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Vi racconto i segreti del mio Codice. Parla Barbara Carfagna
Veronica Sansonetti
“Codice ha l’obiettivo (ambiziosissimo) di rendere tutti noi un pochino più consapevoli; di cercare di far risparmiare tempo a chi vuole informarsi presentandogli realtà e personaggi da approfondire a piacimento”. Con queste parole Barbara Carfagna, giornalista e volto del Tg1, descrive il programma “Codice”, trasmesso su Raiuno il venerdì sera e di cui è autrice e conduttrice. Un programma che si occupa dei temi più complessi del digitale, una sfida per il pubblico televisivo tradizionale della Tv pubblica.
Non sarà una scelta troppo d’élite?
Oggi una nuova élite è composta da chi ha più conoscenze digitali. In TV, ad esempio, i tecnici informatici, gli operatori e i montatori, sono quelli che più di tutti e per primi si sono appassionati ai temi che tratto da anni nei reportages per tg1 e Rai1. Spesso sono stati loro a trovare soluzioni semplici per spiegare e accompagnare passaggi di interviste e video (anche filosofici e scientifici) complicatissimi. A Singapore una scienziata mi ha detto: da noi in questo secolo è nobile chi sa di più e sa programmare il futuro, non chi è nato da una famiglia ricca e altolocata.
Dunque il pubblico televisivo sarà separato sempre meno da quello che si diverte sul web?
Sempre più persone passano il tempo libero intrattenendosi con i socialnetwork, le chat, i giochi. Per contro, dalla televisione, dal Servizio Pubblico molti cominciano a cercare Formazione oltre che Informazione. Siamo in una nuova Era e la Rai accompagna i cittadini.
Codice è un programma che tratta temi complessi…
Lo fa in maniera veloce e con belle immagini ogni puntata. Offre a spettatori disomogenei (tutti pagano il canone: studenti, accademici, ricercatori, startupper, insegnanti, pensionati, genitori…) spunti per aumentare la conoscenza. Le parole chiave compaiono in grande per chi vuole cercarle online durante la messa in onda. I passaggi più complicati possono essere rivisti più volte su Raiplay. Un settantenne mi ha fermato in strada e mi ha detto: “Pensavo fosse l’ora della pensione e della panchina, invece da Codice ho capito che c’è tantissimo da fare da ora in poi per chi ha la mia esperienza”. Uno studente al primo anno di università mi ha scritto: “È la prima volta che sto in salotto a guardare la tv con i miei”. Un segnale è che l’edizione del sabato pomeriggio alle 16.00 ha un pubblico (tradizionale) e uno share alto e costante.
La trasmissione è stata ritwittata da Edward Snowden e citata da cointelegraph.com. Un personaggio e un sito non proprio istituzionali…
Codice è girato per la maggior parte all’estero, nei paesi tecnologicamente avanzati che ci possono dare un’idea anche fisica di come il digitale stia cambiando l’uomo e la società. L’Italia, ancora a macchia di leopardo nella digitalizzazione, non può offrire il teatro per una visione chiara omogenea e quindi rappresentabile in TV come la Cina, Singapore, Dubai, Israele e alcune zone degli Stati Uniti. Questo mondo globale è controverso e il termine “istituzionale” fatica a esistere nella stessa accezione di qualche anno fa. Basta guardare i leader politici emersi nella scena mondiale nell’ultimo anno. È inevitabile che ci siano reazioni anche dall’estero ai temi globali. Per fortuna, al mondo interessa sapere cosa succede anche in Italia intorno ai temi della complessità. Per questo molte interviste sono state editate dai giornalisti di Raidigital (Bruno Mastroianni e Vincenzo Faccioli Pintozzi) in lingua inglese nel canale YouTube della Rai e, se non bastasse, grazie ai software di traduzione, chi vuole dall’estero può tradurre rapidamente in inglese e a basso costo le puntate presenti su Raiplay. Una collaborazione possibile grazie alla visione di Andrea Fabiano (Raiuno), Giampaolo Tagliavia (Raidigital) e del direttore generale Mario Orfeo.
Sicura che abbiamo contenuti attraenti per i Paesi stranieri e le società digitalmente avanzate?
Finora la BBC e le tv americane sono state avvantaggiate nella divulgazione dei loro prodotti e, soprattutto, punti di vista. Noi italiani possiamo sedere con fierezza al tavolo globale per il modo di trattare i temi della complessità. Non in modo omogeneo ma con punte di eccellenza originali e dirompenti. Nel campo delle criptovalute ad esempio gli startupper italiani, all’estero o rientrati dagli USA, sono vere punte di diamante. Dal punto di vista accademico, filosofico e in termini di eccellenze isolate non abbiamo da invidiare niente a nessuno.
Qualche nome?
Persone come Massimo Banzi, Luciano Floridi, Vincenzo De Nicola, Diego Piacentini, per citarne solo alcuni, hanno grande seguito. Banzi ha rivoluzionato il manifatturiero nel mondo con una sola invenzione. Credo inoltre nella capacità degli italiani di organizzare gli argomenti complessi con una marcia in più, data dalla tradizione di pensiero che affonda le radici nella filosofia mediterranea e credo nella capacità di ragionare fuori dalle logiche commerciali che ci ha insegnato la cultura cristiana cattolica. Non è poco: molti paesi asiatici e anglosassoni si stanno lasciando trascinare più inconsapevolmente di noi dal flusso di dati creato dalle grandi aziende tecnologiche con finalità che esulano da un indispensabile progetto umano e quindi politico.
Che colore politico darebbe al digitale?
In Italia l’ingresso nell’Era Digitale è stato frenato da mille fattori: ad esempio la burocrazia è potere e il digitale la aggira, come dimostra l’applicazione della blockchain al pagamento delle tasse in Cina o alla PA negli Emirati Arabi.
Torniamo in Italia…
I burocrati non hanno assecondato la digitalizzazione in Italia e, quando lo hanno fatto, hanno spesso digitalizzato la catena di comando analogica, non accettando gli stravolgimenti inevitabili. Una gran perdita di soldi e tempo; anche se in alcuni casi la prudenza ha pagato rimandando di qualche lustro la perdita del lavoro da parte della classe dirigente e impiegatizia. Questo è uno dei problemi. Poi c’è il vizio tutto italiano di attribuire un colore politico (locale) a qualsiasi cosa, fosse anche una scoperta scientifica mondiale.
Codice ha un colore politico?
I temi di cui parliamo in Codice (intelligenza artificiale, transumanesimo, robotica, bitcoin, iperstoria, microchip, basic income) non hanno un colore politico. Non può appropriarsene chi ne pronuncia i termini per primo; per contro, osteggiare l’applicazione e la divulgazione delle nuove possibili soluzioni solo per contrastare una parte politica sarebbe da incoscienti: porterebbe il Paese (e l’Europa, se estendiamo lo sguardo) a essere gestita da potenze e aziende – politiche o private – straniere, man mano che i giganti del tech si sovrappongono come nuovi continenti senza frontiere fisiche a sistemi e organizzazioni europee.
Sta dicendo che la politica non potrà più prescindere dal digitale?
Non può, già ora. Smettiamo di parlare al futuro. Che ci piaccia o no dobbiamo affrontare tutti insieme i temi della complessità; ragionare su dove vogliamo andare e disegnare la rotta in quella direzione. Chiunque sia al timone. Qualsiasi sia il partito politico che guida e guiderà il Paese. Da internet non si torna indietro e stare fermi ci farebbe sprofondare in un medioevo ancora più buio di quello in cui alcune zone del mondo sono già sprofondate proprio a causa del passaggio all’Era Digitale. Dalla Storia siamo passati all’Iperstoria, come ci ripete Luciano Floridi, il filosofo dell’Infosfera e della Quarta Rivoluzione. Le leadership aziendali o politiche devono necessariamente cambiare. I leader devono essere consapevoli, informati, abili a cambiare rotta in un mondo che muta rapidamente. Possibilmente devono avere come consulenti principali non economisti ma, appunto, filosofi e esperti di dinamiche digitali e cybersecurity.
Ma qual è il vero obiettivo di Codice?
Codice ha l’obiettivo (ambiziosissimo) di rendere tutti noi un pochino più consapevoli; di cercare di far risparmiare tempo a chi vuole informarsi presentandogli realtà e personaggi da approfondire a piacimento; di essere un prodotto collettivo, con input e suggerimenti accolti da tutto il mondo, soprattutto da accademici e startupper italiani all’estero; di puntare i riflettori su possibili soluzioni (da riadattare) trovate e sperimentate già altrove. La conoscenza non ha un colore politico ma può far luce su cosa la Politica con la P maiuscola stia diventando e debba diventare nelle società digitalmente avanzate come quella che anche noi stiamo per diventare.
Io non sono uno che fa fotografie.....sono uno che guarda
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