone oppresse, che è sempre utile e può ben affiancare l’opera di un esorcista”.

Quanti sono gli esorcisti oggi operativi in Sicilia?
“Pochi e non sono sufficienti al bisogno. Per volontà dei Vescovi di Sicilia, fra' Benigno Palilla, esorcista che si è formato con padre Matteo La Grua di Palermo, tiene un Corso per sacerdoti esorcisti già da alcuni anni. Nella diocesi di Agrigento non c'è ancora nessun esorcista ufficiale”.

Cos'è esattamente l'Esorcismo?
“E' un sacramentale, una particolare forma di Benedizione che la Chiesa fa su una persona che si ritiene oppressa dal maligno. Si tratta di particolari preghiere e gesti che l'Esorcista fa per espellere il diavolo che ha preso possesso del corpo della persona. Nel Vangelo si riportano diversi esorcismi di Gesù: di fronte a lui i demoni si manifestavano, urlavano, straziando la persona posseduta e poi al suo comando scappavano via, liberando l'ossesso. Nel Nome di Gesù la Chiesa da due mila anni fa lo stesso”.

Perché Dio permette la possessione?
“Dio permette al demonio non solo di tentare ma a volte anche di vessare e opprimere l'uomo, di procurare sventure, malattie e disastri, come fu per Giobbe. Ma Dio gli fissa limiti invalicabili. Ciò è permesso per un bene maggiore delle anime, per dare gloria a Dio e per mostrare che Satana c'è ed è pericoloso. Bisogna aggiungere che i casi veri di possessione sono pochi ma non rari. La pratica esorcistica parla di qualche decina di persone su mille che ritengono di avere Satana addosso. La maggioranza ha solo disturbi minori che non richiedono l’esorcismo, ma altri Sacramentali”.

Come si fa l'Esorcismo?
“Prima di tutto ci vuole l'assenso della persona interessata e l'assistenza di suoi familiari e di collaboratori dell'Esorcista, tra cui anche medici e psichiatri. Una volta che si è certi della diagnosi di possessione, si fa l'esorcismo seguendo l'apposito Rito prescritto dalla Chiesa. Le preghiere si possono prolungare anche per ore. Quasi subito Satana si manifesta con urla, bestemmie, atti di violenza, sputi; egli non sopporta le preghiere, l'acqua benedetta, la stola, la mano o il soffio del sacerdote, la croce, le reliquie dei Santi, la Bibbia; a volte fa il gradasso e si fa beffe dell'Esorcista. Ma egli sa che ha partita persa: prima o poi dovrà uscire e andarsene. Purtroppo spesso ritorna e quindi il "lavoro" dovrà continuare ed essere sostenuto da molta preghiera, da S. Messe, dall'avvicinamento a Dio di tutti i familiari, da vera conversione”.

Ricorda qualche particolare interessante?
“Si, tanti. Il demonio non dice mai il nome di Gesù e di Maria, neanche se costretto. Risponde: Non posso!. Se si insiste, dice: Quello, Quella. Una volta, l'esorcista chiese: Chi è Quello? Forse Quello che ha le piaghe alle mani e ai piedi?. Il demonio rispose piagnucolando: Io gliele ho fatte! E Lui dona la Vita!. In un altro esorcismo, fu fatta la stessa domanda riguardante la Madonna, che egli chiamava Quella. Il sacerdote chiese: Chi è "Quella?. Rispose: Quella che vuole tutti in Cielo.

Ci sono esorcisti più forti ed esorcisti più deboli, o l'uno vale l'altro?
“Ci sono sempre delle differenze tra gli uomini e questo vale anche nel campo degli esorcisti. Chi libera è sempre Gesù e la liberazione spesso non si sa quando avverrà. Molti Santi sono stati ottimi esorcisti, come San Benedetto, San Francesco d’Assisi, San Domenico, Santa Caterina da Siena, San Pio da Pietrelcina, etc. Negli esorcismi si ha maggiore efficacia invocando certi Santi e usando certe reliquie, che il demonio non sopporta”.

Che valore protettivo ha portare al collo immagini sacre? Sono molto in uso medaglie, crocifissi, scapolari…
“Queste cose proteggono dal male, perché portano una Benedizione. Tuttavia bisogna osservare due cose: che non sono talismani e che non sono assoluti. E cioè, ci vuole sempre la fede e la pratica della vita cristiana (preghiera, S. Messa, etc.)”.

E' vero che il miglior esorcismo è la confessione?
“Sì, se si vuole togliere potere al demonio su di noi. Il suo potere infatti, è legato al peccato; e i peccati si tolgono con la Confessione. No, se si vuole usare la Confessione a posto dell’Esorcismo, quando c’è una possessione. In questo caso ci vogliono tutt’e due”.

Che differenza c'è tra un mago e un esorcista?
“Il mago ha dei poteri concessi dal demonio; l’esorcista ha poteri dati da Dio con l’ordinazione o col Battesimo. Il mago accredita se stesso per guadagnarci col suo “lavoro” e fa pagare salato i suoi servizi; l’esorcista non ci guadagna nulla sul piano economico: gli esorcismi non si pagano, anche se a volte durano più ore, mesi e anni. Gesù ha detto agli Apostoli: ‘Gratuitamente avete ricevuto; gratuitamente date’. Chi ci guadagna è l’anima e i parenti, che si avvicinano tutti a Dio e ne vedono la potenza”.

Il fatto di non trovare esorcisti o esorcisti validi spinge ad andare dai maghi. È peccato? E se si viene davvero guariti? È peccato andare da cartomanti?
“La Chiesa condanna il ricorso ai maghi, perché essi lavorano con poteri occulti dati dal demonio, il quale non va certo contro se stesso. Furbamente egli il male non lo toglie del tutto, ma lo cambia e lo rende più forte. La Bibbia proibisce di consultare simili operatori e anche chi invoca gli spiriti, chi fa opere di magia e stregoneria, chi pretende di predire il futuro, chi fa sacrifici umani (come nelle sètte sataniche): sono cose abominevoli che attirano i fulmini di Dio su chi li fa. Chi si mette col ‘maledetto’ (Satana) avrà parte delle sue maledizioni”.

Quali sono i sintomi che fanno pensare agli esorcisti di un intervento di Satana?
“Sono tanti, ma bisogna credere sempre che si possa trattare di disturbi patologici, tranne che non si dimostri il contrario. Per questo è utile fare delle diagnosi mediche e psichiatriche. Molti disturbi però si evidenziano durante gli esorcismi. Ne citiamo alcuni: parlare o capire lingue straniere mai studiate, conoscere cose occulte, sviluppare una forza superiore di molto alla propria costituzione fisica, avversione al sacro (ai Santi, alle reliquie, all’acqua benedetta, alle preghiere dell’esorcista, alla santa Comunione, alla Messa, alla stola del sacerdote e alla sua mano o al soffio sulla faccia, alla croce e al Crocifisso, etc.). Le persone possedute soffrono moltissimo: vengono bloccate nei loro movimenti, tormentate nei pensieri, impedite di pregare, di uscire a volontà, di lavorare serenamente; a volte sono vessate nel corpo con dolori e striature di sangue, graffi, incisioni, sonno malefico o al contrario insonnia invincibile, rifiuto del cibo o al contrario bulimia infrenabile. Questi e altri sono i disturbi più frequenti; ma bisogna saper fare una diagnosi precisa, anche con l’aiuto di una equipe di specialisti che lavorano insieme con l’esorcista. Non bisogna veder il demonio dappertutto, ma neanche chiudere gli occhi!”.

Quali sono i principali ostacoli che incontra un esorcista?
“Tanti: la mancanza di fede e di costanza, l’insufficiente preghiera di lui e delle persone coinvolte; la passività, per cui si attende quasi la bacchetta magica nelle mani dell’esorcista e non ci si impegna a cambiare vita. Altri ostacoli sono impedimenti di vario genere che Satana mette per non fare arrivare dall’esorcista, per esempio: incidenti di macchina, febbri strane, sonno malefico, etc. Un forte ostacolo è l’incredulità dei preti sull’azione del demonio e la riluttanza dei Vescovi a nominare esorcisti per la propria diocesi. Molti di loro credono di fare bene ad essere increduli, a non vedere il demonio dappertutto, a mandare le persone dallo psicologo o dallo psichiatra e pensano che parlare oggi di possessioni e di malefici fa ritornare al Medio-Evo. Ma purtroppo, non risulta che il demonio sia andato in pensione! … E quando non si crede alla sua presenza, gli si fa un gran piacere perché può “lavorare” indisturbato. E’ molto interessante leggere un libro di un grande esorcista recentemente scomparso: padre Pellegrino Ernetti, ‘La catechesi di Satana’, in cui il demonio è costretto a rivelare tante cosette interessanti, che a lui piacciono o dispiacciono”.

Aiutare un indemoniato comporta danni come, ad esempio, le vendette di Satana?
“No. Siamo protetti dai nostri santi Angeli custodi e dalla Madonna. Nessuna paura. D’altro canto bisogna pregare e usare Sacramenti e Sacramentali”.

Gli esorcisti interrogano il demonio e ne ottengono risposte. Ma se il demonio è il principe della menzogna, che cosa di utile si può ottenere ad interrogarlo?
“Se l’esorcista interroga il demonio, lo fa non per vana curiosità ma per possederne il nome e umiliarlo col nome di Gesù. Egli non resiste a questo nome e non gli va affatto di dirlo. Non lo dice mai. Piuttosto, dice: “Quello”. Il demonio è costretto a glorificare Gesù, anche se lo odia mortalmente. C’è una forza che lo fa parlare per dare gloria a Dio e far crescere ancor più nella fede l’esorcista stesso e quelli che l’assistono”.

Sono colpiti dai disturbi satanici più uomini o donne? Più giovani o vecchi?
“Non ci sono statistiche certe, anche perché per molti anni dopo il Concilio Vaticano II (1962-65) la Demonologia è stata messa in soffitta. Solo di recente le cose stanno lentamente cambiando. In Italia ci sono ormai parecchi esorcisti, ma non in numero sufficiente; in Spagna ce ne sono cinque; in Portogallo uno; in Germania nessuno. Ma le possessioni non mancano mai, tanto più quanto meno ci si avvicina a Dio e si pecca. Più colpite sembrano le donne e gli adulti”.

Perché Dio permette che un bambino innocente possa già nascere con disturbi malefici, o addirittura con una possessione diabolica?
“C’è sempre un disegno divino nelle cose, specialmente nella sofferenza di un innocente. D’altro canto, il più innocente e sofferente è Gesù Cristo crocifisso. Ma con la sua croce Egli ha redento il mondo. Si può dire che se chi soffre è colpevole, la sua sofferenza serve soprattutto a lui per purificarsi ed espiare i suoi peccati; se chi soffre è un innocente, la sua sofferenza serve per altri e a lui sarà dato un grande premio da Dio”.




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13/03/2011 11:18
 
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Il conformista
Gianfranco Ravasi

Un uomo non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare deve seguire la maggioranza. Altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari- Conformarci è nella nostra natura.

È una forza alla quale pochi riescono a resistere- Solo ai morti è permesso dire la verità. La sua ironia era tagliente e spesso amara e le righe che abbiamo proposto ne sono una prova folgorante. Come lo è questo terribile aforisma che osiamo trascrivere con esitazione, proprio sulle pagine di un quotidiano: «I giornalisti onesti ci sono. Solo che costano di più».
Il pessimismo dello scrittore americano ottocentesco Mark Twain, l'autore delle Avventure di Tom Sawyer, è comunque una sferzata benefica contro la sonnolenza dei luoghi comuni, contro la deriva dell'opinione dominante, contro la banalità di un'esistenza comoda e superficiale, contro l'adulazione servile per interesse personale. Ecco, infatti, nel passo sopra citato la denuncia di quel conformismo a cui si piega il capo per non avere fastidi e soprattutto per ottenere vantaggi egoistici.

Vorrei lasciare ancora la parola a Twain: «Non facciamo altro che sentire, e l'abbiamo confuso col pensare. E da questo nasce un risultato che consideriamo una benedizione: il suo nome è Opinione Pubblica. Risolve tutto. Alcuni credono che sia la voce di Dio». Lo scrittore non conosceva ovviamente la televisione e internet e si accaniva contro la stampa, ma se fosse qui oggi aggiornerebbe certe sue staffilate contro gli attuali comunicatori di massa.
C'è, al riguardo, un'altra sua frase implacabile, ma sacrosanta, soprattutto nell'odierno circo mediatico: «Esistono leggi per proteggere la libertà di stampa, ma nessuna che faccia qualcosa per proteggere le persone dalla stampa».

E continuava: «Una bugia detta bene è immortale».



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13/03/2011 14:47
 
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Il peso delle lacrime
Gianfranco Ravasi

Nel giorno del giudizio / verranno pesate solo le lacrime.

Sono stato tante volte in Egitto e devo confessare di essere stato sempre affascinato dalle pitture parietali con le scene del giudizio del defunto, giunto davanti al dio arbitro del suo destino.
Una bilancia raccoglieva su un piatto l'anima del morto, mentre sull'altro piatto era posata una piuma. Solo l'anima lieve come quella piuma, cioè libera da colpe, sarebbe stata ammessa nell'eternità beata.
Era la cosiddetta "psicostasia", la pesatura delle anime.

Lo scrittore pessimista franco-rumeno Emil Cioran (1911-1995) immagina un'altra pesatura per il giorno del giudizio, quella delle lacrime. È sostanzialmente un'idea biblica perché l'antico salmista ebreo cantava: «Le mie lacrime, o Dio, nell'otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Salmo 56,9). Dio è raffigurato come un pastore che avanza nel deserto tenendo sulle spalle un otre, «il pozzo portatile» come lo chiamano i beduini, con la riserva d'acqua che permette di sopravvivere prima di raggiungere l'oasi.

È, quindi, uno scrigno di vita, prezioso e custodito con cura. Ebbene, il Signore nel suo otre raccoglie le nostre lacrime, spesso ignorate dagli altri e ignote ai più. Esse non cadono nella polvere del deserto della storia, dissolvendosi nel nulla. C'è Dio che le depone nel suo otre conservandole come fossero perle.
Ad attenderci non c'è, dunque, l'assurdo; né una divinità implacabile pronta a pesare solo le nostre colpe. Siamo lontani dall'amaro scetticismo del poeta greco Eschilo che, di fronte all'insonne respiro di dolore che sale dalla terra al cielo, s'interrogava: «Io grido in alto le mie infinite sofferenze, dal profondo dell'ombra chi mi ascolterà?» (Persiani v. 635).

Quel silenzio è squarciato dal Dio che pesa le lacrime per trasformarle in luce.



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14/03/2011 16:50
 
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QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e

«Egli proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente,
è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova
»
(Eb 2, 18)


“Le tentazioni di Sant'Antonio abate" - Bernardo Parentino (1494) - Palazzo Doria Panphilj, Roma

Cristo Gesù «avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo;
ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe
insegnato a vincere, quando sei tentato»


In Cristo siamo stati tentati
e in lui abbiamo vinto il diavolo

Sant'Agostino, vescovo d'Ippona

«Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t'invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).

Dunque, è questo possesso di Cristo, quest'eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest'unica Chiesa di Cristo, quest'unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t'invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l'ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.

Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.

Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.

Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.



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[Modificato da Bestion. 14/03/2011 16:51]
14/03/2011 17:48
 
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Gli dèi nel fuoco
Gianfranco Ravasi

Si racconta che dei pellegrini si fossero recati in visita a Eraclito, e avendolo trovato intento ad accendere il fuoco ne fossero rimasti delusi.

Avrebbero preferito vedere il grande saggio occupato in operazioni meno usuali, ma Eraclito indicò il fuoco e si rivolse loro con queste parole: «Anche lì abitano gli dèi».Leggo sempre con interesse e ammirazione quanto scrive Roberto Carifi, poeta e filosofo pistoiese. Da un suo bel libretto, essenziale e intenso come sono i suoi versi, intitolato In difesa della filosofia (ed.
Le Lettere), cito questo apologo sul celebre filosofo greco Eraclito di Efeso (VI-V sec. a.C.). La lezione è evidente: a chi si attendeva sofisticate speculazioni sul logos (ed Eraclito anche ad esse si dedicherà), il filosofo oppone il segreto e la profondità nascosta in ogni realtà, anche nella più semplice e quotidiana.

Ciò che vale per il pensiero e la ricerca filosofica, in questo caso, vale anche per la fede e per la vita spirituale. La divinità non si offre solo nelle grandi epifanie, per altro rare e fugaci, ma si cela soprattutto nella realtà a noi disponibile, si adatta al tempo e allo spazio per essere a noi vicina a svelarsi. «Interroga la vecchia terra ed essa ti risponderà col pane e col vino», scriveva Paul Claudel nel suo dramma Annunzio a Maria.

E il pane e il vino nel cristianesimo diventano la presenza stessa di Cristo, il Figlio di Dio che si offre in alimento di vita eterna e che in tal modo resta con noi sino alla fine dei tempi.



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14/03/2011 22:41
 
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Memoria e noia
Gianfranco Ravasi

Perché dobbiamo avere abbastanza memoria da ricordare fin nei minimi particolari quello che ci è capitato, e non ne abbiamo abbastanza per ricordare quante volte lo abbiamo raccontato alla stessa persona?
Di solito è una prerogativa degli anziani, quella di ricordare nei minimi particolari eventi e atti di mezzo secolo prima e di dimenticare che te li hanno raccontati già decine di volte, forse proprio il giorno prima.

Un po' tutti abbiamo un parente o un conoscente che sentiamo con terrore iniziare un racconto della guerra a cui egli ha partecipato: sappiamo già quello che ci narrerà ma siamo del tutto impotenti a fermarlo.
In realtà il nostro io ci fa un po' tutti - giovani e anziani - cadere nel vezzo o nel vizio di infliggere agli altri storie personali trite e ritrite.Implacabile come sempre, ce lo ricorda il moralista francese La Rochefoucauld (1613-1680) in una delle sue Massime, quella sopra citata.

Spandere noia attorno a sé può essere un difetto costituzionale di certe persone. Ma spesso alla radice c'è proprio quell'inconsapevole desiderio di mettere se stessi al centro di tutto: ciò che abbiamo fatto, pensato, provato noi riteniamo che debba interessare tutti perché originale, creativo, piacevole. Ricordo un film divertente di Alessandro Blasetti, apparso nel 1965 e intitolato Io, io, io- e gli altri, un'ironica denuncia dell'egoismo che alla fine rende ridicoli o patetici senza accorgersene.

Annoiare gli altri col racconto delle nostre gesta è appunto uno dei sintomi di questo morbo spirituale.



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15/03/2011 13:18
 
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Al centro del cuore
Gianfranco Ravasi

O Cristo glorioso/ la cui fronte è di neve, gli occhi di fuoco,/ i piedi più scintillanti dell'oro in fusione./ Tu, le cui mani imprigionano le stelle; tu sei il primo e l'ultimo,/ il vivente, il morto e il risorto;/ tu che raccogli nella tua esuberante unità/ tutte le forze, tutti gli stati;/ sei colui che il mio essere invocava/ con un'aspirazione vasta quanto l'universo./ Tu sei veramente il mio Signore e il mio Dio!/ Racchiudimi in te, Signore!/ Sino al centro del tuo cuore, attraimi!

Era il 6 agosto 1923, festa della Trasfigurazione di Cristo. Uno scienziato, il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), si trovava per uno scavo sull'altopiano desertico e desolato di Ordos, nella Mongolia cinese. Desiderava ardentemente celebrare la Messa ma non aveva con sé né pane né vino.
Ecco, allora, la sua Messa sul mondo, una specie di inno cosmico dal quale abbiamo tratto alcuni versi. «Tutti noi siamo irrevocabilmente immersi» in Dio; anche la materia non cade fuori dalle mani del Creatore.

Alludendo alla raffigurazione del Cristo dell'Apocalisse, Teilhard de Chardin sente che l'essere non è come un caos confuso o un mosaico disperso, bensì una totalità tesa verso un centro. L'uomo ne è consapevole e per questo chiede a Cristo di attrarlo a sé, coinvolgendo anche tutta la creazione che, come scriveva Paolo, «attende con impazienza- e nutre speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Romani 8, 19-21).

Che ci sia oggi, per tutti noi, un'oasi di contemplazione e di silenzio nel deserto del tempo.



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15/03/2011 13:58
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e
Seconda giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano
L'intervista al teologo, padre Léthel



“Gaudio dei Santi" Predella della pala di Fiesole - Beato Angelico (1424-1425) - National Gallery, Londra

« I Santi sono i grandi testimoni della santità della Chiesa e
dunque, attraverso la loro testimonianza, la loro riflessione,
la loro esperienza, risplende la luce di Cristo »



La luce di Cristo
nel cuore della Chiesa

Amedeo Lomonaco

Benedetto XVI e la Curia Romana sono impegnati oggi nella seconda giornata di esercizi spirituali della Quaresima. Una giornata caratterizzata da temi mariani, ma non solo, in rapporto a Giovanni Paolo II. Il titolo della prima delle tre riflessioni proposte dal predicatore – il carmelitano scalzo padre François-Marie Léthel – recita così “La grande scienza dei santi” (S. Luigi Maria de Monfort) in Cielo come in Terra: Scientia beata, scientia fidei, scientia amoris (dalla Fides et Ratio alla Novo Millennio Ineunte). La seconda meditazione riguarderà il Totus Tuus cristocentrico e mariano di Karol Wojtyła, come filo conduttore di tutta la sua vita (Gv 19, 25-27 e Lettera ai Religiosi e alle Religiose delle Famiglie Monfortane dell’8 dicembre 2003), mentre La terza meditazione tratterà dello splendore della carità, della fede e della speranza vissute da Giovanni Paolo II con Maria Santissima. Durante la settimana di esercizi spirituali, che termineranno sabato prossimo, sono sospese tutte le udienze del Papa, compresa l'udienza generale del mercoledì.

Amedeo Lomonaco ha chiesto a padre Léthel con quale spirito si sia preparato per questi esercizi spirituali:
R. - Mi sono immerso nella preghiera, ho detto di sì. Il grande avvenimento era la Beatificazione di Giovanni Paolo II, e dunque dovevo impostare questo corso di esercizi come una preparazione spirituale alla Beatificazione di Giovanni Paolo II. Per me, dunque, questa è una missione, una cosa che viene da Dio. Mi sento molto piccolo dinanzi a questo, ma mi affido al Signore ed anche alla Madonna.

D. – Perché ha scelto come tema degli esercizi “La luce di Cristo nel cuore della Chiesa, Giovanni Paolo II e la teologia dei Santi”?
R. - Da tanti anni studio i Santi. Questo tema della santità è da sempre stato al centro di tutta la mia ricerca teologica. I Santi sono i grandi testimoni della santità della Chiesa e dunque, attraverso la loro testimonianza, la loro riflessione, la loro esperienza, risplende la luce di Cristo. Giovanni Paolo II è il Papa della santità e la sua Beatificazione è il riconoscimento ufficiale della sua santità. E’ il Papa che ha proclamato più Santi e Beati. E’ il Pontefice che ha presentato i Santi non solo come esempi di perfezione cristiana, ma anche come teologi nel senso più alto, come conoscitori di Dio. Li ha presentati come portatori, nel mondo di oggi, di questa luce di Cristo.

D. - Come si svilupperanno le sue meditazioni?
R. - Già la Tipografia vaticana ha preparato, per i partecipanti, un libretto molto bello ed ha messo sulla copertina un dipinto del Beato Angelico, che rappresenta il girotondo dei Santi. I Santi del cielo si danno la mano l’un l’altro. Per me quest’immagine è l’icona di questi esercizi. Si parte quindi da Giovanni Paolo II: è lui che, nella grazia della sua Beatificazione, guida questo girotondo e dà immediatamente la mano ai due Santi più legati a lui. Innanzitutto a San Luigi Maria Grignion di Montfort, che ha ispirato il suo “Totus Tuus”. Subito dopo dà la mano a Santa Teresa di Lisieux, che Giovanni Paolo II aveva proclamato “Dottore”, esperta della scienza dell’amore. Santa Teresa di Lisieux dà la mano ai due grandi Dottori della scienza della fede, che sono Anselmo e Tommaso, che Giovanni Paolo II citava nella “Fides et Ratio”. Ho voluto anche integrare con due Sante della fine del Medioevo: Santa Caterina da Siena e Santa Giovanna d’Arco che hanno vissuto un momento molto drammatico per il mondo e per la Chiesa. C’erano allora tanti problemi, tante ferite. Ci saranno poi due laiche: la venerabile Concita Armida de Cabrera, una grande mistica, e la Beata Chiara Luce Badano, morta nel 1990, che è anche la prima Beata del Movimento dei Focolari. Finiremo con la Festa di San Giuseppe, il 19 marzo. L’ultima meditazione è proprio dedicata a San Giuseppe, il patrono del Battesimo del Papa. Il girotondo si concluderà con lui.

D. - Quanto è importante questa sua esperienza per la comunità dei Carmelitani scalzi?
R. - Questa scelta del Papa di certo mi ha toccato personalmente, ma è stata anche motivo di grande gioia per i miei confratelli. E’ dunque una cosa che viviamo in comunità. Tutto l’Ordine del Carmelo, le Carmelitane, pregano per il Papa ma anche per il predicatore carmelitano. E’ una cosa che coinvolge veramente tutta la famiglia carmelitana.

D. - Coinvolge tutta la famiglia carmelitana e coinvolge tutta la comunità di fedeli. Cosa augura ai fedeli per questa Quaresima 2011?
R. - Auguro di prendere una più viva coscienza della loro vocazione alla santità. Troppe volte i fedeli pensano che i Santi siano un po’ come gli extraterrestri, cioè persone senza difetti, mentre invece non è così. I Santi erano persone come noi, con i loro limiti, le proprie ferite, avevano commesso anche loro dei peccati, ma ad un certo punto hanno deciso di seguire Gesù fino in fondo. Questo è ciò che auguro a tutto il popolo di Dio, per prepararsi anche a questo grande avvenimento che sarà davvero un qualcosa di grande per tutti: la Beatificazione di Giovanni Paolo II. Ci si deve preparare prendendo più coscienza della vocazione personale alla santità e facendo dei passi avanti nella preghiera, nella vita cristiana, nella carità verso gli altri.



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15/03/2011 14:28
 
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Continuo a cercare
Gianfranco Ravasi

Mentre il sole tramonta/ io continuo a cercare,/ senza nessuno intorno./ Continuo a cercare,/ ma ancora non ho trovato la mia strada./ Dimmi ora, dimmi, dimmi,/ dove posso trovare un po' di tranquillità./ Dimmelo, dimmelo, dimmelo/ e io ti seguirò/ subito-/ Una fede ristoratrice/ io continuo a cercare./ Ma ancora non ho trovato/ la mia strada-

Qualche mese fa a Roma, dopo un mio intervento nella basilica di S. Giovanni in Laterano, mi si è accostata una signora e mi ha consegnato un libretto di poesie in inglese (con traduzione italiana a fronte).
Erano di suo figlio, Chris Cappell, nato a Roma nel 1975, vissuto in America, collaboratore della cantante Mina, morto nel 1998 per una rara forma di intolleranza alimentare. Il libretto, edito dal Messaggero di Padova, s'intitola Lasciami correre via: l'ho letto in questi giorni e ho ritrovato le lotte, le sfide, le tenerezze, le passioni e soprattutto la ricerca dei giovani di oggi e di sempre.

Tra i versi spontanei e semplici di quella raccolta ne ho scelto alcuni da proporre a tutti, anche a quanti di noi non sono più giovani. «Continuo a cercare», I keep Searching, scrive Chris con la Maiuscola sul «cercare» in inglese, consapevole che è la realtà più preziosa della vita. Troppe volte, infatti, ci si accomoda nella pianura, avvolti nella nebbiolina dell'afa, intontiti dal cibo e dalle cose e non si ha più voglia di salire verso l'alto, l'aria pura, la luce trasparente, il silenzio denso.

«Lasciami correre via/ dove posso essere me stesso/ dove posso trovare la mia strada». Tutti abbiamo bisogno di cercare per trovare.



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15/03/2011 14:48
 
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QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e
Terza giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano,
dalle meditazioni del teologo padre Léthel





Da San Luigi Maria de Monfort
a Santa Teresa di Lisieux

Redazione

La spiritualità mariana del Monfort e quella cristocentrica di Santa Teresa di Liesieux. Sono imperniate attorno a questi due giganti della fede cristiana le meditazioni che padre Francois-Marie Lethél propone oggi a Benedetto XVI e alla Curia Romana, nella terza giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano.

La prima riflessione odierna del religioso carmelitano scalzo si basa sulla dottrina di San Luigi Maria de Monfort, sintetizzata nel Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine e riassunta nel Segreto di Maria.
La seconda meditazione è dedicata alla celebre “Storia di un’anima” e agli altri scritti di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle Missioni, proclamata da Giovanni Paolo II Dottore della Chiesa come “esperta della scientia amoris”.
La terza meditazione è collegata alla precedente e ha per titolo “Il cristocentrismo di Teresa: nel Nome di Gesù e nell’Amore di Gesù sono abbracciati tutti i Misteri di Dio e dell’Uomo”.



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15/03/2011 17:07
 
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Il fine
Gianfranco Ravasi

Parla poco, odi assai et pensa al fine di quel che fai.Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci.

Due spunti di riflessione dalla genesi molto diversa ma dalla finalità abbastanza coincidente. La prima frase è scritta su una parete della sala capitolare dell-Abbazia di Chiaravalle di Fiastra (Macerata) e mi è stata segnalata da un lettore di Pesaro.
La seconda è, invece, desunta dal celebre romanzo Il dottor Zivago di Boris Pasternak.

L-accento cade proprio sul fine della vita: ci preoccupiamo spesso della fine della nostra esistenza, timorosi di vederla avanzare troppo in fretta, ma non ci interroghiamo più di tanto sul fine di tutto l-agire, il pensare, l-amare e il detestare che compone il flusso dei nostri giorni.E- per questo che si "tira a campare" senza fremiti o ideali; è per questo che ci si accomoda nell-abitudine e nella banalità senza mai «lanciarsi in avanti, verso la perfezione», come suggerisce lo scrittore russo. Cristo è arrivato al punto di proporci di essere «perfetti come il Padre che è nei cieli».

Noi, invece, ci accontentiamo di rasentare la terra, accettando solo piccole mete e talvolta rifuggendo anche da esse per ridurci a un grigiore senza bagliori. Riscopriamo allora, da un lato, la forza della grazia divina che può sommuovere anche un essere inerte e, d-altro lato, la vitalità della nostra volontà che ci spinge a levarci in piedi e a «lanciarci in avanti».



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15/03/2011 17:36
 
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15/03/2011 17:37
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!






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[Modificato da Bestion. 15/03/2011 17:40]
15/03/2011 17:41
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e
«... và e d'ora in poi non peccare più»
(Gv 8, 11)


“Cristo e l'adultera" - Renzi Polidoro de' detto Polidoro da Lanciano (1541) - Musei Civici di Arte e Storia, Brescia

«Ed ora misurate, se vi regge l'occhio e lo spirito,
con l'umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile,
il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo.
Opera propria dell'uomo, il peccato ammorba la terra e
deturpa come macchia immonda l'opera di Dio»


Confessione e
Penitenza

Pio XII

La spontanea e ardente devozione, diletti figli e figlie, con cui siete qui accorsi in questa giornata di penitenza, non poteva interpretare meglio le Nostre intenzioni, né compiere con maggiore soddisfazione Nostra il voto del Nostro cuore, confidatovi fin dalla vigilia dell'apertura della Porta santa, allorchè vi esortammo a dar vita ed impulso in questo Anno giubilare ad un fervido movimento spirituale di espiazione.
Nella presente Domenica la Chiesa dà principio al sacro tempo della Passione, e con la mestizia dei suoi riti fa rivivere dinanzi agli occhi e nelle anime dei fedeli il dramma del divino Espiatore delle colpe umane : Gesù Cristo Signor Nostro.
Questa giornata mondiale di penitenza risponde invero ai bisogni più urgenti della società in cui viviamo.
All'occhio illuminato dalla fede, come allo sguardo di ogni onesto, cui suffraga la coscienza naturale non offuscata da pregiudizi e da traviamenti, mentre sfolgora nella sua indefettibile chiarezza quella legge che incoraggia al bene e storna dal male, che precede e sovrasta tutti i codici della terra ed è una in tutti i popoli e in tutte le età, che è norma di ogni azione umana e base di ogni civile consorzio (cfr. Cic. De legibus 1. 2 c. 4); a quell'occhio non può sfuggire lo spettacolo miserando di un mondo in disfacimento per la rovina, in esso operata, delle fondamentali strutture morali della vita.

Alieni da ogni ingiustificato pessimismo, che contrasta con la stessa speranza cristiana, figli anzi del nostro tempo, non legati da irragionevoli nostalgie di età che furono, Noi non possiamo tuttavia non rilevare la crescente marea di colpe private e pubbliche, che tenta di sommergere le anime nel fango e di sovvertire tutti i sani ordinamenti sociali. Come ogni tempo ha una impronta propria che sigilla le sue opere, così l'età nostra nella sua stessa colpevolezza si distingue per contrassegni, quali i secoli passati non videro forse mai egualmente insieme congiunti.

Primo e più grave stigma è la consapevolezza, che rende inescusabile l'oltraggio alla legge divina. Nel grado di luce e di vita intellettuale, diffuse, come non mai per l'innanzi, nei vari ceti sociali, onde va altera la civiltà moderna; nel senso più vivo e geloso della propria dignità personale e della interiore libertà dello spirito, onde si gloria la coscienza d'oggi; non dovrebbero più trovar posto la possibilità o presunzione d'ignoranza delle norme che regolano i rapporti delle creature tra loro e col Creatore, e quindi neppure la scusa in essa fondata che attenuerebbe la colpa. La quale, dilagando in una quasi universalità di decadenza morale, ha contaminato anche zone una volta tradizionalmente immuni, quali erano le campagne e la tenera fanciullezza.

Una serie di spudorate e criminali pubblicazioni apprestano ai vizi e ai delitti i mezzi più obbrobriosi di seduzione e di traviamento. Velando l'ignominia e la bruttezza del male sotto l'orpello della estetica, dell'arte, della effimera ed ingannevole grazia, del falso coraggio; ovvero accondiscendendo senza ritegno alla morbosa avidità di sensazioni violente e di nuove esperienze di dissolutezza; l'esaltazione del malcostume è giunta fino ad uscire palesemente in pubblico e ad inserirsi nel ritmo della vita economica e sociale del popolo, facendo oggetto d'industria lucrosa le piaghe più dolorose, le più miserevoli debolezze dell'umanità.

Persino alle più basse manifestazioni di questo scadimento morale si osa talvolta cercare una giustificazione teorica, appellandosi ad un umanesimo di dubbia lega o ad una commiserazione, che indulge alla colpa per ingannare e traviare più facilmente le anime.
Falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell'uomo e quasi arricchimento della propria personalità. È reato di lesa società la cittadinanza data al delitto col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile, di naturale defettibilità umana, quando tutto si lascia correre o peggio si mette in opera per eccitare scientemente le passioni, per allentare ogni freno che promana da un elementare rispetto della pubblica moralità o dal pubblico decoro, per raffigurare coi colori più seducenti l'infrazione del vincolo coniugale, la ribellione alle pubbliche autorità, il suicidio o la soppressione della vita altrui.

Senza dubbio Noi riconosciamo col cuore pieno di tenera compassione la fragilità della umana natura, particolarmente nelle presenti condizioni storiche; riconosciamo che la miseria, l'abbandono, la promiscuità di persone abitanti in squallidi tuguri sono una delle gravi cause della immoralità; ma è pur sempre propria dell'uomo la volontà libera e dominatrice dei suoi atti, proprio dell'uomo l'aiuto soprannaturale della grazia, che Dio mai non nega a chi fiduciosamente la invoca.

Ed ora misurate, se vi regge l'occhio e lo spirito, con l'umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo. Opera propria dell'uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l'opera di Dio. Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro se stessi, nell'anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società. Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d'iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni. Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l'uomo è stato creato, con gl'ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.

Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l'ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinchè si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità. Con tutto l'ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo. Per questa via l'anima ritorna nelle braccia del Padre celeste, risorge nella grazia santificante, si ristabilisce nell'ordine e nell'amore, si riconcilia con la divina giustizia; è il gran ritorno della umanità ribelle alle leggi di Dio e della Chiesa, che abbiamo sospirato nella Nostra attesa piena di fiducia e di speranza e che affrettiamo coi Nostri desideri, coi gemiti del Nostro cuore, con le Nostre preghiere, coi Nostri sacrifici, col dispensare largamente l'inesauribile tesoro spirituale della Chiesa, commesso alle Nostre cure. Non temete per la gioia serena della vostra vita, quasi che l'invito alla penitenza voglia stendervi un velo di cupa tristezza. Tanto ne è lontano il rinnegamento di sè, che anzi è condizione indispensabile dell'intima letizia, destinata da Dio ai suoi servi quaggiù. E Noi con la medesima ansia e sollecitudine, che Ci brucia il cuore per la vostra correzione, non dubitiamo di esortarvi con l'Apostolo S. Paolo: Siate sempre lieti nel Signore : « Gaudete in Domino semper; iterum dico, gaudete » (Phil. 4, 4).

In questo spirito Noi spesso abbiamo levato la Nostra voce in favore degli indigenti e degli oppressi da inique condizioni economiche, miseramente privi anche delle cose più necessarie alla vita, invocando e promovendo una più effettiva giustizia. Ma nella visione cristiana di una società dove la ricchezza sia meglio distribuita, trovano pur sempre posto la rinunzia, la privazione, la sofferenza, retaggio inevitabile ma fecondo quaggiù. E il godimento più intenso, che valga mai a gustare o a desiderare un cuore sulla terra, sarà e dovrà essere sempre superato dalla speranza della futura e perfetta felicità: « spe gaudentes » (Rom. 12, 12). Sostituite, invece, la concezione materialistica del mondo, nella quale il benessere viene sognato perfetto e compiuto in terra, come termine e scopo adeguato della vita, e vedrete l'aspirazione alla giustizia divenire spesso cieco egoismo e la conseguita agiatezza una corsa verso l'edonismo.

Ora appunto l'edonismo, cioè la ricerca affannosa di ogni godimento terreno, lo sforzo esasperato di conquistare quaggiù e ad ogni costo la felicità intera, la fuga, come da somma sciagura, dal dolore, l'affrancamento da ogni penoso dovere; tutto questo rende la vita triste e quasi insopportabile, perchè scava intorno allo spirito un vuoto mortale. Non altro indica il presente moltiplicarsi di gesti insani di ribellione alla vita e al suo Autore, perchè con anticristiana pretesa si vuole da essa escludere ogni sorta di patimento. Saper sopportare la vita! È la prima penitenza di ogni cristiano, la prima condizione e il primo mezzo di santità e di santificazione. Con quella rassegnazione docile che è propria di chi crede in un Dio giusto e buono, ed in Gesù Cristo maestro e guida dei cuori, abbracciate con coraggio la spesso dura croce quotidiana. A portarla con Gesù il suo peso diventa lieve.

Ma le condizioni singolarmente gravi dell'ora presente sospingono i cristiani, se mai in passato, oggi soprattutto, a dare in sè compimento di quel che manca alla passione di Cristo ( cfr. Col. 1, 24), non solo per desiderio di riparare sempre meglio al malfatto e per dare segno più certo e prova più sicura della sincerità del loro ritorno, ma anche per concorrere alla salvezza di tutti i redenti.
A tal fine, tutti i cristiani, penitenti ed innocenti, affratellati nell'intenzione e nell'opera di una espiazione salutare, si uniscano al supremo Pastore delle anime ed unico loro Salvatore Gesù Cristo, l'Agnello del sacrificio, che toglie i peccati del mondo. Egli è là, sui nostri altari, a rinnovare in ogni ora il sacrificio del Golgota. Insieme con lui e in virtù della sua grazia, si mobiliti in questa santa giornata l'esercito delle anime espianti nell'immensa Chiesa di Dio, Le sofferenze, accettate con cristiana e volonterosa rassegnazione o liberamente e generosamente scelte, ridoneranno un volto cristiano alla umanità decaduta e saranno nelle bilance della giustizia divina un salvifico contrappeso agli umani delitti.

Sì, o Gesù crocifisso, che avete divinizzato la natura umana, assumendola voi stesso, che, dopo aver predicato la giustizia, la carità, la bontà, dopo aver fatto del ricco e del potente la forza del povero e del debole, avete con la vostra passione e morte donato la salute e la salvezza al genere umano, volgete il vostro sguardo amoroso su questo popolo, che, unito ai fedeli di tutto il mondo, si prostra ai vostri piedi in spirito di penitenza ed invoca da voi il perdono, anche per tanti infelici che deliberatamente vorrebbero scoronarvi e profanarvi nell'orgoglio meschino della loro intelligenza e nella sterile voluttà della loro carne. O Signore, salvateci, che non periamo. Calcate le onde nel pelago agitato dell'animo nostro, siate il nostro compagno nella vita e nella morte, il nostro giudice pietoso. Le folgori dei meritati castighi cedano il posto a una nuova e larga effusione della vostra misericordia sulla umanità redenta. Estinguete gli odi; accendete l'amore; disperdete col soffio potente del vostro Spirito i pensieri e le brame di dominazione, di distruzioni e di guerre. Concedete il pane ai piccoli, ai senzatetto la casa, ai disoccupati il lavoro, la concordia alle nazioni, la pace al mondo, a tutti il premio della eterna beatitudine. Così sia.



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16/03/2011 11:07
 
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Le coppe vuote
Gianfranco Ravasi

Il Signore Dio è simile a un re che aveva delle coppe vuote. Il re disse: «Se vi verso acqua calda, si rompono; se fredda, s-incrinano». Che cosa fece allora il re? Miscelò acqua calda e fredda, la versò in esse, e così esse resistettero.

Così fece il Signore quando disse: «Se creo il mondo a misura della sola misericordia, i peccatori si moltiplicheranno; se lo creo a misura della sola giustizia, come potrà sussistere il mondo?
Lo creerò, dunque, a misura del giudizio e della misericordia e così potrà sussistere».Questa deliziosa parabola rabbinica, tratta dalla Bereshit Rabbà, un commento classico giudaico alla Genesi, ben esprime l-equilibrio arduo ma necessario tra giustizia e amore, tra condanna e salvezza.

Esso è visto come la sorgente della sussistenza del mondo ed è alla base dell-azione del Signore che è un Dio morale, non indifferente di fronte al peccato, ma anche buono, pronto a perdonare e a concedere un-altra opportunità alla sua creatura.Conservare questo equilibrio dovrebbe essere anche il nostro impegno quotidiano.
Ma c-è - soprattutto nel messaggio cristiano - la spinta a far sì che la misericordia sia l-ultima parola, naturalmente purché si intraveda anche un solo bagliore di buona volontà, di conversione, di resipiscenza. In questa luce la punizione non dovrebbe mai essere fine a se stessa, come spesso accade nel sistema carcerario, ma far sbocciare quel fremito di bene che sempre si nasconde in ogni coscienza, anche in quella più arida e colpevole.

E lo scrittore inglese Laurence Sterne (1713-1768) aggiungeva: «Solo i coraggiosi sanno perdonare. Un vigliacco non perdona mai, non è nella sua natura».



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16/03/2011 14:02
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

QUARESIMA: tempo di C o n v e r s i o n e
«Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo»
(Lc 22, 44)


“Angeli" - Guariento di Arpo (1350-1354) - Museo Civico, Padova

«Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio
tre volte santo; invoca la loro assistenza e celebra
la memoria di alcuni angeli in particolare:
san Michele, san Gabriele, san Raffaele
e gli Angeli Custodi»

(Catechismo Chiesa Cattolica, 335)


Quelli che vedono
la faccia del Padre

Redazione

Con data 2 ottobre 2010, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha inviato ai presidenti delle Conferenze episcopali una lettera circolare sull'associazione Opus Angelorum, lettera poi pubblicata ne "L'Osservatore Romano" del 5 novembre 2010, a pagina 5. In questa lettera, la Congregazione informa, in particolare, sull'approvazione dello Statuto dell'Opus Sanctorum Angelorum da parte della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e sull'approvazione della "formula di una consacrazione ai SS. Angeli per l'Opus Angelorum" da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede. Sembra pertanto opportuno illustrare brevemente la spiritualità di quest'Opera dei santi Angeli, la quale, così come si presenta oggi, è "un'associazione pubblica della Chiesa in conformità con la dottrina tradizionale e le direttive della Suprema Autorità, diffonde la devozione nei riguardi dei SS. Angeli tra i fedeli, esorta alla preghiera per i sacerdoti, promuove l'amore per Cristo nella Sua passione e l'unione ad essa" (Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede).

Qual è dunque la spiritualità di quest'associazione? E qual è stato il suo cammino fino allo stato attuale cui si riferisce la lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede? L'Opus Sanctorum Angelorum è nata a Innsbruck (Austria) nell'anno 1949. La signora Gabriele Bitterlich, sposa e madre di tre figli, è stata all'origine di questo movimento. Dall'anno 1949, ha sviluppato una coscienza personale sempre più chiara che il Signore Gesù Cristo voleva che i fedeli venerassero e invocassero di più i santi angeli e si aprissero al loro potente aiuto. Da autentica cristiana, però, sempre ha professato di sottomettersi in tutto all'autorità della Chiesa. In quegli anni, questa autorità era il vescovo di Innsbruck, monsignor Paulus Rusch, con il quale è rimasta sempre in contatto. A partire dall'anno 1961, l'Opus Angelorum si è esteso in diversi Paesi del mondo. Così, dall'anno 1977, è stata l'autorità suprema della Chiesa a esaminare le dottrine e pratiche particolari dell'Opus Angelorum.
Con l'approvazione del movimento, la Chiesa ha riconosciuto la fondamentale validità dell'intuizione fondatrice della signora Bitterlich, ma d'altra parte ha anche rilevato, nel considerevole insieme dei suoi scritti, diverse dottrine e, in particolare, "teorie... circa il mondo degli angeli, i loro nomi personali, i loro gruppi e funzioni", "estranee alla S. Scrittura e alla Tradizione", le quali "non possono servire da base alla spiritualità e all'attività di associazioni approvate dalla Chiesa" (cfr. decreto Litteris diei della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 giugno 1992). Poiché l'Opus Angelorum ha obbedito alla Chiesa abbandonando quelle dottrine e le loro conseguenze pratiche, essa si presenta oggi a pieno titolo come un movimento ecclesiale chiamato a collaborare, mediante il proprio carisma, alla missione evangelizzatrice e salvatrice della Chiesa.

La base della sua spiritualità è dunque la Parola di Dio, la quale si trova nella Sacra Scrittura e nella tradizione viva della Chiesa, che sono autenticamente interpretate dal magistero. Una sintesi della dottrina del magistero riguardo al mondo angelico si trova nel Catechismo della Chiesa Cattolica (Ccc, cfr. pp. 328-336, 350-352).
Vi si legge, in primo luogo, che "l'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede" (Ccc, 328). "In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che "vedono sempre la faccia del Padre... che è nei cieli" (Matteo 18,10 ), essi sono "potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola" (Salmo 103, 20)" (Ccc 329); "sono creature personali e immortali" (Ccc 330).
Gesù Cristo non è solamente il centro degli uomini, ma anche degli angeli: "Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono "i suoi angeli"... Sono suoi perché creati per mezzo di lui e in vista di lui... Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo disegno di salvezza" (Ccc 331). "Essi, fin dalla creazione e lungo tutta la storia della salvezza, annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del disegno salvifico di Dio" (Ccc 332). Perciò, questo servizio si riferisce allo stesso Verbo incarnato e al suo Corpo sulla terra, la Chiesa. "Dall'Incarnazione all'Ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata dall'adorazione e dal servizio degli angeli... Essi proteggono l'infanzia di Gesù, servono Gesù nel deserto, lo confortano durante l'agonia, quando egli avrebbe potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici come un tempo Israele. Sono ancora gli angeli che "evangelizzano" (Luca 2,10) annunziando la Buona Novella dell'Incarnazione e della Risurrezione di Cristo. Al ritorno di Cristo, che essi annunziano, saranno là, al servizio del suo giudizio" (Ccc 333).

"Allo stesso modo tutta la vita della Chiesa beneficia dell'aiuto misterioso e potente degli angeli" (Ccc 334). "Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza ..., e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi)" (Ccc 335).
Così, "dal suo inizio fino all'ora della morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione. "Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita"". Fin da quaggiù, la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio" (Ccc 336). Con ragione quindi la "Chiesa venera gli angeli che l'aiutano nel suo pellegrinaggio terreno" (Ccc 352).
La particolarità dell'associazione Opus Sanctorum Angelorum consiste nel fatto che i suoi membri portano la devozione ai santi angeli a quello sviluppo pieno che si manifesta e si rende concreto in una "consacrazione ai santi Angeli", in modo simile a quello verificatosi nella storia della Chiesa nei riguardi della devozione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore immacolato della Madonna (consacrazione al Cuore del Signore Gesù e di sua Madre).

Attraverso la consacrazione all'angelo custode si entra nell'Opera dei santi Angeli. La consacrazione ai santi Angeli è fatta da quei membri che vogliono impegnarsi di più per i fini spirituali del movimento. Questa consacrazione è intesa come un'alleanza del fedele con i santi angeli, e cioè, come un atto cosciente ed esplicito di riconoscere e prendere sul serio la loro missione e posizione nell'economia della salvezza. Come molte spiritualità hanno le loro espressioni tipiche, ad esempio il Totus tuus" di Giovanni Paolo II, così la spiritualità della consacrazione ai santi Angeli nell'Opus Angelorum potrebbe caratterizzarsi con le parole "cum sanctis angelis", cioè, "con i santi angeli" oppure "in comunione con i santi angeli".

Infatti, nella fede e nella carità teologale è possibile una "convivenza" dei fedeli con i santi angeli come veri amici (cfr. san Tommaso, Summa Theologiae II-II, q. 25. a. 10; q. 23, a. 1, ad 1.) e così anche una intima collaborazione spirituale con loro per i fini del disegno salvifico di Dio nei confronti di tutte le creature (cfr. Efesini 1,9-10; Colossesi 1,15-20; Giovanni 12,32; 17,21-23; Apocalisse 10,7; 19,6-9), giacché da parte loro è garantita la cooperazione per tutte le nostre opere buone (cfr. Ccc 350: "Ad omnia bona nostra cooperantur angeli, gli angeli cooperano ad ogni nostro bene (san Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 114, 3, ad 3)".
Questa convivenza e collaborazione spirituale dei fedeli con i santi angeli, in cui consiste proprio, secondo lo Statuto summenzionato, la "natura" dell'Opus Angelorum, richiede ovviamente non solamente la fede e l'amore ai santi angeli - in primo luogo al proprio angelo custode - ma anche l'applicazione prudente dei criteri di "discernimento degli spiriti". Qui viene a proposito la seguente spiegazione che si trova nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (pagina 162: commento ad un dipinto di Jan Van Eyck, riprodotto alla pagina precedente): "Come nella visione della scala di Giacobbe - "gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa" (cfr. Genesi 28,12) - gli angeli sono dinamici e instancabili messaggeri, che collegano il cielo alla terra. Tra Dio e l'umanità non c'è silenzio e incomunicabilità, ma dialogo continuo, comunicazione incessante. E gli uomini, destinatari di questa comunicazione, devono affinare questo orecchio spirituale, per ascoltare e comprendere questa lingua angelica, che suggerisce parole buone, sentimenti santi, azioni misericordiose, comportamenti caritatevoli, relazioni edificanti".

L'Opus Angelorum si fonda sulla prontezza incondizionata di servire Dio con l'aiuto dei santi angeli e ha come finalità il rinnovamento della vita spirituale nella Chiesa con il loro aiuto nelle cosiddette "direzioni (o dimensioni) fondamentali" di adorazione, contemplazione, espiazione e missione (apostolato).
L'aiuto degli angeli e l'unione degli uomini con essi permettono a quest'ultimi di vivere meglio la fede e anche di testimoniarla con più forza e convinzione. I santi angeli, infatti, contemplano continuamente la faccia di Dio (cfr. Matteo 18, 10) e vivono in costante adorazione. In modo particolarmente efficace possono quindi illuminare i fedeli che si aprono coscientemente alla loro azione, i quali fedeli sono da loro aiutati a contemplare nella fede i divini misteri: Dio stesso e le sue opere (theologia e oikonomia, cfr. Ccc 236), a crescere così nella conoscenza e nell'amore di Dio, a rimanere alla Sua presenza e realizzare un'adorazione particolarmente reverente e amorevole, dedicandosi alla maggiore glorificazione di Dio. L'adorazione, specialmente l'adorazione eucaristica, occupa, quindi, nell'Opus Angelorum il primo posto.

Come lo stesso Signore Gesù Cristo è stato fortificato dal Padre celeste attraverso un angelo per sopportare la passione redentrice (cfr. Luca 22,43), così i membri dell'Opus Angelorum confidano sull'aiuto dei santi angeli per seguire Cristo con carità espiatrice per la santificazione e salvezza delle anime, e particolarmente per i sacerdoti. Perciò, c'è nell'Opus Angelorum anche il pio esercizio della Passio Domini, cioè un tempo di preghiera settimanale (giovedì sera e venerdì pomeriggio), in cui i membri si uniscono spiritualmente al Redentore nel mistero della sua passione salvifica. Cristo crocifisso e risorto è, infatti, il centro tanto degli uomini quanto dei santi angeli.
Con l'approvazione dell'Opus Sanctorum Angelorum, la Chiesa ha dato la benedizione a un movimento che si caratterizza, certo, per una devozione peculiare ai santi angeli, ma anche ed essenzialmente - in conformità con le proprietà caratteristiche degli angeli - per un orientamento assoluto verso Dio e il suo servizio, verso Cristo Redentore, la croce, l'Eucaristia, a gloria di Dio e per la santificazione e salvezza delle anime. Davvero, la coscienza viva della presenza e dell'aiuto misterioso e potente dei santi angeli, servi e messaggeri di Dio, è atta a spingere i fedeli a dedicarsi con fiducia alla prima e sostanziale missione della Chiesa: la salvezza delle anime a gloria di Dio.



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16/03/2011 17:15
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Ascoltare voci
Gianfranco Ravasi

La solitudine, potresti dire: la tua solitudine laica e la mia consacrata, lontani dalle cose ma implicati negli uomini. Incurvati ad ascoltare voci.

Su questi fatti all-apparenza tristi una sola parola si può dire, ed è compassione. Forse oggi il vero volto di Dio.Chiudo il libro e trascrivo le righe che ho appena letto, dell-ultima lettera che suor Ludovica scrive dal monastero di San Lorenzo al cugino, il protagonista autobiografico del bel romanzo Dal giardino murato (ed. Messaggero) che lo scrittore Luca Desiato mi ha inviato qualche tempo fa.
Avevo annotato altri passi di questo libro intenso e delicato; mi accontento delle righe sopra citate perché evocano un tema importante per queste giornate estive, la solitudine.

Si tratta di un-esperienza dalle iridescenze più diverse e mutevoli.C-è chi è solo per egoismo e insofferenza degli altri, ma questa è soltanto misantropia acida. C-è chi è solo perché non ha trovato un amore o un-amicizia o perché è stato abbandonato e questa è una prova acre e aspra.
C-è, però, anche chi è solo per scelta "consacrata" o "laica". In questo caso non si è lontani dagli uomini, anzi, come dice Desiato, si è «incurvati ad ascoltare voci», cioè confessioni e confidenze di altri, testimonianze e presenze, anche quelle misteriose e segrete (pensiamo alla voce di Dio). E- così, con la solitudine pura - che è in ultima analisi solo distacco dalle cose e dalle distrazioni - che si impara ad aver compassione e a comprendere gli altri.

E la compassione amorosa è «forse il vero volto di Dio».



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17/03/2011 17:53
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!


Esaurite le prime 300.000 copie
del nuovo libro di Ratzinzer/Benedetto XVI





Io, protestante convinto
dal Gesù del Papa

Rainer Riesner

Il nuovo libro del Papa Gesù di Nazaret non è un dono solo per i credenti. È un dono per tutte le persone in cerca della verità. Papa Benedetto è la voce cristiana più ascoltata in tutto il mondo. In questo libro non parla di un tema qualsiasi, bensì del centro della fede cristiana. Si tratta della figura di Gesù di Nazaret. E precisamente di due episodi nella sua vita in cui si decide se Gesù Cristo abbia un significato irrinunciabile anche per il XXI secolo. Al centro di questo secondo volume di Papa Benedetto sulla raffigurazione di Gesù vi sono la Croce e la Risurrezione. Nel libro del Papa su Gesù non si tratta, come lui stesso sottolinea, di una pubblicazione teologica. Questo libro non è stato preparato insieme a commissioni teologiche, il Papa qui presenta la sua personale descrizione di Gesù. In questo modo si è imbarcato senz’altro in un’impresa rischiosa.

Presentando il primo volume, il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ha coniato un paragone: come l’apostolo Paolo ad Atene, il Papa ha osato andare all’agorà, sulla piazza del mercato delle opinioni contrastanti. Un’obiezione alla storicità delle parole dell’Ultima cena è che esse sarebbero impensabili in un contesto ebraico. Uno dei punti di forza del libro del Papa è la dimostrazione che proprio le affermazioni del Nuovo Testamento sulla morte di Gesù come espiazione del peccato dell’uomo diventano comprensibili solo con l’aiuto dell’Antico Testamento e della sua traduzione in ebraico antico. Anche qui si esprime una grande stima per l’ebraismo da parte del Papa, che a diritto ha trovato un’eco molto positiva nella stampa internazionale.

Fa parte di quei fenomeni difficili da comprendere il fatto che certi esegeti rilevino in modo particolare la devozione ebraica di Gesù, ma che al tempo stesso gli vogliano togliere quasi tutti i riferimenti alla Sacra Scrittura d’Israele. Ma questi riferimenti non si limitano a citazioni dirette. Le parole di Gesù sono intessute di allusioni all’Antico Testamento. Se le si volesse eliminare tutte, non rimarrebbe molto. Gesù ha vissuto nella Sacra Scrittura d’Israele, come tra l’altro anche il Papa. Non tutte le scoperte sui riferimenti all’Antico Testamento ha potuto desumerle dalla letteratura esegetica. Alcune cose derivano evidentemente da una meditazione sulle Sacre Scritture condotta durante tutta la vita.

Con il racconto evangelico della tentazione e della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani, Papa Benedetto chiarisce perché molte visioni non sono all’altezza di Gesù. Il Getsemani mostra Gesù, soprattutto nella raffigurazione del Vangelo di Luca (22,44) e della Lettera agli Ebrei (5,7-8), in tutta la sua vulnerabile e impaurita umanità. Tuttavia, il Padre celeste si aspetta da lui che beva «il calice» (Mc 14,36), che qui significa nel linguaggio dell’Antico Testamento l’ira distruttiva di Dio (Is 51,17). Ciò indica che Gesù deve essere più di un semplice uomo. Assolutamente di proposito l’evangelista Marco ha trasmesso proprio qui l’intima invocazione «Abbà, padre» nella sua forma semitica, così come si udì dalla bocca di Gesù. «Solo se Gesù è risorto, è accaduto veramente qualcosa di nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo. Allora lui diventa il criterio su cui noi possiamo fare affidamento. Perché Dio si è mostrato davvero. Per questo nella nostra ricerca della figura di Gesù la Risurrezione è il punto decisivo. La risposta alla domanda se Gesù 'era' solamente oppure 'è' dipende dalla Risurrezione. Nel rispondere sì o no non si tratta di un singolo evento di fianco ad altri, bensì della figura di Gesù in quanto tale» (p. 202; pp. 212-3).

In questo ineludibile «aut aut» il Papa ha l’apostolo Paolo al suo fianco, che nella prima Lettera alla comunità di cristiani di Corinto scriveva: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo». (1Cor 15,14-15). «Solo un avvenimento vero di qualità radicalmente nuova poteva rendere possibile la predica apostolica, non spiegabile con speculazioni o esperienze interiori mistiche. Essa vive nella sua audacia e novità dell’impeto di un accadimento che nessuno aveva inventato e che faceva saltare ogni immaginazione» (traduzione di Maurizio Boni)



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22/03/2011 15:55
 
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Come l'acqua
Gianfranco Ravasi

La parola di Dio è come l'acqua. Come l'acqua, essa discende dal cielo. Come l'acqua, rinfresca l'anima. Come l'acqua non si conserva in vasi d'oro o d'argento ma nella povertà dei recipienti di terracotta, così la parola divina si conserva solo in chi rende se stesso umile come un vaso di terracotta.

Stiamo camminando nel tempo della Quaresima che, a suo modo, è simile a un deserto e, quando si vive in una steppa arida, la realtà a cui più si anela è l'acqua, il principio stesso della sopravvivenza. Ho voluto oggi proporre a tutti - anche a chi mi legge e forse si considera non credente - un passo molto suggestivo del Talmud ebraico che celebra la fecondità della parola divina.

Sì, abbiamo bisogno di una voce che non sia sempre e solo la nostra, spesso scaduta a chiacchiera vana e vacua, ma che provenga dall'alto, abbia il sigillo dell'immortalità, della solidità, della certezza. Abbiamo bisogno di una parola che non annebbi l'anima, che non la rattrappisca nella paura o nella rigidità dell'insensibilità, ma che la rinfreschi, la rinvigorisca, la rinnovi, la ridesti e la ravvivi.

Ma per accogliere quest'acqua «che zampilla per la vita eterna» - se vogliamo usare una ben nota espressione pronunziata da Gesù davanti al pozzo di Giacobbe - dobbiamo avere un cuore simile a un vaso di terracotta. Ecco, allora, fuor di metafora, un vocabolo che non si usa più ai nostri giorni, anzi, che è fin sbeffeggiato: l'umiltà o, se si vuole, la semplicità. Mi è rimasta sempre nella memoria la frase della preghiera di un autore spirituale che si leggeva ai miei tempi di seminarista, Léonce de Grandmaison (1868-1927): «Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo, puro e limpido come acqua di sorgente».

Un cuore dolce e umile, arduo da custodire con questa semplicità, ma l'unico capace di ospitare una parola eterna e liberatrice.



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23/03/2011 13:31
 
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Perchè
Gianfranco Ravasi

C'era una volta il punto interrogativo, un grande curiosone con un solo ricciolone, che faceva domande a tutte le persone, e se la risposta non era quella giusta, sventolava il suo ricciolo come una frusta.

Agli esami fu messo in fondo a un problema così complicato che nessuno trovò il risultato. Il poveretto, che di cuore non era cattivo, diventò per il rimorso un punto esclamativo. «Se non diventerete come i bambini-»: questa frase evangelica non vale solo per il regno dei cieli, ma anche per la nostra esistenza terrena. Qualche volta è necessario ritrovare lo stupore dell'infanzia, con gli occhi spalancati per la meraviglia e con l'instancabile fiorire delle domande.

Abbiamo, così, voluto ricorrere a quello straordinario compagno di viaggio dei bambini che è stato Gianni Rodari (1920-1980), con questo suo elogio del punto di domanda, il segno grafico più tipico di chi si apre alla vita.
Ne sanno qualcosa i genitori e gli educatori con gli insaziabili «perché?» dei loro ragazzi. Eppure è innegabile quanto scriveva il romanziere francese Honoré de Balzac: «La chiave di tutte le scienze è indiscutibilmente il punto di domanda. Dobbiamo la maggior parte delle grandi scoperte al Come?, e la saggezza della vita consiste forse nel chiedersi, a qualunque proposito, Perché?».

Parole sacrosante, queste, per molti adulti di oggi, incapaci di interrogarsi sul senso del loro comportamento, del loro agire e parlare e, alla fine, della loro stessa vita, col risultato di avere atteggiamenti insipienti e un'esistenza vuota e insensata.
Non per nulla la pubblicità ama l'esclamativo che non è, però, quello di cui parla Rodari, segno di vergogna per la complessità del mistero che ci circonda, ma solo espressione di imperio, di dominio, di sicumera e di conformismo.



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23/03/2011 14:04
 
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Cose futili e vane
Gianfranco Ravasi

Dopo che l'esperienza mi ebbe insegnato come fossero vane e futili tutte quelle cose che capitano così frequentemente nella vita quotidiana, decisi infine di cercare se ci fosse qualcosa che mi facesse godere in eterno di una continua e somma letizia.

Pensate: è un unico volume fatto di ben 2832 pagine e raccoglie Tutte le opere (con l'originale latino a fronte, la lingua "scientifica" di allora) di quel grande e controverso filosofo che fu l'ebreo olandese Baruch Spinoza, morto di tisi nel 1677 a soli 44 anni.
Da quel piccolo oceano testuale - che comprende persino una grammatica di ebraico e che è stato pubblicato lo scorso anno da Bompiani - ho tratto una frase semplice eppure forte.

La vorrei trasformare in un appello "quaresimale" per tutti, anche per chi non leggerà mai altre righe di questo pensatore. La mia sarà un'applicazione più immediata. Dobbiamo, infatti, essere consapevoli che troppo spesso siamo così curvi e chini sulle realtà quotidiane da non avere più gli occhi della mente capaci di guardare in alto; siamo spesso così protesi verso gli atti piccoli e modesti da diventare incapaci di quelli grandi; siamo così assorbiti dalle cose materiali da perdere ogni sapore per la bellezza e la spiritualità: siamo così avvolti dal chiacchiericcio da non conoscere più la voce della coscienza che risuona nel silenzio; siamo talmente alla ricerca spasmodica del piacere da ignorare che esiste una felicità interiore che è ben più alta e affascinante.

Fermiamoci qui in questa riflessione che scaturisce dalla scelta di Spinoza di dedicarsi - anche in mezzo a contestazioni e fatiche - ai valori più nobili e profondi. Ma a chi non leggerà nient'altro di questo filosofo lascio come ricordo questo suo motto da meditare:

«Mi sono sempre impegnato a non deridere le azioni degli uomini, a non compiangerle, a non detestarle, ma solo a comprenderle».



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24/03/2011 11:10
 
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A colloquio con il vescovo Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica

Gli operai di San Pietro
Nicola Gori

I "sanpietrini". Un nome, una professione. Fuori Roma in molti si domanderanno chi sono: pochissimi, li conoscono. Ma nella Città eterna di loro si sente parlare sin dal Settecento. In Vaticano sono di casa. Falegnami, muratori, fabbri, stuccatori, verniciatori, idraulici, elettricisti, marmisti, decoratori, pontaroli, addetti alla sorveglianza: una piccola truppa di un'ottantina di operai specializzati che hanno il compito di mantenere intatto lo splendore della basilica Vaticana. Ecco, sono loro, i "sanpietrini", inseriti in quella realtà altrettanto famosa - almeno nei confini romani - che si chiama Fabbrica di San Pietro. Si occupano quotidianamente di tutto quanto è necessario per rendere agevole e perfettamente fruibile la visita di quanti, per devozione o per semplice curiosità turistica, si avvicinano alla tomba di Pietro. Abbiamo chiesto al vescovo Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro, di spiegarci l'attività dei sanpietrini e di condurci alla scoperta della Fabbrica.

Come mai è stato mantenuto il nome di "Fabbrica di San Pietro" nonostante siano passati più di cinquecento anni dalla posa della prima pietra della basilica?
È l'istituzione che storicamente si è occupata della ricostruzione prima, e della conservazione poi, della grande basilica di San Pietro. Le sue origini risalgono al 18 aprile del 1506, quando Giulio II Della Rovere pose la prima pietra per la riedificazione del "nuovo tempio Vaticano", nel luogo dell'attuale pilone di Santa Veronica, che all'epoca si trovava all'esterno dell'antica basilica, quella edificata dall'imperatore Costantino sulla sepoltura del principe degli apostoli. La nuova basilica - consacrata il 18 novembre 1626 - è il risultato di una lunga e complessa vicenda costruttiva, alimentata dai sentimenti di profonda devozione che in ogni epoca ispirarono l'opera dei successori dell'apostolo. Ancora oggi la Fabbrica di San Pietro continua a provvedere, autonomamente, alla conservazione e alla manutenzione del più grande tempio della cristianità.

Chi sono i sanpietrini?
In ogni angolo di San Pietro e dietro ogni opera d'arte si nasconde l'impegno di tutto il personale della Fabbrica e delle maestranze conosciute con il nome di sanpietrini: uomini che con il loro quotidiano lavoro rendono possibile la visita e, in un certo modo, la vita della Basilica, le cui straordinarie dimensioni - oltre 20.000 metri quadrati di superficie coperta - e l'incessante afflusso quotidiano di fedeli e visitatori provenienti da ogni parte del mondo, richiedono premurose attenzioni e costanti lavori di manutenzione di ogni tipo. A questo provvedono i sanpietrini. Non va inoltre dimenticata la loro azione di oculata custodia e attenta sorveglianza per il rispetto del luogo sacro e delle opere d'arte. In questo sono affiancati dagli ispettori della Fabbrica di San Pietro, dai volontari dell'Associazione dei Santi Pietro e Paolo e da giovani studenti ausiliari, chiamati saltuariamente a collaborare con il personale della Fabbrica al servizio d'ordine in basilica. Fanno capo all'Ufficio tecnico della Fabbrica. Un architetto - coadiuvato per i sopralluoghi, le verifiche e le relazioni tecniche da un geometra - si occupa tra l'altro di quanto attiene la sicurezza sul lavoro, secondo le normative vigenti in Vaticano. Vi è poi un soprastante, che, in collaborazione con l'architetto e il geometra, coordina e assiste concretamente le attività dei sanpietrini. Qualsiasi lavoro nella basilica - dalle opere di ordinaria manutenzione ai restauri affidati a personale esterno specializzato - viene seguito in ogni sua fase dai superiori della Fabbrica di San Pietro, che, in periodiche riunioni settimanali, valutano con il capo ufficio, il personale dell'Ufficio tecnico e il soprastante dei sanpietrini le problematiche dei lavori in corso d'opera e da eseguire. Di ogni lavoro un incaricato della Fabbrica provvede alla realizzazione della necessaria documentazione fotografica.

Quali sono le origini dei sanpietrini e chi fu il fondatore?
La formazione del gruppo dei sanpietrini risale agli inizi del Settecento, quando la Fabbrica si trovò a dover rispondere con sollecitudine alle esigenze pratiche di una basilica, che, oltre ai sempre più impegnativi lavori di manutenzione, si arricchiva di nuovi monumenti e decorazioni. Fu Nicola Zabaglia, manovale con innate capacità tecniche, a costituire, di fatto, l'elemento galvanizzante per la costituzione del gruppo dei sanpietrini. Zabaglia e gli altri manovali al servizio della Fabbrica diedero avvio a nuove sperimentazioni e realizzazioni: vennero allora ideati e costruiti arditi e ingegnosi ponteggi per lavorare celermente e in sicurezza. La straordinaria inventiva e le non comuni capacità organizzative di Nicola Zabaglia destarono l'ammirazione dei contemporanei e il ricordo dei posteri: le sue opere sono commentate e illustrate nel grande volume Castelli e Ponti di Maestro Niccola Zabaglia, edito a Roma nel 1743 e ristampato nel 1824. In tale contesto Zabaglia riuscì a scuotere gli altri manovali della Fabbrica, infondendo in loro l'orgoglio di lavorare in un luogo ineguagliabile e favorendo la costituzione di uno spirito di corpo. Segnale evidente di un desiderio di distinzione e di un chiaro sentimento di appartenenza, fu la richiesta nel 1757, da parte di tutti i manovali della Fabbrica, di ottenere una divisa che li differenziasse dai pellegrini e li facesse riconoscere come preposti alla cura della basilica. Ed è proprio in questo momento che le maestranze al servizio della Fabbrica di San Pietro, fino ad allora indicate con il termine generico di manuali, assunsero il titolo di sanpietrini. Il senso di appartenenza a una istituzione simile a una grande famiglia, che ha saputo tramandare alle nuove generazioni l'esperienza maturata in cinque secoli di continui lavori, si coglie in particolare nel fiero e commosso ricordo di alcuni sanpietrini, ora in pensione, che hanno partecipato all'illuminazione della basilica. Si calarono dai costoloni della cupola e dagli aggetti architettonici della facciata per posizionare prima e accendere poi, simultaneamente, migliaia di fiaccole mentre le campane di San Pietro suonavano a distesa.

Se dovesse citare una mansione particolarmente delicata che essi svolgono, su quale si soffermerebbe?
La cura della basilica è continua e comunque impegnativa. Ci sono locali, attrezzature, oper d'arte che richiedono una cura tutta particolare, apparecchiature, macchinari che richiedono interventi di precisione: per esempio, quelli che azionano il movimento delle campane e degli orologi. E poi ci sono le grandi celebrazioni da preparare, come la Pasqua, il Natale del Signore, la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Tra i lavori più impegnativi e appariscenti, condotti negli ultimi anni dai sanpietrini, si ricorda la collocazione delle grandi statue di santi fondatori di ordini religiosi sulle nicchie esterne della basilica. Infine, non di rado ci si imbatte in sanpietrini intenti alla preparazione degli altari - collocazione di artistici paliotti, trasporto e posizionamento dei candelieri - o a portare enormi e pregevoli tappeti per l'ornamento della Confessione, o a collocare più di cento candele di cera sul monumento del Bernini per la Cattedra di San Pietro nella ricorrenza liturgica del Natale Petri de cathedra, il 22 febbraio. Un altro compito affidato ai sanpietrini è la preparazione della basilica per le beatificazioni e le canonizzazioni: in occasione di queste cerimonie, i sanpietrini trasportano e collocano sulle logge della facciata gli arazzi con le immagini dei servi di Dio che saranno proclamati beati e santi di fronte alla moltitudine dei fedeli raccolta in Piazza San Pietro. E poi sono tra i primi a entrare nella basilica e tra gli ultimi a uscire. Provvedono infatti ad aprire le porte di San Pietro al mattino e a chiuderle la sera, dopo aver effettuato - in collaborazione con la Gendarmeria vaticana - un'accurata ispezione a cominciare dalla cupola fino alle Grotte Vaticane e alla necropoli.

La Basilica è un cantiere in continua attività. Quali sono attualmente le opere di restauro?
Nel linguaggio di ogni giorno per indicare un lavoro che sembra non avere mai termine si usa, soprattutto a Roma, l'espressione "Fabbrica di San Pietro". Il confronto è certamente appropriato perché nella basilica Vaticana i lavori non finiscono mai a causa della vita stessa della basilica, delle straordinarie dimensioni dell'edificio e delle opere d'arte in esso presenti: statue, mosaici, stucchi, affreschi, dipinti su tela e su tavola, sculture in bronzo e marmoree, opere in legno, tessuti, documenti cartacei. Così ai lavori e alle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, si aggiunge la predisposizione di sofisticati sistemi di controllo e verifica ambientale, statica e microclimatica che richiedono l'intervento di diverse figure professionali, chiamate, di volta in volta, a collaborare con la Fabbrica di San Pietro. Similmente per le diverse opere di restauro ci si avvale del parere di qualificati consulenti e di personale esterno altamente specializzato e di comprovata esperienza. Così in questo periodo, sotto la direzione tecnica e scientifica della Fabbrica di San Pietro, una squadra di restauratori con specifiche competenze nel restauro di superfici lapidee, è impegnata nella delicata pulitura di un settore del prospetto esterno sud della basilica, oltre 4.000 metri quadri. Contemporaneamente altre persone, altamente specializzate in interventi conservativi in ambiente ipogeo, procedono con la paziente opera di restauro delle decorazioni pittoriche del mausoleo Phi nella necropoli romana, sotto il pavimento delle sacre Grotte, mentre, in basilica, altri validi restauratori intervengono sul celebre monumento funebre in bronzo di Innocenzo VIII. Vanno infine ricordati i restauri di singole opere d'arte custodite in vari locali della basilica Vaticana, opere che sempre più spesso vengono presentate in mostre internazionali alle quali la Fabbrica di San Pietro partecipa volentieri offrendo il necessario sostegno scientifico, al fine di condividere con un più vasto pubblico la fruizione di beni storici e artistici altrimenti difficilmente accessibili.

Sono possibili visite alla necropoli, alle grotte e alla cupola?
La Fabbrica di San Pietro provvede con un proprio Ufficio scavi e con il personale in esso impiegato, alla gestione e alla organizzazione di visite guidate nella necropoli romana esistente sotto il pavimento delle Grotte Vaticane, in corrispondenza della navata centrale della basilica. Sono più di 200 le persone che giornalmente accedono agli scavi vaticani, suddivise in gruppi di circa 12 visitatori, che, accompagnati da guide specializzate, risalgono l'antico sentiero del Colle Vaticano per giungere alla venerata sepoltura di San Pietro. La visita agli scavi si conclude nelle Grotte, dove ogni giorno, dall'anno 2005, transitano migliaia di fedeli per sostare in preghiera davanti alla tomba di Giovanni Paolo II. Il personale della Fabbrica di San Pietro provvede inoltre all'organizzazione delle visite alla cupola Vaticana, alla quale accedono ogni anno migliaia di persone.

Che ruolo svolge l'Archivio Storico Generale?
Si tratta di uno dei luoghi più importanti e suggestivi della Fabbrica di San Pietro. Custodisce la memoria storica della ricostruzione della nuova basilica Vaticana, dai primi anni del XVI secolo fino ai giorni nostri. Qui le firme del Sangallo, di Michelangelo, di Bernini, di Maderno, di Vanvitelli - solo per citare i nomi più illustri - si alternano a quelle di tutte quelle persone dimenticate dalla grande storia, ma che hanno dedicato la loro vita alla ricostruzione, decorazione e manutenzione del più grande tempio della cristianità. L'archivio è composto da circa 9.000 unità archivistiche distribuite in 100 armadi e dispone di vari strumenti di ricerca. Il personale si occupa dello studio, della catalogazione e conservazione dei preziosi documenti in esso custoditi. Svolge inoltre, per l'Ufficio tecnico e scientifico della medesima Fabbrica, le necessarie ricerche archivistiche preliminari a ogni intervento di restauro su monumenti e opere d'arte della basilica. Fornisce infine il necessario sostegno per le ricerche condotte da studiosi provenienti da ogni parte del mondo su diversi aspetti legati alla storia della basilica petriana.

Anche lo Studio del Mosaico Vaticano fa parte della Fabbrica?
È annesso alla Fabbrica di San Pietro e risale alla seconda metà del 1500, al tempo del pontificato di Gregorio XIII, che per primo diede il via alla decorazione musiva della basilica di San Pietro. L'origine e il carattere dello Studio derivarono dall'esigenza di provvedere appunto alla decorazione musiva del massimo tempio della cristianità e, successivamente, alla conservazione dei mosaici ivi realizzati. Configurato ufficialmente nel 1727, continua ancora oggi la cura dell'apparato iconografico e ornamentale della basilica Vaticana. Attualmente il suo compito non è solo quello di conservare e restaurare il patrimonio musivo della basilica, ma anche quello di creare immagini nuove destinate al servizio del Papa e ad abbellire chiese e altri luoghi. Una caratteristica dello Studio è anche quella di realizzare soggetti di diverso stile figurativo, dall'antichità al moderno, con la prevalenza dei soggetti religiosi che hanno segnato la tradizione cristiana. È presieduto dal delegato della medesima Fabbrica.

La Fabbrica comprende anche una parte amministrativa e altre attività?
La complessità e l'entità dei lavori a cui si è accennato, e la molteplicità delle attività connesse alla vita della basilica, richiedono un'attenta e non facile organizzazione amministrativa per la gestione finanziaria. Altrettanto fondamentale è il ruolo ricoperto dall'Ufficio del personale, che segue l'attività di un organico effettivo di circa centoventi persone. Va poi ricordata la funzione svolta dalla Fabbrica con un proprio incaricato a sostegno dell'attività di ricerca di numerosi studiosi italiani e stranieri, favorendo la realizzazione di materiali illustrativi per pubblicazioni scientifiche, per conferenze e convegni internazionali. Un impiegato della Fabbrica fornisce, in accordo e in collaborazione con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il sostegno per la realizzazione di documentari o filmati a tema storico e religioso. La Fabbrica da oltre vent'anni, cura inoltre la pubblicazione di un proprio notiziario mensile dal titolo La Basilica di S. Pietro, per portare, a quanti lo desiderano, l'eco delle attività svolte nella basilica, unitamente a notizie storiche e a riflessioni spirituali sulle diverse opere d'arte e fede in essa custodite. Per quanto riguarda l'aspetto liturgico e devozionale, l'Ufficio delle celebrazioni del Vicariato vaticano presso la Fabbrica coordina le richieste di celebrazioni e di preghiera nella basilica, curando l'accoglienza delle migliaia di fedeli che, sia singolarmente sia in gruppi guidati da vescovi diocesani, parroci e assistenti spirituali, giungono da ogni parte del mondo in devoto pellegrinaggio alla tomba del principe degli apostoli.



Fonte -


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24/03/2011 12:40
 
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... ecco perchè c'è ancora bisogno di santi e di preti!

Nel "Gesù di Nazaret" di Ratzinzer




Lo sguardo nuovo
di Benedetto

Alain Besançon

Il primo sentimento che ho provato nel leggere il Gesù di Nazaret è stato di ammirazione. Ho molti motivi per ammirare questo libro, come cristiano, come cattolico e infine come professore. So abbastanza bene che cos'è un buon libro. Questo, formalmente, è eccellente, degno non solo di un cardinale e di un Papa (l'autore firma con questi due titoli) ma, e lo dico con ironia, anche di un grande professore. Un arcivescovo di Parigi, monsignor Hyacinthe-Louis de Quélen, durante la Restaurazione, verso il 1820, disse che Gesù Cristo non era solo il figlio di Dio, ma anche, da parte di sua madre, di ottima famiglia.

Un buon professore conosce la sua materia a fondo, un grande professore è capace di esporla con semplicità e chiarezza. La materia è puramente e semplicemente la fede cristiana e il Papa, che ne è il custode, non ha affatto intenzione di proporre un'interpretazione personale. Non si troverà in questo libro una "teologia d'autore". Non c'è novità. Ma c'è del nuovo. Questo Papa non smette di leggere e di studiare. Ritiene altresì necessario indicare una breve bibliografia di libri contemporanei. Si tratta principalmente di libri in lingua tedesca, perché è la sua lingua e perché i tedeschi hanno scritto molto, ma cita anche libri in altre lingue. In francese non dimentica Lubac, uno dei suoi maestri, Feuillet, Louis Bouyer.
Benedetto XVI possiede l'arte di sbrogliare le questioni complesse. Un esempio: la data dell'Ultima Cena. Il Papa sostiene che è meglio seguire la cronologia di Giovanni piuttosto che quella suggerita dai Sinottici. Ne trae una conclusione teologica molto importante: Gesù non ha celebrato proprio la pasqua ebraica, ha celebrato un'altra pasqua, la sua, che ha un senso allo stesso tempo uguale e diverso.

La spiegazione è così luminosa da far provare alla mente del lettore il piacere della dimostrazione riuscita di un teorema dalla vasta portata. Questo piacere l'ho ritrovato in tutto il libro. Voltaire ha scritto che tutti i generi sono buoni eccetto quello noioso. Questo libro è di quelli che, una volta aperti, non si possono più chiudere. È appassionante.
L'interpretazione storico-critica è stata aperta al pensiero cattolico dall'enciclica di Pio XII, Divino afflante spiritu (1943), a partire dalla quale gli esegeti cattolici hanno velocemente recuperato terreno rispetto all'esegesi protestante, fino alle ipotesi più avventurose. Il Papa ritiene che questa interpretazione, ora decantata, abbia ormai "dato ciò che di essenziale aveva da dare". Ebbene, "tale esegesi deve riconoscere che un'ermeneutica della fede, sviluppata in modo giusto, è conforme al testo e può congiungersi con un'ermeneutica storica consapevole dei propri limiti, per formare un'interezza metodologica".

Un'interezza metodologica? L'obiettivo è molto ambizioso. Si tratta in definitiva di armonizzare le esigenze della fede, che non cambia, con le evidenze della ragione, che cambiano continuamente, che sono sempre da criticare e da ricostruire ma nel loro ordine legittimo.
La sfida non è nuova. Risale ai primordi della religione cristiana. A partire da Richard Simon, da Spinoza, dall'Illuminismo, dall'erudizione tedesca, non ha fatto altro che radicalizzarsi. È urgente raccoglierla. È ciò che fa questo libro, in modo calmo, irenico e generoso. È lo stile costante di Benedetto XVI.
Gli eventi si svolgono in una settimana, dalla Domenica delle Palme alla Domenica della Risurrezione. La Settimana Santa ha per i cristiani un significato inesauribile. È meno una successione di eventi che una successione di misteri. Ma ciò non impedisce allo storico d'indagare su quello che è realmente accaduto. Il metodo di Ratzinger è di seguire passo dopo passo il testo e, nel farlo, di dissipare le interpretazioni improprie. Non ne segnalo che due.
La prima fa di Gesù Cristo un attore politico, più esattamente un rivoluzionario. Durante il XIX secolo abbiamo incontrato il Cristo sanculotto nel 1792 e il Cristo socialista nel 1848. Nel XX secolo il Cristo delle "teologie della liberazione". Si trattava di un'iniezione di marxismo leninismo nel Vangelo. Ciò ha sconvolto interi continenti e i poveri fedeli hanno preferito spesso o passare direttamente ai partiti leninisti o rifugiarsi nelle sette dove, quanto meno, si credeva seriamente in Dio e nella salvezza per mezzo di Gesù Cristo. Non rimane nulla di queste teologie se si segue in buonafede lo sviluppo di questo libro. La seconda interpretazione è il protestantesimo liberale. Ratzinger ha trovato degli alleati nel protestantesimo autentico, in particolare in Joachim Ringleben che saluta come un "fratello ecumenico". Il bersaglio principale è Rudolf Bultmann, e in generale le interpretazioni simboliche degli eventi. Dico bersaglio anche se in queste pacifiche esposizioni non c'è alcuna aggressività. Quando Bultmann ha ragione, Ratzinger fa il suo elogio.

Da queste analisi si deduce che Cristo si mantiene il più vicino possibile alla Legge e ai Profeti, che non smette mai di citare e ai quali fa continuamente riferimento. Segue passo passo la tradizione. Così facendo, osservando la Torà senza cambiare una virgola, la trasforma.
Sono molto fiero di aver sottolineato, a proposito del film di Mel Gibson, La passione di Cristo, un punto che qui ritrovo sviluppato a fondo. Riguarda Caifa e Pilato. Non c'è bisogno di attribuire loro una malvagità particolare. Uno voleva la salvezza del suo popolo, l'altro voleva salvare la pax Romana. Cristo è stato messo a morte da tutti gli uomini, dai cattivi, naturalmente, ma anche dai buoni, che non lo sono fino a quel punto e che non sanno di aver bisogno di essere salvati. Ciò vale per tutti noi. Il mondo ebraico ha reagito favorevolmente a questa affermazione, dimenticando che era già stata fatta nel concilio di Trento e nel Vaticano II. Non è inutile ripeterlo.

Il nuovo rapporto con il popolo ebraico, che sussiste tuttora, è una delle conquiste più importanti del Vaticano II. Bisogna tuttavia conservare l'equilibrio. Si vede qua e là in alcuni cattolici, sempre inclini all'idolatria, un certa idealizzazione del popolo ebraico, che quest'ultimo non chiede. C'è continuità fra i due Testamenti. Ma c'è anche un taglio. Cristo non è un rabbino. Non è un altro Hillel.
Può essere che il lavoro dello storico-critico sul Nuovo Testamento si sia esaurito, ma continua sull'Antico Testamento. Da un secolo si scava con passione nella terra d'Israele alla ricerca di prove. Ebbene, non solo non sono state trovate, ma l'archeologia pensa di averne trovato alcune che dimostrano che le cose non sono avvenute come suggerisce la narrazione biblica. Sembra che si sia creato un vasto consenso fra gli archeologi e gli esegeti ebrei, protestanti e cattolici. Io ho letto, come molte persone, i libri di Finkelstein e di Silberman, e quello di Liverani. Ci sono reazioni molto critiche dal lato ebraico.
Ebbene, noi cristiani siamo sulla stessa barca. La nostra religione è una storia. Non si può far passare troppi eventi dalla parte della leggenda. Due punti appaiono cruciali. Il primo riguarda il soggiorno del popolo eletto in Egitto e la sua liberazione da parte di Mosè. È l'origine tanto dell'ebraismo quanto del cristianesimo. Cristo, ci spiega Ratzinger, si presenta come il nuovo Mosè. Sarebbe difficile ammettere che l'esodo sia un racconto leggendario.

Il secondo concerne la datazione e lo statuto di Davide, di Salomone e di Gerusalemme.
Lascio il mio giudizio in sospeso in attesa che queste nuove teorie si decantino. Nel suo libro il Papa sembra rimandare tali questioni a più tardi. Questioni che inevitabilmente si porranno.
Attendo con impazienza la terza parte dell'indagine che il Papa ci ha promesso. Riguarderà i Vangeli dell'infanzia. Vorrei essere informato sulla questione dei "fratelli di Gesù", divenuta scottante nel nostro tempo. Per me si tratta di un Shiboleth. Quando vedo un libro che osa affermare che la Vergine Maria avrebbe avuto vari figli, lo rifiuto con la stessa indignazione che provavano Lutero e Calvino quando una simile tesi veniva sostenuta dinanzi a loro.

È l'Incarnazione a essere in gioco.



Fonte -


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